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9 Giugno 2005

Unione/ Il timore di Parisi: così il Governo cade dopo 4 mesi

Fonte: APCOM

Un governo debole, in balia delle spinte contrapposte dei vari partner di coalizione; un esecutivo che, sottoposto ai passaggi stretti imposti dal ciclo economico e dallo stato dei conti pubblici, finisce per cadere alla prima finanziaria dopo le elezioni.

E, dopo, lo ‘spettro’ di un “governo neocentrista”, che nascerebbe magari col benestare di buona parte dei poteri forti e di Antonio Fazio. Conversando con alcuni esponenti ‘ulivisti’ della Margherita si apprende che sarebbe questo l’incubo più volte evocato dal presidente dell’assemblea federale Dl Arturo Parisi nelle riunioni che si sono svolte a più riprese in questi giorni.

Parisi, viene spiegato, avrebbe sostenuto che questa è la vera posta in gioco, il rischio che si correrebbe se non si arrivasse prima delle elezioni ad un “chiarimento vero” con Francesco Rutelli e Franco Marini.

E proprio questo, sottolineano, è il ragionamento che ha sviluppato Prodi nel suo ‘manifesto di Creta’: “L’Unione e l’Ulivo – spiegava il professore in un passaggio della lettera -sono necessari non solo per vincere le elezioni ma anche, e soprattutto, per poi potere prendere le decisioni di governo necessarie a fare uscire il paese dalla crisi che esso sta vivendo”.


Certo, pesa il ricordo del ’98, la caduta del primo governo Prodi, e non a caso quell’episodio viene continuamente richiamato dagli ambienti vicini al professore. In questo senso, la scelta ‘identitaria’ della Margherita non può non rievocare quello scenario.

E molto incide l’esperienza di Berlusconi, che pure avendo una grande maggioranza in Parlamento, “non è riuscito a governare davvero”. Ma c’è di più, è il contesto che preoccupa: in una situazione di emergenza economica e di conti pubblici fuori controllo, “il livello di conflitto sociale è destinato a salire”, avrebbe avvertito Parisi.

In questo quadro, un partito dell’alleanza alla ricerca spasmodica di una propria visibilità finisce di essere un elemento destabilizzante, a prescindere anche dalle intenzioni dei protagonisti.

Insomma, è il ragionamento, non importa che Rutelli assicuri di non avere in mente un disegno neocentrista: il fatto è che la strategia che ha scelto per caratterizzare la Margherita rischia di sottoporre comunque la coalizione a spinte centrifughe e di mettere quindi in crisi l’eventuale governo dell’Unione.


Timori che si sono rafforzati negli ultimi giorni, perché, spiegano gli ulivisti, “la sortita di Rutelli sul referendum ha chiarito, se ce ne fosse stato bisogno, che la Margherita non ha semplicemente rallentato sul percorso ulivista, ma ha proprio cambiato strada”.

Rutelli, osservano i parisiani, poteva limitarsi ad annunciare la sua astensione, tenendola nell’ambito del caso di coscienza. “Invece ha politicizzato la sua scelta, ha attaccato gli alleati dell’Ulivo.

Ma lo ha fatto senza promuovere un minimo di dibattito nel partito, senza nemmeno organizzare un seminario”. Il presidente della Margherita ha scelto la strada del partito di centro tout-court: interlocutore del mondo cattolico sui valori, alleato del mondo dell’impresa e del sindacato ‘riformista’ in economia, vedi il seminario di Frascati caratterizzato da una certa enfasi liberista, una presunta modernità e dalla chiusura al mondo della solidarietà. L’instabilità e la fine del bipolarismo disastro per l’Italia” 

Parisi e i suoi non avrebbero ancora scelto la tattica da seguire, almeno stando a quanto viene riferito. Le possibili contromosse sarebbero ancora tutte sul tavolo, e la cautela è grande “perché dobbiamo prendere decisioni importanti”.

Non si esclude niente, compresa la scissione della Margherita, anzi “lo sfratto” come lo definiscono gli ‘ulivisti’ Dl. “Non ci possono tenere dentro ricorrendo al ricatto, puntando la pistola alla tempia di Prodi”, avrebbe ricordato Parisi.


D’altro canto, nei colloqui che quasi quotidianamente tengono i ‘separati in casa’ dei Dl, appare chiaro che ci si debba muovere con grande cautela perché un passo falso potrebbe davvero mettere a rischio la leadership del professore: le minacce della Margherita, ormai, sono esplicite e più d’uno è ormai convinto che in realtà l’obiettivo di Rutelli, Marini e De Mita sia proprio quello di far ‘saltare’ Prodi.


Di questo, anzi, sono convinti in molti nel centrosinsitra, a cominciare da Rifondazione comunista. la Margherita, dicono nel partito di Bertinotti, avrebbe tutto da guadagnare da un candidato premier DS: con Prodi il presidente della Repubblica sarà un Amato, per capirci, e il vice-premier sarà Fassino, mentre i Dl si ritroverebbero con un limitato margine di

manovra.


Con un premier DS, invece, la Margherita avrebbe il vice-premier, al Quirinale andrebbe un cattolico. E, in più, per Rutelli si aprirebbe un ruolo di interlocutore privilegiato con Confindustria, con i poteri forti in generale, con gli Usa.


Giulio Santagata, quando gli si chiede se si stiano aprendo spazi di mediazione, ribatte: “Dobbiamo distinguere tra la sostanza politica e la tecnica. La sostanza è che bisogna chiarire che la leadership di Prodi non viene contestata da nessuno e che il progetto dell’Ulivo viene rilanciato.


Il modo, da questo punto di vista è secondario. Certo, non capisco come si possa rilanciare l’Ulivo senza la lista unitaria. Ma che vuole che le dica: noi siamo fantasiosi, vedremo..”.


Il timore che assilla gli ‘ulivisti’, e che Parisi avrebbe richiamato, è quello della tenuta e della stabilità del governo: “Se andiamo al governo con una coalizione non stabile, in queste condizioni economiche, con un conflitto sociale destinato a salire di livello, rischiamo di durare quattro mesi.

E a quel punto si finirebbe ad un governo neocentrista, con il crollo del bipolarismo. Per il Paese, questo sarebbe un disastro”.