«Il dibattito interno cercherà le
sue strade e i suoi luoghi. Non siamo in un regime totalitario: quei partiti
avevano una forza tale per cui l’esclusione dalle loro strutture significava
esclusione dalla politica. Se una cosa abbiamo imparato è che il mondo è molto
più grande di qualsiasi partito. Se Veltroni si illude si monopolizzare il
dibattito sbaglia. E per questo non mi sento di polemizzare, perché non credo
che questa scelta sia guidata da un’illusione così miope».
Arturo Parisi ha appena varcato
l’uscio della sua abitazione e al telefono ascolta con attenzione la lettura
dei nomi che compongono il governo ombra e il nuovo coordinamento politico del Pd annunciati di Veltroni. E anche se il suo nome è ancora accreditato
per la carica di presidente del Comitato di controlli sui servizi segreti che
spetta all’opposizione, Parisi è molto meravigliato che nella distribuzione
delle cariche interne del Pd si stia procedendo ancora una volta in una «logica
correntizia» tra ex Ds ed ex Margherita.
Che impressione ne trae? La minoranza non è rappresentata, visto che
non compare il suo nome né quello della Bindi.
«Noto che queste scelte sono fatte
solo all’interno del perimetro della maggioranza, come elemento nuovo c’è solo
il nome di Enrico Letta, ma siccome non ricordo in cosa consistesse la
diversità della sua posizione da quella di Veltroni, ho sempre considerato
anche lui un elemento della maggioranza. Ne prendo atto, è la rivendicazione
della linea del segretario, dei suoi meriti e delle responsabilità ad essa
connessa. Veltroni avrà riflettuto attentamente: l’ufficio politico poteva
essere rappresentativo di tutto il partito, poteva essere unitario, ma lui ha
deciso in altro modo. Ciò non potrà non avere delle conseguenze. Ciò vuol dire
che il partito dovrà cercare altri luoghi di confronto, oppure affidarsi al
dibattito pubblico».
Non è amareggiato, né irritato di non far
parte per ora dei nuovi organi dirigenti del Pd?
«No, assolutamente, anche perché
il tempo che ci attende ci chiama ad un confronto amplissimo in pubblico e nel
paese. Non è l’appartenenza a questi organi che sarà determinante per il
futuro. Veltroni in questo modo ha semplicemente valutato di aprire il
confronto in altre sedi ed è un’assunzione di responsabilità. Intendo dire: se
lui mi invita a partecipare ad un dibattito io partecipo, altrimenti cercherò
altri modi per far sentire la mia voce».
E sul governo ombra che giudizio dà?
«Avevo detto dall’inizio che non
ero disponibile a farne parte in quanto ministro ombra della Difesa.
Sconsigliai insomma che i ministri del governo Prodi rivestissero la stessa
responsabilità nel governo ombra. E, incontrando il consenso di Veltroni, avevo
incoraggiato il massimo rinnovamento possibile, in modo che questo
organismo fosse l’occasione per far
crescere nuovi dirigenti e metterli alla prova. Avrei inoltre preferito un
ringiovanimento maggiore della compagine. Ma voglio scorrere bene la lista dei
nomi e riflettere bene prima di dare un giudizio più compiuto».