Professore, partiamo dall’ultimo avvenimento: alle primarie di coalizione in vista delle comunali di Napoli potrebbe partecipare anche Ncd. Potrebbe perché dopo l’annuncio di ieri e le proteste della minoranza del Pd il partito di Alfano ha fatto un mezzo dietrofront. Lei, considerato il padre delle primarie, si sarebbe mai aspettato di arrivare fino a questo punto?
“Non è una novità. Prima dei problemi aperti dalle primarie viene qua ad evidenza una interpretazione distorta della democrazia maggioritaria. L’idea che pur di vincere si possa mettere insieme tutto e il contrario di tutto, dimenticando che la democrazia governante, l’ispirazione che ci guida da sempre, ha come fine il governo non la semplice vittoria elettorale. E peraltro fu questa l’accusa che fin dall’inizio proprio noi rivolgemmo a Berlusconi, alle sue coalizioni improvvisate e improvvisabili solo grazie ai suoi mezzi e ai suoi media. E allo stesso tempo fu questa la prima posta di quella scommessa che chiamammo Ulivo. Dimostrare saper mettere in campo una alternativa migliore, una coalizione capace non solo di vincere ma di governare, costruita attraverso una lunga fatica alla luce del sole, su un programma comune e addirittura sul progetto di un’Italia diversa, un progetto che tenesse nel tempo.”
Il tutto mentre, nei giorni scorsi, la vicesegretaria Debora Serracchiani ha parlato di una norma interna al Pd che avrebbe escluso dalla corsa alle primarie per le comunali di Roma e Napoli Ignazio Marino e Antonio Bassolino. Poi, anche stavolta, c’è stato il dietrofront. Un bel pasticcio.
“Mi sembra che pasticcio sia la parola esatta. Spero veramente che il tempo della moratoria proposta da Renzi serva a una riflessione, e non solo a un rinvio.”
Ma le primarie così come si sono svolte finora nel Pd funzionano o è necessario qualche cambiamento?
“Basta capirsi. La verità è che i nodi volta a volta annodati hanno una sola origine: il tentativo, ripeto, il tentativo ripetuto,non solo la tentazione, di fare le primarie ma anche di non farle. L’idea di trasformarle nella conferma pubblica di una decisione già presa in privato.”
Più volte, in passato, si è vociferato sul fatto che Renzi non sia così propenso a continuare a farle. Ma allora non converrebbe eliminarle del tutto o, al contrario, regolarle per legge, in modo che tutti i partiti siano ‘costretti’ a farle?
“La seconda è una meta che non possiamo smettere di perseguire, ma che tuttavia è ancora lontana. Quanto all’eliminazione, potrei dire: ci provino. Mi accontenterei intanto che almeno Renzi e il Pd che delle primarie sono figli e padri, mettessero fine a questa voce. Sono infatti ormai molti mesi che questa voce gira. Troppi per un partito che delle primarie ha fatto il suo mito fondativo. E troppi per un leader che più di ogni altro proprio dalle primarie deve tutto intero il suo percorso politico. È per questo che continuo a non riuscire a credere che queste voci abbiano un fondamento solido”
Non sarà che il segretario-premier ha paura che, a Napoli, un’eventuale vittoria di Bassolino metterebbe la parola “fine” sulla rottamazione? Con De Luca è successa la stessa cosa…
“Diciamo una battuta d’arresto, se la rottamazione fosse solo un nuovo nome per definire la banale necessità di avvicendamento tra leve del personale politico. Sarebbe invece una vera sconfitta se la rottamazione fosse, come si era inteso, un cambiamento, non tanto dei politici, ma delle forme politiche. Un cambiamento ad hoc delle regole, dimostrerebbe che i nuovi riescono a vincere solo con i vecchi trucchi.”
A proposito di De Luca: vista la sua situazione giudiziaria lei, al posto di Renzi, gli avrebbe permesso di candidarsi?
“Renzi? Che c’entra Renzi? Ci vorrebbe pure che proclamato contemporaneamente re, giudice e profeta, dipendesse da lui tutto quello che accade: in cielo, in terra, e in mare. Tra tanti problemi apparenti due almeno sono chiari: alle primarie dovrebbe poter votare solo chi può votare alle secondarie, e candidarsi solo chi può candidarsi alle secondarie.”
Sempre su Bassolino: farebbe comunque bene a candidarsi?
