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13 Marzo 2014

RENZI ORA E’ COSTRETTO A CORRERE
Intervista a Goffredo Pistelli, ItaliaOggi p.5

Renziano ma fiero sostenitore del maggioritario classico, Arturo Parisi, ulivista doc e già ministro col Prodi non è un tifoso dell’Italicum e lo dice. Ma con una misura ad altri ignota nel Pd.

Domanda. C’è aria di fronda nel Pd: le polemiche (e forse i voti) sulla parità di genere, sulle primarie, sulle preferenze, più che dal merito parevano dettate dalla volontà di affossare l’accordo con B. Che ne pensa?

Risposta. Fronda? Diciamo pure lotta sorda. Anche a stare solo ai commenti di Renzi e degli altri esponenti sullo spettacolo che è andato in Aula alla Camera non mi sembra che consentano dubbi. Quello al quale abbiamo assistito è stato il terzo turno delle primarie. Dopo il voto riservato agli iscritti, e quello aperto agli elettori, questo è stato il turno dei parlamentari. Sarebbero bastati 11 voti sull’emendamento Gitti, quello sulla doppia preferenza di genere, e tutto sarebbe stato rimesso in discussione.

D. E il merito?

R. Chi, come me, ha seguito il dibattito guardando al merito guidato dalla preoccupazione per l’interesse generale ha sofferto più che mai. Troppi gli argomenti giusti spesi da persone sbagliate per motivi inconfessabili. Troppi gli argomenti sbagliati sostenuti per motivi magari comprensibili ma a fini assolutamente strumentali. È così accaduto di sentire partitisti convinti e perciò avversari coerenti della democrazia delle primarie e delle preferenze improvvisarsi come loro paladini. Ed altri che con me hanno combattuto le liste bloccate schierati a difesa delle nomine pur di tener fede al patto stretto con Berlusconi e difendersi così dall’assalto dei nemici interni. Spero proprio che i ragazzi non ci abbiano seguito. Se non riusciremo a dare un senso politico e morale, a quello che hanno visto, è bene prepararsi a fronteggiare una stagione di precoce cinismo.

D. Lei al contrario, i suoi dubbi sull’Italicum li aveva espressi pubblicamente da tempo. Penso alla sua immediata protesta contro le liste bloccate.

R. È l’unico punto, il criterio di giudizio, che ho cercato di non perdere di vista. Il punto sul quale dobbiamo purtroppo dire che i cittadini hanno sicuramente perso. E questo non perchè creda che le liste bloccate siano incompatibili col nostro patto costituzionale. E nemmeno perchè si possa dire che non ci siano paesi sicuramenti democratici nelle quali esse siano previste.

D. E allora perchè?

R. Ma perchè una volta che abbiamo privato i cittadini del diritto di scegliere i loro rappresentanti, o anche solo della illusione di averli potuti scegliere o rifiutare, a chi potremmo oggi trasferire questo potere con la speranza che essi li riconoscano poi come effettivamente legittimi e quindi si riconoscano in essi. A chi? Ai partiti? A partiti come i nostri circondati come mai prima e altrove di una sfiducia così estesa e profonda? È appunto questa, soprattutto questa, non altra, la domanda che due anni abbiamo raccolto in un mese d’estate sui nostri banchetti e sottoposto alla Corte perchè consentisse di abrogare con un referendum la legge che ora ha dichiarato essa stessa incostituzionale. Ebbene è proprio questa domanda, quella che avevamo presentato rispettosamente alla Corte, prima che la bufera esplodesse nel voto dello scorso anno, che è stata ora respinta come fu respinta allora. Direi anzi che il rifiuto di questa domanda è appunto la pietra angolare attorno alla quale Renzi è stato costretto ad accettare l’Italicum come accordo tra il Pd, Berlusconi e Alfano. Lo scambio, il cuore dell’accordo, quello al quale Renzi ha finito per affidare la sua stessa tenuta, è stato appunto quello tra rappresentanza e governabilità.

D. Vale a dire?

R. Noi riconosciamo a Berlusconi col diritto di nomina dei parlamentari il potere sul suo partito e il suo campo, ad esclusione dei capi dei partiti satelliti garantiti dalle candidature multiple. Tu favorisci la governabilità con le riforme costituzionali e una competizione bipolare a doppio turno. Quello che abbiamo consegnato oggi a Berlusconi alla Camera sul tavolo della democrazia è appunto il potere di decidere della rappresentanza, sottraendolo ai cittadini. Vedremo domani cosa succederà al Senato sul tavolo della governabilità, a cominciare appunto dalla riforma dello stesso Senato.

