23 Aprile 2013
RESA DEI CONTI NEL PD?. tratto dal settimanale Libertà
“Il nostro Settimanale non è stato mai insensibile, e non lo è oggi, alla presenza dei cattolici in politica, tanto più quando si tratta di laici della nostra Chiesa locale impegnati nell’agone civile. Abbiamo avuto, a suo tempo, qualche perplessità mentre si costruiva e si realizzava l’incontro, per noi acerbo, tra PD e Margherita: un incontro reso difficile dalla storia del comunismo ideologico e del suo rapporto aspramente conflittuale con i cattolici. Abbiamo constatato e sottolineato fino a ieri l’irrilevanza e l’insignificanza dei cattolici che erano entrati a far parte in modo strutturale del PD. Gli eventi di questi giorni sermbrano ribadire crudamente l’inconciliabilità delle due anime. Nascono, allora, domande legittime e urgenti: I cattolici devono continuare ad essere condannati all’angolo nella politica italiana? Quale il futuro dei laici credenti presenti nel PD? Forse si apre davanti alla società del nostro Paese la necessità di un partito aperto a nuove istanze politiche interculturali e interreligiose e soprattutto pronto a lottare per mettere in primo piano la ricchezza di valori che la cultura cattolica porta con il suo umanesimo, ancora eccezionalmente attuale. Attorno a queste considerazioni raccogliamo il contributo ragionato ed esperto di un politico sassarese, sempre in prima linea, per portare l’identità cattolica all’interno del magma, oggi informe, della politica italiana, inconcludente se non distruttiva.”
ARTURO PARISI
Cominciamo innanzitutto dagli “eventi”. Quelli “di questi giorni” e quelli che, a partire dalle primarie hanno portato il Pd sulle pagine dei giornali. Ripassiamoceli da Sassari. Le contese per le nomine dei parlamentari. Le polemiche per l’occupazione delle banche. Lo scontro per il Quirinale.
Anche a stare ai titoli è onestamente difficile contestare la verità del titolo: “resa dei conti nel Pd”. Difficile non riconoscere il crescere di uno scontro per le posizioni di potere: uno scontro scomposto, sfuggito al governo delle regole, risolto ogni volta nell’ombra da colpi di mano di una parte, premessa per altri colpi di altre mani. Ma scontro tra chi e scontro per che?
Possiamo ricondurre la sua origine all’incontro troppo acerbo tra comunisti e cattolici che in occasione della fondazione del Pd aveva alimentato le perplessità di Libertà? Possiamo dire che il suo esito accentua “l’irrilevanza e l’insignificanza dei cattolici entrati nel PD”? Possiamo concludere che questi eventi ribadiscono “l’inconciliabilità delle due anime” e quindi per i cattolici l’unica soluzione per uscire dall'”angolo al quale sono stati condannati”, è riconoscere di nuovo “la necessità di un partito pronto a lottare per mettere in primo piano la cultura cattolica”?.
Dipende. Se guardiamo ai contendenti è innanzitutto difficile riconoscere che la contesa è tra “cattolici” e “non”, comunque si definiscano i “cattolici” e comunque si definiscano i “non”. Così è per i parlamentari dove “cattolici” erano imposti dall’alto e “cattolici” eletti dal basso. Così per le banche. Così nelle ultime vicende romane nelle quali troviamo “cattolici” sia tra i candidati che tra chi li ha bocciati: in prima fila tra i primi così come tra i secondi.
A stare alle persone, alla loro provenienza e ai posti occupati è perciò improprio parlare di emarginazione dei cattolici, men che mai di guerre di religione. Partiti nell’ ‘800 in nome dell’Italia reale contro l’Italia legale dominata dall’anticlericalismo laicista, in qualche situazione può addirittura accadere che i cattolici siano nell’Italia legale più presenti che in quella reale.
Ma lo stesso non si può dire quando invece che alla difesa delle sedie e dei sederi (mi si consenta da sassarese un pò di “cionfra”) si guarda alla conquista dei cuori e delle menti, alle anime invece che ai corpi.
E’ di questo che dobbiamo preoccuparci, dell’avanzare incessante di un sistema di valori materialistici nella prassi prima ancora che nelle idee, che si è consumato purtroppo mentre al centro e non nell’angolo stavano partiti che, spendendo direttamente in politica il nome cristiano, avrebbero dovuto diffondere quei valori cattolici dei quali giustamente Libertà si preoccupa.
Che i cattolici siano una minoranza nel Pd è una realtà, e tuttavia non può essere nè una sorpresa nè uno scandalo.
I cattolici sono minoranza dappertutto. E’ bene prenderne definitivamente coscienza. Nel mondo che avanza, un mondo sempre più secolarizzato e ora anche da noi multireligioso, la nostra condizione di “piccolo gregge” non è più solo la figura evocata dal vangelo di Luca. I cattolici sono minoranza dappertutto. Lo erano nella Dc a dispetto del suo nome esigente. Lo sono, anche se in diversa misura, in tutti i partiti. E minoranza sono anche nel Pd che, per quanto possa sorprendere, raccoglie tuttavia tra i suoi elettori in termini assoluti il numero maggiore di cattolici.
Se il riferimento è alla fede, e non ai soli costumi, non è tuttavia la quantità e l’estensione che misura la presenza cattolica, ma la qualità e l’intensità, non il loro peso statico ma la loro funzione dinamica. Non a caso quando dobbiamo evocare una immagine per definire la presenza dei cristiani nel mondo facciamo riferimento all’anima, al sale, al lievito.
Non è cedendo alla tentazione di appartarci su una tenda sul monte che possiamo corrispondere alla nostra chiamata, ma mettendoci in gioco tra gli altri come anima, sale e lievito forti della nostra fede, della condivisione della mensa eucaristica, e della compassione verso il prossimo.
Quello che possiamo e dobbiamo chiedere allo Stato, ai partiti, e al partito che ognuno di noi ha scelto come porta di accesso alla casa di tutti, è solo che si faccia accogliente e aperto alle nostre ragioni anticipando al suo interno quel confronto che cerchiamo con tutti.
Non è il partito laico che ci preoccupa, ma un partito laicista che ci chieda di aderire ad una sua ideologia incompatibile con la nostra fede, non il partito secolare ma un partito che si fa strumento di secolarizzazione per contrastare a annullare, assieme alla nostra, ogni fede.
Questo è il pericolo che nel Pd come cattolici abbiamo a noi difronte. Ma se la soluzione non è farci dentro la comunità un nostro partito, come tenda appartata, anche dentro il partito non sarà una nostra tendina la garanzia della nostra identità.
Anzi proprio le vicende del Pd, il rischio che, abbandonato il progetto iniziale di partito nuovo, laico e democratico, il partito finisca dominato dalla sua componente maggiore dimostra quanto pericolosa sia la tentazione di appartarsi. Per una componente quantitativamente minoritaria, quali sono appunto i cattolici nella società come nel partito, farsi nel partito un partitino, che rivendica una quota, significa riconoscere al partito una identità diversa della nostra, autorizzarlo e spingerlo a tornare al partito che fu della sua maggioranza, segnato dalla sua eredità, dai suoi simboli e dalle sue parole. E’ così che partiti per difendere i corpi i cattolici del Pd rischiano di perdere l’anima. Rivendicare una nostra presenza separata significa riconoscere che tutto il resto è diverso da noi, che se noi siamo l’eccezione loro sono la norma, che se noi siamo una parte loro sono il tutto.
Un errore se pensato a partire dalla voce che ci chiama ad animare la politica , una colpa se pensato a partire dagli interessi di assicurarci una quota per soddisfare il nostro corpo.