Parisi spiega come immagina la riflessione interna dopo la batosta elettorale: “Penso a un dibattito approfondito che si concluda con una decisione ampiamente partecipata”.
Cioè le primarie?
“Certo: una verifica della leadership come proposto da Veltroni, come previsto dal nostro statuto, che dia al segretario un nuovo mandato pieno”.
Non è un rischio discutere adesso il leader?
“Il timore di questa verifica sembra nascondere un giudizio molto più pessimistico sulla situazione interna. Solo questo può far considerare un rischio l’apertura di un dibattito serio”.
Per lei la situazione non è così grave?
“Dire che abbiamo subìto una netta sconfitta, non significa che non abbiamo la forza per guardarla ad occhi aperti e per trarne le dovute conseguenze sul piano della linea. Questo grazie all’innegabile avanzamento nella costruzione del partito”.
Anche lei ha criticato chi, come Veltroni, sembrava minimizzare la sconfitta.
“Io faccio riferimento al ragionamento fatto dal segretario martedì. Che non era più il giorno dopo le Politiche, ma il giorno dopo il ballottaggio di Roma. E muovo dal fatto che la sconfitta è stata finalmente riconosciuta. Nel voto coesistono due aspetti: da un lato la nascita definitiva del nuovo partito, dall’altro la sconfitta della linea che ha guidato la campagna elettorale”.
Cioè la scelta di correre da soli. E ora?
“Pur muovendo dalla nostra identità riformista, dovremo ora confrontarci con le domande degli elettori che facevano riferimento ai partiti che il voto ha spazzato via”.
E’ d’accordo con chi dice che non siete stati capaci di intercettare le esigenze della gente?
“Difficile non essere d’accordo, il giorno dopo aver perduto le elezioni…Altrimenti dovremmo dire che sono sbagliati gli elettori”.
E come si recupera il contatto con la gente?
“Bel problema. Se da un lato non bastano i sondaggi, dall’altro piazze e assemblee rischiano di essere non meno fuorvianti, come dimostra l’ultima campagna elettorale”.
Quando le piazze di Veltroni erano piene.
“Appunto. Si fa in fretta a parlare di contatto con la gente”.
Può essere ancora Veltroni a guidare questa nuova fase del Pd?
“Può esserlo, se si riparte da una riconsiderazione critica della linea e dalla correzione di ciò che non ha funzionato. L’ho detto e lo ribadisco. La passione con cui Walter si è battuto ci chiamano a riconoscere questa sconfitta come una sconfitta più che onorevole, onorevolissima. Ma pur sempre sconfitta. Dopo il tempo dei discorsi alle piazze, è giunto il tempo dell’ascolto e della riflessione”.
Molti chiedono una leadership più collettiva.
“Capisco e condivido chi denuncia i limiti di una guida solitaria, ma bisogna pure identificare una responsabilità primaria. Non è sostituendo un leader con una cooperativa che risolviamo il problema”.
Riaprirete la discussione tra partito pesante e partito leggero?
“Non sono mai stato per i partiti pesanti, ma la cosa peggiore sarebbe avere un partito pesante al vertice e leggero alla base. Se un’organizzazione non vive tra la gente, è inutile scomodare la categoria di partito”.
Ora lei sta per lasciare il ministero, dopo soli due anni. Guardando indietro, non pensa che avreste fatto meglio ad ammettere la “non vittoria” del 2006, e programmare un rapido ritorno alle urne dopo poche riforme condivise?
“In democrazia, chi vince anche di un voto ha prima che il diritto, il dovere di governare. Questo non deve far dimenticare che ci sono piani nei quali confronto, dialogo e condivisione sono altrettanto doverosi. Penso al tema delle regole che è stato fin dal ’96 la nostra prima priorità. E’ anche per questo che dopo la vittoria, Prodi incontrò con me Berlusconi e Gianni Letta per offrire al Polo la presidenza del Senato. Furono loro a rifiutare”.
A proposito, ha più sentito Prodi?
“Anche poco fa. Posso solo dire che sta vivendo questa nuova fase della sua vita con una serenità esemplare”.