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19 Luglio 2005

Vogliamo spiegare cosa faremo quando andremo al governo? Ma al governo con chi? Come se ci andassimo da soli

Autore: Goffredo De Marchis
Fonte: la Repubblica

ROMA – «Votare ordini del giorno contrapposti sull’Iraq è solo autolesionismo». Arturo Parisi, presidente dell’assemblea federale della Margherita e leader degli ulivisti di Dl, si rivolge soprattutto ai segretari di Ds e Margherita. «Dicono: non possiamo non spiegare cosa faremo quando andremo al governo. Andremo chi? Come se al governo ci andassimo solo noi riformatori. Tutti sanno che il governo o sarà espressione di tutti o non sarà». Niente documenti autonomi dunque, anche se il tema dell’Iraq e della politica estera tornerà centrale alle primarie di ottobre. Primarie che per Parisi sono un passaggio per scongelare l’Ulivo, come ha detto all’assemblea romana organizzata dalla minoranza di Dl, sabato scorso. «Non siamo nella Margherita solo per testimoniare la nostalgia dell’Ulivo. Puntiamo alla maggioranza del partito».


Il successo delle primarie e una buona affermazione di Prodi saranno l’anticamera del ritorno dell’Ulivo e della lista unica’ «Il progetto rimetterà in moto la dinamica ulivista. Se il progetto torna al centro prima o poi tornerà anche il tema del soggetto. Ma al momento bisogna avere il coraggio di riconoscere che un passaggio si è concluso. Purtroppo è così. Dobbiamo tornare da dove eravamo partiti, inutile insistere sul punto dove il disco si è rotto». E il sogno di Prodi di un partito nuovo’ «Il sogno degli ulivisti è stato chiamato Ulivo per evitare discussioni, ma adesso lo possiamo dire tranquillamente: quel sogno si chiama partito democratico del centrosinistra, questo è il suo nome. Cioè, un partito democratico che metta insieme tutto il centrosinistra. Sarà il punto di arrivo».


Nella Margherita c’è ancora posto per l’Ulivo’ «L’Ulivo è ospite in tutti i partiti. Se fossimo arrivati alla conclusione che la responsabilità della rottura era solo della Margherita, non avremmo potuto fare altro che uscire dal partito. La frontiera ulivista invece attraversa tutte le forze». I Ds, con il correntone, hanno rischiato di avere due partiti sotto lo stesso tetto. Succederà lo stesso in Dl’ «Non voglio mancare di riguardo agli amici del correntone ma loro, è scritto negli atti, si sono connotati più come un’alleanza contro che come un’alleanza per. Io rivendico agli ulivisti della Margherita il segno sì, non siamo prigionieri di un no. Anzi, noi ci auguriamo di essere sconfitti. Lo dico in forma paradossale: la nostra vittoria coinciderà con la nostra sconfitta. Quando le nostre ragioni, non le nostre parole, saranno fatte proprie dagli altri, allora la nostra ragion d’essere, e dell’essere separati, verrà meno. Tutta la nostra vicenda è accompagnata dal desiderio dello scioglimento. Non la contraddiremo adesso. Non torneremo indietro al livello delle correnti che sopravvivevano al di là delle loro ragioni, fino al punto, come nella Dc, di ridursi ad essere definibili solo come gli “amici” di questo o di quello. Lei ci vede ridotti ad essere gli “amici di Parisi”‘ Io no». La prima prova della convivenza tra maggioranza e minoranza nella Margherita sarà il voto sull’Iraq’


Lei è contrario a una mozione autonoma del partito. «Noi rispetteremo la disciplina di partito. A differenza di autorevolissimi membri della maggioranza, che pure amano avvolgersi con la bandiera di partito, ma proprio sulla guerra si sono presi in questi anni la libertà di disubbidire. Noi non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo neanche stavolta». Chi sono gli autorevolissimi membri’ «Ricordo un interventista Marini e non mi riesce di dimenticare il pacifista Fioroni. Non male, se si considera che si tratta di divaricazioni tra la voce il portavoce…». Perché non condivide l’idea di motivare il no al rifinanziamento della missione in Iraq’ «Capisco se il confronto si svolgesse dentro le primarie. Ma oggi, a livello parlamentare, la considero un’iniziativa inopportuna. Soprattutto a pochi mesi dalle elezioni. Come non rendersi conto che quello che gli italiani ci chiedono è prendere oggi decisioni comuni in Parlamento come anticipazione delle decisioni comuni che prenderemo domani al governo».


Ma oggi in Parlamento le posizioni non sono comuni. «Il no al rifinanziamento è comune. Non c’è accordo invece sulla via d’uscita alla vicenda irachena. Bisogna riconoscere che nell’Unione coesistono punti di vista diversi, il mio è diverso da quella di Bertinotti sull’uso della forza, sull’ordine mondiale. Ma non solo non drammatizzerei queste distinzioni, meno che mai investirei sulla loro esasperazione. È vero, dobbiamo assolutamente trovare una regola comune, che rassicuri gli elettori sulla nostra capacità di prendere decisioni assieme. Per il momento, questa assicurazione non c’è. Per le prese di posizione della sinistra radicale, certo, ma anche per l’illusione di chi vuole lasciare a verbale quello che lui farà quando sarà al governo dimenticando che il governo sarà intestato a tutta la coalizione. Stiamo discutendo per discutere. E basta».


Il nodo della guerra, dell’Iraq e della politica estera sarà sciolto a ottobre, nelle primarie’ «Questa tematica non potrà non essere al centro delle primarie e quindi tradursi in un invito ai cittadini a scegliere tra le diverse proposte. Le primarie sono un confronto non solo tra candidati, ma tra priorità programmatiche». Bertinotti, il principale sfidante di Prodi, non condivide. Il programma per lui si decide all’assemblea programmatica. Prima ci sono solo «allusioni». «Tra un’allusione e un programma ci sono delle vie di mezzo. Programma è forse troppo, allusione però è troppo poco. Una parola gentile che suona bene in poesia ma che in politica assomiglia molto a evasione.


I candidati si devono presentare con delle priorità, le cose che considerano più importanti o più urgenti. Poi, il candidato vincente si farà carico delle istanze di tutti ma in posizione subordinata ai punti-chiave scelti dagli elettori. Insomma, dalle primarie deve uscire una scelta vera, tra proposte nitidamente riconoscibili. Altrimenti rischiano di diventare un arretramento della democrazia. Se non si parla di programma, si trasformano in un rito collettivo privo di senso». Allora è vero che non si rinegozia più con Bertinotti o Pecoraro se il loro progetto esce sconfitto. «Il programma deve essere condiviso da tutti. Ma le priorità programmatiche che perdono cedono il passo a quelle che vincono».