Professor Parisi, chi ha tradito Romano Prodi?
Diciamo innanzitutto che se Prodi è stato colpito, quello
tradito è stato Bersani, la sua Segreteria, il suo Partito.
Sulla candidatura di Prodi Bersani si è giocata la sua
residua credibilità di leader. Dopo la sconfitta su Marini,
la disponibilità di Prodi era stata colta dal Segretario
come una occasione, l’ultima, per ricostruire l’unità del
Pd e riaffermare la sua guida.
101 franchi tiratori sono troppi, li avete individuati, uno
per uno?
Lo escluderei. Ma non ne so niente. Oltretutto non sono più
in Parlamento. Non era compito nostro.Le posso solo dire
che ad una mia precisa richiesta, la Segreteria mi aveva
assicurato che non si erano accotentati alla standing
ovation, dell’applauso liberatorio della mattina. “Ci siamo
ripassati i banchi uno per uno.” “Siamo qui che lavoriamo
sodo”. Mi hanno risposto. E lo stesso mi hanno assicurato
le filiere popolari, quelli che comprensibilmente potevano
essere pensati come i più provati dalla sconfitta su
Marini.
E’ stata una vendetta dei popolari per la
bocciatura di Marini? E chi sono “i popolari”?
Se fosse stata una vendetta, sarebbe stata alla grande. Del
tipo di quelle che si consumano nella mia Sardegna. Se
fosse così annuncerebbe tuttavia un futuro terribile.
Vendetta chiama infatti vendetta. Fortunatamente siamo in
Continente e il Pd è troppo piccolo per aspirare alla
tragica e terribile grandezza della vendetta barbaricina.
Proprio dai Popolari erano venute nella mattina le
assicurazioni più calorose. E nella notte erano stati loro,
da Franceschini a Fioroni, a spendersi con più convinzione
nel lancio della candidatura. Lo stesso Marini, che pure
avrebbe avuto tutti i motivi per sentirsi utilizzato e
tradito, aveva anticipato il suo sostegno. Contro ogni
evenienza. Pur muovendosi in una schema che aveva cercato
prioritariamente la candidatura di Marini come segno e
strumento del profilo duale del Pd, si dicevano infatti
consapevoli che, pur estranea, alla loro storia recente,
proprio l’iniziativa di Prodi era stata l’orgine della
dinamica che nel nuovo quadro bipolare aveva consentito
agli ex centristi, non solo di sopravvivere, ma di
prosperare.
Perché massimo D’Alema avrebbe impallinato Prodi?
Di certo D’Alema era stato il più freddo.
Non mi chieda il come e il perchè. E’ troppo tempo che non
frequento infatti le riunioni di vertice, e neppure le
stanze nelle quali, quando ero Presidente della Assemblea
Federale della Margherita, passai pure qualche anno. E
lungo è anche il silenzio che nel tempo si è accumulato tra
noi. Forse due incontri in tutto in questi lunghi cinque
anni.
Che senso ha opporsi all’unico leader vincente del
centrosinistra in tutta la
sua storia?
Non la metta così. Io penso che il Prodi chiamato in campo,
più che il Padre dell’Ulivo, vincitore di due elezioni
etc., fosse il Prodi europeo. Che a lui si fosse pensato
come il candidato più autorevole come punto di riferimento
in un passaggio intestato alla crisi europea. Una persona
capace di parlarsi al telefono con gli altri leader europei
e mondiali sapendo che gli altri sapevano di aver
dall’altra parte del telefono uno che conosceva le persone
e i dossier. Pensato a partire dal suo curriculum
nazionale, capisco che poteva essere diverso. Speravo
perciò che la Segreteria lo avesse proposto all’interno e
all’esterno come “uno che può dare una mano all’Italia in
un momento come questo”. Non solo uno capace di difendere
con efficacia e autorevolezza gli interessi del Paese, ma
uno che potesse contribuire anche a costruire una
leadership europea.
