Luigi Di Maio chiede al Pd di confrontarsi sul programma. Giusto andare a sedersi a quel tavolo oppure no, professor Parisi?
“Molto dipende da chi è il Di Maio in questione. Se Di Maio fosse solo il “capo politico” di una formazione importante, anzi determinante, più che giusto sarebbe doveroso. Basterebbe continuare quel dialogo che secondo Fico è già avviato”.
Ma? Intuisco un suo “ma”.
“Ma non mi sembra che il Di Maio che chiede il confronto sia questo”.
Cioè?
“Non è un mistero, che il programma sul quale Di Maio chiede il confronto non è un generico insieme di cose da fare, ma il programma del primo governo Di Maio. Il Di Maio è quindi in questo caso un candidato capo di governo che chiede a quali condizioni il Pd possa riconoscersi e sostenere una sua premiership. Una condizione pregiudiziale non in nome di una vanità e ambizione personale, ma, a suo dire, nel rispetto di un mandato popolare irrevocabile e di una idea della nostra democrazia che viene prima di molte altre cose. Mentre sembra che per i singoli punti programmatici, attraverso la piattaforma Rousseau, la base grillina potrebbe interpretare e integrare con una libertà che sotto i nostri occhi sembra crescere ogni giorno di più, questo appare un punto insuperabile. O no? Se non si chiarisce previamente questo punto c’è il rischio che il primo incontro era le due delegazioni possa servire solo a riproporlo formalmente per dirsi addio. A mio pare al momento i 5S non possono non chiedere la guida del governo, ma il Pd non è in condizione di concederla soprattutto a chi la chiede in questi termini”.
Come è possibile oltretutto un confronto dopo cinque anni di opposizione duro da parte di MSS?
“Se è per quello gli anni di parolacce sarebbero almeno dieci. Vi sto che tutto data dall’8 settembre • un altro! • del 2007, dal Vaffa Day che iscrisse nel simbolo del Movimento quella V maiuscola che ancora vi campeggia con grazia. E quel Vaffa era innanzitutto al Pd. Forse in linea d’aria la distanza tra Pd e 5S non è molta, forse addirittura minore che con altri. Ma tra i due partiti quella V sta in mezzo rovesciata come una montagna acuminata che attende la costruzione di gallerie che consentano di attraversarla. Se anche la presidente Taverna evoca l’irruzione nella politica di “un nuovo paradigma”, vuol dire che il mondo cambia. Ma ci vuole tempo. Altrimenti il rischio è che ambedue i partiti finiscano per perdere il contano con parti importanti dei propri elettori”.
Se salta il dialogo MSS-Pd, che possibilità vede?
“Diciamo meglio, se salta la possibilità di un governo comune, visto che il confronto è tutto da inziare. Vedo la necessità di un periodo nel quale sia dato a tutti il tempo di confrontarsi con l’enormità di quello che è accaduto. Di un periodo per ripensare quello che si è stati fino ad ieri, per dimenticare non meno che per apprendere. Un tempo di pazienza. Questa non è una normale crisi di governo ma un passaggio di fase come furono quelli che prepararono all’inizio degli anni ’50 l’apertura a sinistra e negli anni ’70 il compromesso storico”.
Ci sono margini per un esecutivo di tregua o comunque per evitare il ritorno alle urne?
“C’è bisogno di un tempo di tregua per immaginare assieme cosa fare del nostro futuro con uno spirito costituente. Ritornare alle urne con le stesse regole con le quali siamo finiti qua sarebbe inutile e pericoloso. Non è però solo un problema di legge elettorale. Ci sarebbe bisogno di un intervento costituzionale. Perché non tornare alla lezione francese?Non possiamo dimenticare che il voto dal quale siamo chiamati a ripartire non è soltanto quello di 3 mesi fa, ma quello del referendum di 15 mesi fa. È arrivato il momento che chi vinse allora si faccia carico della sua vittoria”.