«Aspetto una parola da Bersani. Sento personalmente la
responsabilità di aver spinto molti a lasciare le vecchie appartenenze.
Per venire dove? In un partito che è semplicemente la continuazione
sotto una nuova etichetta della principale tradizione della sinistra?»
Caro Direttore, vedo sul suo giornale, addirittura in prima pagina,
Cappellini sfoderare la sua penna, come sempre brillante ed efficace,
contro il rischio che nel Pantheon del Pd «nemmeno Togliatti possa stare
più tanto sicuro». All’origine della «nuova lite Pd su Togliatti» –
questo è appunto il titolo dell’articolo – sarebbe nel caso Parisi –
cioè a dire il sottoscritto – che avrebbe aperto «un nuovo fronte di
polemica». Lite? Se il fine di Cappellini fosse stato mostrare che nel
Pd nemmeno su Togliatti si riesce ad andare d’accordo posso
rassicurarlo. In questo caso nel gruppo dirigente l’accordo sembra una
volta tanto unanime. Se per poter, non dico litigare, ma almeno
discutere bisogna essere almeno in due, di tutto c’è traccia in questo
caso all’infuori che di liti. Non mi risulta infatti che nessuno, dico
nessuno, nel Pd abbia avuto alcunché da dire di fronte al comunicato
dell’ufficio stampa del Partito che, interrompendo il lungo silenzio
agostano, ha segnalato l’iniziativa della Segreteria di commemorare del
46° anniversario della morte di Togliatti con una apposita cerimonia
presso il Cimitero del Verano dove vengono custoditi i resti di quello
che, tra i Segretari del Pci, è ricordato ancora oggi come “il
Migliore”. Ma ancora prima perché di tutto io stesso avevo intenzione
all’infuori che «aprire una nuova lite». Una discussione seria, sì, ma
non una lite, perché lite non può essere definito un confronto su una
questione serissima come questa a meno che essa non venga condotta in
modo banalmente litigioso. Come Cappellini può facilmente rilevare dalle
agenzie, quella che ho rivolto a Bersani in quanto promotore della
iniziativa è stata una semplice domanda: perché il Pd commemora
Togliatti? O una domanda di questo tipo è di per sé una provocazione
perché dovrebbe essere evidente a tutti che la risposta è scontata? È
appunto infatti della natura scontata di questa eventuale risposta che
sento la necessità di parlare. Non ci troviamo infatti qua a discutere
di persone, né del giudizio e della memoria di esse, ma del rapporto che
nel promuovere una celebrazione ufficiale, un partito – che nel caso è
il mio partito – vuole ribadire e rendere manifesto. Perché, ad esempio
non abbiamo celebrato il 27 aprile il 73° anniversario della morte di
Antonio Gramsci? Né mi è dato di ricordare che abbiamo mai celebrato il 6
settembre l’anniversario della morte di Gaetano Salvemini, del quale
ricorrerà quest’anno il 53°. Perché non ci siamo recati il 5 marzo sulla
tomba di Emilio Lussu per deporre una corona in memoria di quello che
resta uno dei più grandi esponenti del movimento democratico italiano e
sardo? E dire che quest’anno sarebbe stato un anno tondo visto che
ricorreva il 35° anniversario della morte. Chi è dunque per il Pd il
Palmiro Togliatti. la cui morte la Segreteria propone di celebrare ad
ogni anniversario? È questa la semplice domanda che ho posto a Bersani.
Mi dispiacerebbe riconoscere che la memoria di Togliatti è unica e
incomparabile per il semplice fatto che il Pci non è per la storia del
Pd un partito qualsiasi e quindi è «naturale» ricordare Togliatti,
perché è naturale che un partito commemori, ogni anno, i grandi
segretari del suo passato. Questo e solo questo è il problema che
intendo oggi porre: è il Pd quel partito nuovo che afferma di essere, o,
è semplicemente la continuazione sotto una nuova etichetta della
principale tradizione della sinistra, più o meno integrata da una
componente democristiana, come molti pensano? È una domanda che, di
fronte ai troppi episodi che, soprattutto sotto la segreteria Bersani,
vanno moltiplicandosi con lo stesso segno sento di avere personalmente
il dovere di porre e intendo continuare a porre. Tra i tanti dirigenti
che avrebbero sognato il Pd fin da bambini, sento personalmente la
responsabilità di aver spinto e incoraggiato molti a lasciare le vecchie
case per costruirne tutti assieme una nuova, la responsabilità per
quanti temono di essere finiti, anche a causa mia, in una casa diversa
da quella che avevamo loro promesso. È questa peraltro una questione che
deve porsi chiunque lavora per offrire agli italiani una alternativa a
Berlusconi nel momento nel quale si prospetta di nuovo la possibilità di
dover chiedere ai cittadini il loro voto per il Pd come un partito
nuovo. Come dimenticare infatti che proprio sull’appello
all’anticomunismo, quello democratico e quello antidemocratico, ha
costruito le proprie vittorie? Proprio se Bersani, come dice Cappellini,
ha altro per la testa, farebbe bene, a differenza di quel che dice
Cappellini, a inserirla nei primi punti della sua agenda.