D. C’è un’uscita onorevole su questa riforma?

R. L’uscita la vedremo all’uscita. Per ora siamo appena all’entrata. L’approvazione della legge elettorale alla Camera, e per di più limitata solo alla Camera, è solo la metà di un terzo del pacchetto in tre punti concepito come figlio dell’incontro tra Renzi e Berlusconi. Direi che col voto alla Camera, Renzi ha superato il confronto con l’opposizione interna al Pd che operava appunto all’ombra del voto segreto. Inizia adesso al Senato la partita in campo aperto sulle riforme istituzionali. Sarà questa a dirci se e, soprattutto, quando sarà possibile uscirne. Non credo che Renzi abbia altra alternativa che continuare a correre.

D. Per fare cosa?

R. Correre in questo caso significa puntare ad approvare il più presto possibile in prima lettura al Senato le riforme costituzionali relative agli altri due punti del pacchetto. Senza la conferma di questo obiettivo e l’assicurazione concreta della sua raggiungibilità, lo stesso Italicum perderebbe il suo senso, e, anzi, dimezzato com’è alla sola Camera proverebbe la sua insensatezza.

D. Renzi premier s’è forse scordato d’essere anche Renzi segretario? Può bastare controllare il Nazareno o lui, e i suoi, devono fare di più?

R. Solo Letta poteva illudersi che al centro delle primarie restasse il solo Nazareno e non Palazzo Chigi. Ma Palazzo Chigi c’era di certo per quella che Renzi riconosce come una «smisurata ambizione», ma soprattutto perchè appunto l’azione del Governo e non il Nazareno era ed è ancora al centro dell’agenda dei problemi degli italiani. Se al Nazareno, forse, pensavano gli iscritti del partito nel primo turno delle primarie, non era al Nazareno che di certo pensavano gli elettori che nel secondo turno ad essi aperto hanno assunto Renzi come referente della loro domanda di futuro e della loro profonda scontentezza verso il presente. Verrà quindi il momento che il Nazareno tornerà a ritrovare il suo rilievo, ma non è certo adesso. La prova che deve ora superare è quella del governo.

D. Non trova tuttavia che in parecchie primarie, a livello locale, si vedono segnali di riflusso?

R. Questo mi sembra al momento il segnale che dovrebbe preoccupare Renzi più di ogni altro. Non tanto il fatto che qua e là, per le cariche di partito o per la guida delle amministrazioni locali, possano vincere esponenti provenienti della minoranza, ma che al principio della investitura diretta da parte degli elettori torni a sostituirsi come fonte di investitura l’accordo dei capicorrente, in alternativa alle primarie o nel loro rispetto apparente. Prima che il rafforzamento del potere degli apparati che, dietro il conformismo formale, restano comunque a Renzi oggettivamente ostili, verrebbe così minato il fondamento della sua stessa legittimità personale. Con quale forza potrebbe continuare ad evocare a fondamento del suo diritto di comando il voto degli elettori delle primarie, nel momento in cui le stesse primarie vengono delegittimate. E per di più proprio in un momento in cui, per compiacere Berlusconi, non solo il partito ha bocciato in Parlamento la proposta di introdurle nell’Italicum come obbligo di legge per contrastare le liste bloccate, ma, adirittura ha escluso l’ipotesi di una loro introduzione per legge ancorchè solo facoltative.

D. Che cosa ha fatto bene e che cosa ha sbagliato Renzi, sin qui?

R. Diciamo innanzitutto che dal suo punto di vista il bilancio è ancora positivo. Tutti debbono augurarsi che lo sia alla fine anche per tutti noi. Per ora le mosse azzeccate sono soprattutto quelle politiche. All’interno del suo campo politico, la scelta di una linea competitiva che, grazie alle primarie, ha affinato nel tempo la capacità di saltare la palude partitica stabilendo un contatto diretto con i cittadini. All’esterno del centrosinistra la linea del confronto con Berlusconi riconosciuto come principale avversario, scommettendo sul suo interesse convergente ad una dinamica bipolare e competitiva. Tutto il resto, nei rapporti interni e in quelli esterni, è invece ancora dubbio: contenuti, toni, misure.