Messa a partire dai suoi soli meriti interni al Paese e al
Partito forse non sarebbe stato lo stesso. Invece è
prevalso nel voto l’approccio partigiano. Invece di
chiedersi cosa poteva guadagnare o perdere l’Italia dalla
sua elezione, troppi si sono chiesti cosa ci guadagno o ci
perdo io dalla sua vittoria.
C’è chi attribuisce colpe ai giovani parlamentari appena
eletti che, con furia rottamatrice, hanno colto l’occasione
per
distruggere la vecchia guardia.
I giovani turchi che ruolo hanno avuto?
101 voti sono tanti. Ci può stare di tutto. Penso che a
prevalere siano state invece le ruggini passate, tanto più
che tanto passate non sono. E soprattutto che nonostante
venga meglio raccontarle come questioni personali sono vere
alternative politiche.
Matteo Renzi si proclama innocente ma la caduta di Prodi ha
“ammazzato il cavallo ferito”, eliminando Bersani. Quindi,
tutto sommato, lui ci guadagna. Lei lo assolve con formula
piena?
Ripeto è vero che Prodi ricorda il “cui prodest”. Ma messi
su questa strada ho cominciato a sospettare anche di mia
moglie e mio figlio.
Perché non è andata a buon fine la trattativa con Scelta
Civica? Quali contro partite chiedeva Mario Monti in cambio
dell’appoggio?
Come poteva finire una cosa che non era neppure iniziata?
La verità è che la quarta votazione è finita vittima della
quinta. Tutti volevano contarsi per trattare alla quinta su
posizioni di forza. E’ così che siamo finiti tutti più
deboli. Ma trattare su che? Anche dentro l’elezione per il
Quirinale in troppi hanno trattato guardando all’uovo di
domani invece che al pollaio di oggi. Concentrati sul
governo invece che sul sistema, sui prossimi sette mesi
invece che sui prossimi sette anni.
E’ così che chiamati a decidere dei sette anni futuri con
la rielezione di oggi di Napolitano siamo finiti solo per
prolungare i sette anni passati.
Quali sono stati gli errori più grossi del
partito e dei suoi leader dopo il voto di febbraio?
Quello di non aver riconosciuto che il film che si erano
fatti era finito. Subito. Nei cinque minuti successivi. Di
non aver riconosciuto che in condizioni normali con un voto
in più del 50% si può e si deve provare a governare il
Paese, ma che nelle condizioni attuali con il 20% degli
elettori si può fare strada. Ma indietro. Ma se Bersani non
lo ha riconosciuto dopo il voto è perchè l’errore lo aveva
fatto prima. Provando a battere il record di chi vince le
elezioni con meno voti possibili. E non è una battuta.
Perchè dietro questa c’è tutta la storia del gruppo
dirigente, e la nostra tragedia.
Veniamo ai destini del Pd. Un partito in cui “uno su
quattro”, come ha detto Bersani, promette un voto e poi non
mantiene, in cui non si capisce più chi comanda cosa, può
sopravvivere?
E’ quello che ci chiediamo in molti. La verità è che un
partito costruito sulla divisione e la spartizione tra gli
eredi di partiti diversi, e che quindi ha vissuto con la
paura di discutere per paura di dividersi, è destinato a
vivere di decisioni apparenti votate all’unanimità in modo
palese, e a morire quando le decisioni sono reali e vengono
prese a voto segreto.
Privato di un vero confronto il collettivo non è riuscito a
produrre per strada nessuna vera solidarietà.
Ultima domanda: visto com’è andata, lei si è pentito di
aver dedicato tante energie e tanto tempo a un progetto,
quello del Partito democratico, che sembra destinato a
essere ricordato come un fallimento?
Ci sono viaggi che si intraprendono anche senza essere
sicuri di arrivare, e battaglie che si aprono senza la
certezza di vincerle. Perchè è meglio rischiare di perdere
che essere sicuri di perdersi.