Oggi 9 dicembre il contrastato provvedimento sul “Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna” dovrebbe entrare in dirittura di arrivo.
Anche solo a stare alle attese, per quanti hanno invano cercato di ottenere almeno una moratoria che consentisse un confronto e una riflessione, seppure nella amarezza della sconfitta, verrebbe da dire “chapeau”.
“Giù il cappello” difronte ai vincitori del momento per l’apparente tranquillità del contesto, ben diverso dalle appassionate proteste annunciate sotto il Palazzo del Consiglio Regionale. “Giù il cappello” per la sostanziale tenuta sul testo del quale non sembra che la Giunta sia disposta a cambiare se non qualche parola.
“Chapeau” perchè è meglio riconoscere una vera sconfitta che celebrare una finta vittoria.
Tre volte “chapeau”. Innanzitutto “chapeau” al Presidente Pigliaru, che ha colto l’occasione offertagli dalla cosiddetta legge Delrio per volgere, con le promesse e con le minacce, il potere pieno ed esclusivo riconosciuto alla Regione in tema di autonomie imponendo alla Sardegna una scelta destinata a segnare, come poche, la storia futura dell’Isola. Immediatamente dopo “chapeau” all’attuale vertice PD, che di questa Presidenza è origine e referente primo, perchè, pur nella tradizionale concordia discorde, ha spinto e sostenuto Pigliaru ad interpretare gli interessi immediati del territorio che, come mai in passato, accomuna i dirigenti che lo compongono. “Chapeau” soprattutto per la determinazione con cui la Giunta ha difeso i contenuti della scelta, e, in particolare, quello che pur non unico è nel provvedimento quello qualificante, quello di costituire Cagliari e solo Cagliari in “città metropolitana”. Una scelta che nessuna delle regioni a noi comparabili si è sentita di fare: nessuna di quelle a Statuto Speciale, nessuna delle altre regioni meridionali, e neppure la vicina Corsica: concentrare tutte le strutture e risorse della regione in uno ed in un solo centro in contrasto con la millenaria storia policentrica che ha connotato la storia passata della Sardegna.
Certo una scelta facilitata dalla dilazione e dalla distrazione del dibattito pubblico e dal contributo attivo di canali partitici avvezzi a favorire l’esecuzione piuttosto che la partecipazione. Certo una scelta resa accettabile dall’alibi di conquiste e concessioni meramente verbali mai così fantasiose: dalle unioni a valenza metropolitana, alle città medie più o meno in rete, alle invenzioni ad hoc “alla carta”. Certo una scelta aiutata dalla timidezza della resistenza e antica acquiescenza di troppi. E tuttavia una volta tanto non l’adempimento di ordini nazionali dei quali accusare Roma, ma una scelta autonoma difronte alla storia futura.
Se è purtroppo inevitabile riconoscere la vittoria a breve della Giunta Pigliaru nell’imporre il suo progetto, difficile è invece ancora a tuttoggi capirne le motivazioni che spieghino il suo senso se non come il fatale compimento di un processo pluridecennale di concentrazione su Cagliari della vitalità dell’Isola. Nonostante il recente dibattito esterno chi cercasse negli atti una spiegazione adeguata delle ragioni della scelta che sta all’origine del provvedimento non può che rimanerne deluso, per il semplice fatto che la Giunta non ci ha neppure provato. Con l’alibi di contrastare il moltiplicarsi di domande si è passati a ribadire il “se” e a regolare il “come” saltando a piè pari il “perchè”.
Difronte a questa sicura ancorchè precaria e amara vittoria della Giunta resta perciò inspiegata la sconfitta della Sardegna: di quella tagliata fuori da Cagliari, ma, col tempo si capirà, anche della stessa Cagliari.
Non fossaltro perchè, come lo stesso svolgimento della riunione preparatoria dei Sindaci questa mattina ad Abbasanta ulteriormente dimostra, Cagliari non è il centro della Sardegna e, nonostante l’inesorabile e irrazionale sviluppo del processo di accentramento di funzioni e risorse, difficilmente lo diventerà in un tempo prevedibile.