“A questo punto la vittoria del Sì è nelle mani dei non renziani, dei riformatori di destra e di sinistra che, nonostante Renzi, si ricorderanno che il referendum è sul futuro del paese. Dice bene Renzi quando dice che il treno che passa non ripasserà più per decenni. Ma se troppi pensano che su quel treno c’è soltanto lui, la responsabilità è anche sua. Senza il suo comportamento un referendum di tutti non sarebbe mai diventato il referendum di Renzi e su Renzi. Il rischio è ora che il match di Renzi contro tutti diventi il match di tutti contro Renzi. Io voterò Sì ma pieno di rabbia”.
Arturo Parisi, ideatore dell’Ulivo e del Pd con Romano Prodi, è fermamente per il Sì, ma confessa la sua rabbia. E su Prodi: “Cosa vota dovete chiederlo a lui. Io so solo che il suo sarà un voto sul merito”.
Professor Parisi, tiene dritta quindi la barra per il Sì?
“Ripassandomi i conti il totale della mia scelta dà sempre Sì, ma la somma si è molto complicata. In questa campagna infinita la mia convinzione a favore del Sì è cresciuta ogni giorno di più. Ma assieme ad essa mi è cresciuta dentro una rabbia. Verso Renzi ma, non di meno, verso i riformatori, diciamo pure verso me stesso, verso chi lo ha lasciato sulla scena da solo trasformando la domanda sul “cosa” in una sul “chi””.
Cosa rimprovera a Renzi?
“La personalizzazione. Questo lo dicono tutti. Anche lui. Ma non penso all’annuncio che, con il Sì sconfitto, lui avrebbe lasciato. Una banalità se il Sì richiesto fosse un sì a lui, una bestialità se si dimentica che il Sì è al cambiamento, un cambiamento che non è iniziato e non finirà con Renzi. Prima che nell’intestarsi il risultato, negativo o positivo che fosse, Renzi ha personalizzato la riforma come se fosse una sua personale battaglia ed ora ha iperpersonalizzato la campagna. “Accozzaglia contro di me”. Ha detto. Accozzaglia è una parola che non mi piace, ma descrive purtroppo la realtà presente, e ne minaccia una futura. Ma nella frase quello che mi fa problema più che accozzaglia è quel “contro di me””.
Se vince il No, davvero c’è il rischio che falliscano le banche italiane? È una strategia allarmistica o il paese sarà destabilizzato? E “dopo”, c’è lo spauracchio del governo tecnico?
“Se queste voci siano figlie di strategie o solo frutto del tempo libero, non lo so proprio. Ma invece penso che se con l’auspicio di un governo tecnico l’Economist aiuta il Sì, con la minaccia dei fallimenti il Financial Times aiuta il No”.
Lei è molto critico, allora perché si schiera per il Sì?
“Né per Renzi, né per questo testo imperfetto e insufficiente. Il mio Sì è a una direzione del cambiamento, ad un’idea di democrazia. Meglio, lo dico con rispetto verso chi non la pensa come me, ad una tra le idee di democrazia. L’idea che pensa la democrazia come uno strumento in mano ai cittadini per decidere del governo, invece che soltanto per difendersi dal governo. Per alcuni da ogni governo. Per qualche altro solo quando il governo non è nelle sue mani”.
Come giudica l’ex premier D’Alema e l’ex segretario Bersani, del suo stesso partito, che sono in campagna per il No?
“Si potrebbe dire che il primo non è coerente con la sua stagione riformatrice, il secondo lo è anche troppo con il suo partito d’origine, il Pci. Due modi diversi di tornare indietro riportando indietro il Paese. Tuttavia io è ai non renziani e spesso anti renziani che penso e parlo. Ai riformatori di destra e di sinistra che pensando all’Italia camminano da decenni nella stessa direzione. Dimenticando la meta, in troppi si raccontano futuri inesistenti pur di sconfiggere Renzi e assieme a lui il suo Sì. Con l’alibi della sua provocazione sembrano tentati dal dargli contro, alimentando lo stesso rischio che denunciano. Ripeto: senza Renzi non saremmo arrivati all’esame, ma senza il loro apporto il voto al Sì non sarà sufficiente né in quantità né in qualità”.
E tuttavia anche Prodi si sfila dalla contesa al punto da non dire come voterà. Lei lo comprende?
“Proprio perché abbiamo approcci diversi debbo stare alla scelta dichiarata in pubblico. Al suo desiderio di essere null’altro che un cittadino privato, un cittadino ritornato normale. Uno che come cittadino sente il dovere di votare e come privato il diritto di difendere la segretezza del voto. Aggiungendo l’auspicio che il suo come il voto di tutti sia fondato su ragioni di merito”.
Una così grande lacerazione nel paese, quali conseguenze provocherà il 5 dicembre?
“Come tutte le grandi scelte, una divisione. Inevitabile che chi perderà si deprima. Ma è bene che chi vince non si esalti”.