Arturo Parisi, pensa che l’apertura di Renzi a Mdp sia arrivata fuori tempo massimo?
«Innanzitutto è in grande ritardo la legge elettorale, con regole definite mentre la gara già inizia. Un fatto decisamente patologico. E in ritardo è il confronto. Ma anche se il conto alla rovescia del tempo che ci separa dal voto è iniziato, non è ancora troppo tardi».
«Partito il confronto, è inevitabile aspettare che nella convention del 2 dicembre possano definirsi profilo e scelte della sinistra. Ma non possiamo dimenticare che la pausa delle vacanze natalizie deve trovare le alternative affidate alla scheda di voto già formulate, lasciando al mese successivo la fatica della scelta dei candidati».
Bersani vuole che Renzi cancelli il Jobs act: è un modo per dire no?
«Spero proprio che non sia così. Una cosa è ragionare su un futuro di nuovo comune, un’altra chiedere di rinnegare i rispettivi passati. Sia che si chiuda positivamente, sia che non ci si riesca, protrarre contraddizioni e ambiguità non conviene a nessuno. Servirebbe solo a disorientare i rispettivi seguiti, perdendone ognuno una parte per strada».
Fassino è la persona giusta per condurre la trattativa?
«Di gran lunga il migliore. Il più autorevole tra i dirigenti democratici in campo, il più autonomo tra i sostenitori di Renzi, quello più capace di capire e parlare con le altre parti. Puntuale e tenace. Me lo dice la mia esperienza. Sia quando l’ho avuto a fianco, sia quando l’ho avuto di fronte».
Prodi darà una mano? E lei, che ha condiviso con il fondatore dell’Ulivo tutte le scelte?
«La sta dando da tempo e io con lui. In modo discreto e indiscreto, anche se spesso invano. Sempre con lo stesso obiettivo, ricostruire un campo di centrosinistra il più largo e unito possibile».
Il fondatore ha ripiantato la tenda nei pressi del Pd?
«È sempre nella stessa posizione, distinta da ognuna delle componenti del campo, ma vicina a chiunque non decida di allontanarsi dal campo e rispettosa verso tutti quelli con cui, in questi venti anni, abbiamo camminato assieme».
Renzi dopo la débâcle in Sicilia deve farsi da parte per favorire l’accordo con Mdp?
«Purtroppo in Sicilia la débâcle è stata quella del centrosinistra. Se ci fossimo presentati uniti, forse avremmo perso lo stesso, ma sarebbe stata tutta un’altra storia. Se non avessimo scelto noi stessi di disfarci avremmo evitato la disfatta e contenuto la vittoria del centrodestra. È proprio la lezione siciliana che chiede un ripensamento. A tutti».
Come giudica le mosse di Grasso e Boldrini?
«Che i presidenti delle Camere possano essere non solo militanti ma addirittura leader di parte non è una novità, né è stato mai messo in discussione. Da tutti è stato invece auspicato che questo non contrastasse con i doveri di terzietà. Se Grasso e Boldrini, che questi doveri hanno sempre rispettato, sembrano ora forzarli, è perché la campanella del voto sta già suonando».
Può esistere il centrosinistra anche senza Mdp?
«Se quello di cui discutiamo non è la semplice ricomposizione del Pd, ma la costruzione del centrosinistra, non possiamo dimenticare che di questo campo fanno parte anche altre voci e altri leader, non riconducibili alla secessione dal Pd. Allo stesso titolo».