Walter c’è, ma anche no. E da oggi di
nuovo sì. Pierluigi non si sa, anzi no. Nichi e Tonino sono in pista
(anche se qualcuno dei loro supporter si è arrabbiato). Dario ha detto
sì ieri.
Massimo non ci pensa proprio. Romano si è aggiunto a sorpresa,
cambiando tutti i termini del confronto e i rapporti di forza di questa
complicata partita. Non è un gioco di società, ma la sintesi un po’
brutale di quello che sta accadendo nel centrosinistra in queste ore,
intorno al referendum anti-Porcellum e al thrilling della
raccolta-firme. Non è uno scherzo, ma un piccolo valzer in cui il
pronunciamento del padre dell’Ulivo sta costringendo tutti i dirigenti
del centrosinistra a un precipitoso dietro-font.
Gli osservatori
attenti, nei giorni scorsi, avrebbero potuto notare un interessante
movimento anticiclico, all’aeroporto di Fiumicino. Mentre tutti gli
italiani tornavano dalle vacanze c’era un uomo di piccola statura che si
trasportava dietro, all’imbarco di un aereo per la Sardegna, un bustone
pieno di moduli. Se ti avvicinavi bene, mentre parla ad alta voce con
il suo arcaico Communicator della Nokia, lo riconoscevi subito. Si
trattava di Arturo Parisi. L’ex leader dell’Asinello
stava volando a Sassari, a Castelsardo e Cagliari per raccogliere firme,
per l’ennesima tappa di un tour che lo ha visto girare come una
trottola per tutta l’estate.
Per cosa? Ma per il referendum,
ovviamente. Entro la fine di settembre (il 25) i promotori devono
mettere insieme 500mila firme per poter sperare che il quesito sia
sottoposto agli elettori. Anzi, i quesiti sono due (che perseguono un
unico fine) e hanno una finalità chiarissima: abrogare la legge
Calderoli che garantisce i nominati in Parlamento con le liste bloccate.
Un
miracolo che – se la Corte Costituzionale decidesse di convalidare il
quesito – è reso possibile da un errore madornale del ministro leghista:
invece di abrogare la vecchia legge (il cosiddetto Mattarellum, con il
75% uninominale e il 25% proporzionale ) si era accontentato di
emendarla, pur di fare prima. Un errore fatale, che adesso permette il
referendum abrogativo. Cancellando gli articoli nuovi, si re-suscita la
vecchia legge. Con un solo elemento di dubbio: i collegi elettorali, che
non esistono più, ma che sarebbero comunque dovuti essere ridisegnati.
Si accontenteranno di questa interpretazione “estensiva” i giudici? I
promotori del referendum giurano di sì.
Parisi sorride: Walter
Veltroni, con un dietrofront clamoroso, aveva partecipato alla
conferenza stampa del comitato promotore e poi si era tirato indietro
quando Pierluigi Bersani aveva tirato il freno a mano
fermando l’ex segretario con una dichiarazione di moratoria su qualsiasi
raccolta firme: “I partiti non promuovono referendum, lavorano in
Parlamento”. E Parisi, solo tre giorni fa, alzava le spalle e risponde
con un sorriso: “Non dico che sia un bene, ma nemmeno un male. Ci
servono tutti, ovvio, ma questo referendum, come tutti gli altri, ha
bisogno della società civile per vincere. Non dei generali”. La cosa
divertente è che – in meno di 24 ore – il vento è già cambiato.
Veltroni, dopo quel clamoroso ritiro, adesso fa sapere che ha cambiato
di nuovo idea, e stamattina andrà a firmare in un banchetto al Pantheon.
Ha fatto altrettanto il costituzionalista Stefano Ceccanti. Anche lui
veltroniano. Anche lui, dopo la direzione (il 19 luglio, non un anno
fa) aveva detto: “Non c’è più bisogno del referendum”. Adesso cambia del
tutto direzione e dice: “L’unico treno per le riforme è quello di
Parisi”. Sempre lo stackanovismo di Parisi aveva aperto un’altra breccia
nel muro dello stato maggiore diessino: allestire un banchetto in
piazza Santi Apostoli “ad personam” (battuta del Professore) per
raccogliere soprattutto una firma: quella dell’ex sottosegretario Vannino
Chiti, uomo forte del Pd in Toscana.
Ma, a parte
l’eroismo solitario di Chiti, quello che ha fatto la differenza per
tutti gli altri sono le poche righe di Prodi: “Vogliamo impedire che la
‘legge porcata’ sporchi anche il prossimo Parlamento: lo dicono in
troppi da 6 anni, ma il porcellum è ancora lì. Firmate per consentire al
popolo di abrogarla”. Il conto degli obiettivi è presto fatto: 150mila
firme le raccoglie Sinistra e libertà di Nichi Vendo-la,
150mila l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro,
200mila il comitato referendario (tra queste 40mila l’associazione
dell’Asinello). I promotori del quesito contano anche sui risultati
sorprendenti dell’auto-raccolta. Ovvero delle firme che arrivano dai
consigli comunali. Ancora una volta, a sinistra, i referendum rompono le
alleanze e disturbano i piani degli stati maggiori. Se il porcellum
venisse abrogato ballerebbero tutti i leader.