“Se ha alzato la mano, vuol dire che pensa di avere per il futuro di Napoli una proposta che altri non hanno ancora avanzato. La parola ora è agli altri. Il giudizio finale ai cittadini.”
Torniamo un attimo a Marino: secondo lei dovrebbe ricandidarsi alle primarie del centrosinistra a Roma?
“Questa è una domanda che solo Marino può rivolgere alla sua coscienza. Nella mia idea di democrazia, chi ha qualcosa da dire deve dirla. Senza chiedere il permesso nè accettare divieti.”
Come giudica il modo in cui lo stesso Marino è stato fatto decadere da sindaco della Capitale, proprio per mano del Pd?
“Vorrei dimenticarlo. Una gara a chi sbaglia di più. Come dicono a Bologna: una gara dura. Una gara vinta purtroppo da Marino, anche se con l’aiuto di troppi.”
Oggi sul Fatto Quotidiano Franco Monaco la chiama in causa e scrive di una “manifesta deriva centrista del Pd”. Si parla molto, negli ultimi mesi, di “Partito della nazione”. Scenario che ha portato il Pd a perdere alcuni esponenti importanti: Civati, Fassina, D’Attorre?
A parte la deriva centrista che richiederebbe un discorso più lungo, sul “partito della Nazione” Monaco e tutti gli altri che, a cominciare da Veltroni, hanno levato la loro voce, hanno ragioni da vendere. All’inizio l’avevo intesa come l’ambizione del Partito di rivolgere la propria proposta certo a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione pregiudiziale: ripeto, rivolgersi a tutti, ma pur sempre a patire da una propria proposta specifica. Pur preferendo, nel caso, per la nostra parte la definizione di “Partito della Repubblica”, essendo la Nazione una locuzione tradizionalmente più frequentata dal Centrodestra, dissi che nella mia idea di politica una democrazia che non dispone almeno di due partiti della Nazione, due partiti distinti e perciò alternativi, è una democrazia a rischio. Il passaggio da un unico Partito della Nazione al Partito unico della Nazione è infatti sempre in agguato. Il modo col quale la formula del Partito della Nazione è stata finora declinata nella comunicazione e nella prassi la rende tuttavia a questo punto più che equivoca indifendebile. Prima viene abbandonata e meglio è.”
Sempre Monaco aggiunge: “Tra il ‘nome’ Pd e la ‘cosa’ da noi intensamente voluta si è aperto un fossato che mi pare incolmabile”. È così?
E’ una denuncia che Monaco va ormai svolgendo da tempo. Una denuncia in molti punti fondata. Diverso è invece il mio giudizio sulla proposta politica che da questa denuncia Monaco fa derivare, una proposta che avevo considerato finora una provocazione appassionata, ma che sento ora invece come un progetto politico. L’idea che una separazione consensuale e amichevole possa dividere nel Pd il centro dalla sinistra, e poi, grazie ad un nuovo incontro, ancora più consensuale e amichevole della separazione, si possa ricostituire quel centro-sinistra col trattino dal quale ventanni fa muovemmo i primi passi. Un progetto così teso ad un amichevole incontro futuro, da rendere incomprensibile la separazione consensuale presente. Monaco ha ragione quando dice che il Pd non è l’Ulivo, ma il nostro Ulivo ulivista è a mio parere da esso meno lontano che a l’Ulivo dei partiti al quale ci riporterebbe il progetto di scomposizione e ricomposizione che lui auspica. Nell’approdo quel progetto ci riporterebbe infatti – che bello! -esattamente al punto di partenza, all’Ulivo dei partiti, uniti e divisi dai trattini, contro il quale venti anni fa combattemmo fin dal primo giorno.
No. Per chi, dentro il Pd, non è contento di questo Pd, cioè della linea che legittimamente Monaco contesta, non vedo alternative ad una battaglia interna che, muovendo da una opposizione nitida e riconoscibile, punti alla conquista della guida del Partito e, prima ancora, grazie alla difesa delle primarie, dell’intero campo di centrosinistra. Chi invece ritenesse ormai il “fossato incolmabile” non ha alternativa che competere col Pd in campo aperto, puntando direttamente, di nuovo grazie alle primarie, per le primarie e dentro le primarie, alla guida del campo di centrosinistra. Tutto il resto è testimonianza.”