[versione originale, poi leggermente modificata per motivi di spazio nella versione finale andata in stampa]
Si aspettava questo risultato alle Regionali?
“Ero preparato. E da tempo. Per quanto riservati i sondaggi che circolavano non hanno mai lasciato illusioni. Una volta sceso in campo Zedda l’unico spiraglio aperto alla speranza era una esplosione di un voto disgiunto tra quello mobilitato dal candidato Presidente e quello alle liste. Un fenomeno che in tutte le elezioni nelle quali questo è consentito è stato sempre contenuto e comunque di gran lunga inferiore a compensare il gap evidente tra la somma dei voti di lista delle due coalizioni in campo.”
Ma Zedda era il candidato giusto? E poteva fare di più?
“Era di certo il migliore. Purtroppo è partito tardi. Non certo per colpa sua. Comunque troppo. Troppo per la durezza della prova e per la congiuntura regionale e nazionale nella quale si è svolta la competizione. E questo ha influito negativamente. Sulla formazione della coalizione, ma ancora di più sulla sua costruzione. L’esperienza che ho fatto a livello nazionale, soprattutto quella delle elezioni con Prodi nel 1996 e nel 2006 , mi hanno insegnato quanto questo sia importante. In entrambi i casi abbiamo investito in questo processo di gestazione più di un anno. Sul piano programmatico, relazionale, e non di meno su quello comunicativo e simbolico.”
Secondo lei, la sconfitta del centrosinistra nasce dall’insoddisfazione sulla Giunta uscente? O hanno prevalso le dinamiche nazionali?
“Tutte e due. L’inadeguata comunicazione dei risultati raggiunti e all’opposto la propaganda efficace delle cose che sono andate andate a male. Ma senza la prevaricazione della dinamica nazionale sulle vicende sarde la storia sarebbe stata certamente diversa.”
Cioè sta dicendo che in Sardegna, di fatto, ha vinto Salvini?
“Perchè? Ci sono dubbi? Ma non lui solo.”
Chi altri? Solinas? Un progetto politico? La voglia di cambiamento?
“No. Purtroppo a stravincere è stata la frammentazione. Quella delle liste moltiplicate sulla scheda, e quella dei candidati e delle preferenze. Una frammentazione prodotta dai politici in gara tra di loro. Ma anche l’esito di una società che si va sbriciolando sotto i nostri occhi ogni giorno di più. Se il sistema istituzionale non costringesse a produrre una sintesi per dar vita a un governo, la nuova giunta dovremmo attenderla a lungo. Diciamo mesi, al plurale.”
Nel complesso, il suo giudizio sull’operato della Giunta Pigliaru è positivo?
“Il saldo dell’azione di governo ha di certo il segno più. A difettare è stato semmai il respiro politico, l’indicazione di un orizzonte che andasse oltre la legislatura. Un progetto di cambiamento che rispondesse alla crisi profonda nella quale da troppo tempo versa la società sarda. Ma più che della Giunta questo era ed è compito delle forze politiche. O la giunta in quanto tale si faceva soggetto politico fino a chiedere e conquistare da sola un futuro o era inevitabile che restasse dentro il perimetro al cui interno era nata e al quale è stata fedele. Un perimetro tecnico. Dentro questo perimetro definito in poche notti di un lontano gennaio a partire da una profonda crisi politica era difficile fare meglio e fare di più. Sono sicuro che la rimpiangeremo.”
Invece dal presidente Solinas, e dalla nuova maggioranza, che cosa si aspetta?
“Dalla sua maggioranza nulla di più di quello che ha annunciato. Una pioggia di provvedimenti particolaristici esito della moltiplicazione delle promesse e della frammentazione delle domande sulla quale è stato costruito il suo successo, e a sua volta causa di una frammentazione maggiore. Quanto a Solinas che gli riesca di intitolarsi la vittoria che senza l’iniziativa del lombardo Salvini il suo partito non avrebbe mai colto. E a partire da questo e da una autorevolezza che ha finora tenuto nascosta elabori finalmente una proposta maiuscola con la quale sia possibile confrontarsi alla pari.”
Zedda può essere il leader giusto per fare opposizione? Fa bene a lasciare il Comune per trasferirsi in Consiglio regionale?
“Più che a fare opposizione in Consiglio penso che l’apporto di Zedda serva a costruire una alternativa. A decidere come comporre l’impegno che ha preso con la sua città con l’offerta di mettersi al servizio dell’intera Sardegna non può essere che lui. Resta tuttavia che il lavoro per la costruzione di una coalizione di centrosinistra è soltanto iniziato. E dentro questo processo il riconoscimento raccolto nelle ultime elezioni rende il suo contributo insostituibile.”
Spesso in Italia chi perde una volta è considerato bruciato. Secondo lei Zedda può superare questo pregiudizio ed essere ancora la guida futura del centrosinistra, magari alle prossime Regionali?
“Se perfino in America Nixon sconfitto da Kennedy nel 1960 riuscì a conquistare la Presidenza otto anni dopo, starei attento a lasciarmi andare a generalizzazioni eccessive. In Sardegna come in tutta l’Italia il problema non è il futuro di Zedda ma quello del centrosinistra. Parlo della possibilità di mettere in campo una coalizione plurale tenuta insieme da una idea di futuro da proporre a tutti i cittadini e non soltanto ai “nostri” di sempre o si “nostri” di turno. Io credo che in questa competizione Zedda ci abbia provato e, ripeto, se non fossimo partiti così tardi potevamo pure riuscirci.”
Ecco, appunto: al di là dei leader, cosa deve fare il centrosinistra sardo per ritornare a rappresentare un’alternativa valida?
“Se rispondessi in due righe finirei per rifilarle un ennesimo slogan. Pensando alla mia personale esperienza più che dalla risposta partirei dalla domanda. E come 25 anni fa per l’Italia inizierei col chiedermi “quale Sardegna vogliamo” e attorno costruire con pazienza un programma con la più grande partecipazione possibile cominciando dalla ricognizione del mondo che cambia e che ci ha già cambiato in profondo.”
Ha votato alle primarie? E per chi?
“E chiede a me se ho votato alle primarie per le quali mi sono spendendo ormai da decenni. L’unico mio impegno è stato a favore della partecipazione incoraggiando ognuno a seguire le proprie preferenze e astenendomi perciò dal dichiarare la mia per rendere più credibile la vera priorità. Votare per ripartire e mettere fine allo stallo che privando il Paese della possibilità di una alternativa stava danneggiando oltremisura il funzionamento della democrazia. Il “chi” era in questo caso secondario. Anche perché non nasceva da quel confronto nitido sul “che fare” che anche questa volta ho auspicato invano. Diciamo che sono contento che grazie al superamento del 50% il Segretario sia stato eletto direttamente dal voto popolare e non invece rinviato agli accordi di Assemblea.”
Però si è espresso in termini positivi su Zingaretti. Pensa che riuscirà a rilanciare il Pd?
“È chi potrebbe farlo se non il Segretario. Vedo con piacere che tutti hanno riconosciuto la nitidezza della sua vittoria e assicurato il proprio sostegno a cominciare da Renzi. Dopo i dodici anni aperti da Veltroni e chiusi dal ritorno al proporzionale della Legge elettorale Rosato paradossalmente proposta dallo stesso Pd non c’è altra possibilità che abbandonare l’illusione della pretesa egemonica e dell’autosufficienza e riprovare a costruire una coalizione. È appunto quello che Zingaretti si è impegnato a fare.”