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14 Agosto 2008

Tutelare la difesa è un dovere bipartisan

Autore: Arturo Parisi
Fonte: Il Sole 24 Ore

Son sicuro che l’altro ieri il Ministro La Russa disponeva del pieno consenso del Presidente Berlusconi e soprattutto del Ministro Tremonti quando ha sostenuto che qualora l’Europa decidesse di dare il via ad una missione di peacekeeping l’Italia sarebbe pronta a parteciparvi, ancorchè con un contingente non superiore a mille uomini. Immagino tuttavia lo stato d’animo col quale il ministro ha manifestato questa disponibilità.

Nella distrazione agostana, in una intervista lo stesso Ministro aveva infatti appena qualche giorno prima prospettato l’inevitabile esito dei tagli al bilancio della Difesa. “Se non ci sono i soldi – aveva detto – metterò il governo con le spalle al muro: decida quali missioni all’estero tagliare”.

Una minaccia che seguiva peraltro un precedente annuncio sulla intenzione di elaborare “un modello di Difesa compatibile con le risorse assegnate, puntando sulla riduzione dei mezzi e non degli uomini”. Ridurre i mezzi non è certo una cosa da poco perchè a questo termine è associata una serie di voci, dall’ammodernamento, alla manuntenzione, all’addestramento che chiedono evidentemente ulteriori precisazioni per quel che riguarda settori e tipi di riduzione. Ma dover riconoscere che si è costretti a sacrificare i mezzi significa comunque riconoscere se non proprio arrendersi all’idea che le nostre Forze Armate potrebbero non essere più nella condizione di svolgere i compiti che son stati a loro affidati. O meglio, non potendo commisurare i mezzi ai compiti, prospettare il taglio dei mezzi equivale a riconoscere che sono i compiti a dover essere commisurati ai mezzi disponibili.

E non a caso un retroscena giornalistico aveva già fatto dire a La Russa che “se non si troveranno i fondi necessari, anche in altri capitoli di spesa, a gennaio il nostro impegno nelle missioni militari all’estero potrebbe dover diminuire drasticamente e la maggior parte dei nostri soldati, a quel punto, sarebbe costretta a tornare in patria”. La maggior parte dei nostri soldati sarebbe costretta a tornare in Patria?! Se così fosse a “spalle al muro” non sarebbe certo il Governo, ma il Paese. In una prospettiva di questo tipo l’Italia si troverebbe infatti in occasione di ogni crisi internazionale, anche le più vicine, nell’incapacità di dire parole che possano essere seguite da fatti.

Si impone perciò il dovere di informare il Paese di quali siano le conseguenze che i tagli alla Difesa comportano sul piano internazionale e all’interno delle Alleanze che fanno affidamento su di noi, per il presente, per gli impegni già presi in passato per il futuro, sia per quanto riguarda le operazioni che i programmi di armamenti. E’ un dovere che chiama in causa tutti, maggioranza e opposizione. Ad essere in causa sono infatti gli interessi comuni del Paese e tra questi quelli che vanno oltre i governi e oltre le legislature. Senza questa convergenza è pure possibile che Tremonti riesca a riconoscere alla Difesa la quota di spese per le missioni che grava impropriamente sul bilancio ordinario, e qualche risorsa può essere anche recuperata con la razionalizzazione delle spese e la permuta di alcuni immobili come avevamo fatto già cominciato a fare nella legislatura passata in Val d’Aosta e in Alto Adige. Ma se nel frattempo lo strumento militare, quello ordinario affidato al bilancio ordinario, viene disastrato, se il modello di difesa è messo radicalmente in discussione, se si squilibra il rapporto tra le quattro forze armate e tra esse e le forze di polizia, a rischio non sarebbero le operazioni ma il soggetto delle operazioni: per oggi e per domani.

E questo anche perchè il contesto politico e istituzionale va intanto modificandosi in termini sempre più sfavorevoli alla Difesa. Io non so, in particolare, quale sarà l’esito dell’infinito dibattito sul federalismo fiscale. Non è difficile tuttavia rilevare come il confronto in corso al riguardo vada concentrando sempre più la nostra attenzione sul presente, e sul contenzioso tra le diverse parti all’interno del Paese. Tutto quello che attiene invece al futuro e alle relazioni che il Paese intrattiene con l’esterno in quanto realtà indivisibile, cioè a dire come Stato, sembra destinato ad essere pensato come un residuo, e residuali rischiano di divenire le risorse che a queste funzioni sono indirizzate, poichè appunto ad esse finirebbe quel che residua dopo che sono state soddisfatte le necessità presenti delle diverse parti. In questo quadro la Difesa del Paese che non riguarda necessità presenti ma rischi futuri, e che è costituita nell’interesse di tutti e quindi di nessuno, è destinata a passare ogni giorno di più in secondo piano.

La Difesa si conferma così ogni giorno di più come il settore più indifeso dell’apparato statale. Indifeso soprattutto perchè le ragioni della Difesa non poggiano nel nostro Paese su una ragione della sua esistenza sufficientemente diffusa e condivisa.

E’ perciò necessario che i non molti che di questa ragione hanno coscienza uniscano, al di là delle appartenenze di parte, la loro voce per spiegare ai cittadini le funzioni istituzionali della Difesa per lo svolgimento delle responsabilità che il Paese ha sul piano internazionale per la difesa della pace, e ancor prima per la difesa del territorio nazionale contro ogni minaccia che al Paese possa derivare dall’esterno. Diffondere questa consapevolezza è purtroppo un compito difficile ma sempre più urgente.

Lo dico, pensando ai tagli sciagurati che si annunciano. Lo dico, ripeto, ancor più pensando a quella concezione che considerando la Difesa come funzione superata o residuale, rischia di diventare l’approdo pratico, se non proprio la premessa teorica, della riforma sul federalismo fiscale e delle iniziative che chiedono di riconsiderare radicalmente quello che viene chiamato “il peso dello Stato”.

L’autunno si avvicina e con esso il momento nel quale le forbici usate per correggere il bilancio dello Stato potrebbero essere sostituite dalla accetta per ridimensionare lo Stato.