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13 Ottobre 2007

Parisi: voto trasparente alla festa del Pd

Autore: Roberto Gressi
Fonte: Corriere della Sera

Forse Arturo Parisi non ha più l’età per fare la parte di Peter Pan, ma
lo spirito lo rivendica. Continua a cercarlo il partito-che-non-c’è. E
nel suo studio al ministero della Difesa (dove non ha cambiato o
aggiunto nulla, nemmeno un soprammobile), il sospetto che gli vogliano
sostituire il bambino nella culla un po’ ce l’ha. Voleva un partito
nuovo, capace di mescolare idee, persone e culture e ne vede nascere
uno vecchio, somma di partiti e apparati, che vengono dal passato. Ma
almeno al momento della nascita vuole trasparenza: ha chiesto a Nando
Pagnoncelli e Ilvo Diamanti di accompagnare il parto. Veri e propri
exit poll, su un grande campione di seggi, per sapere quanti italiani
hanno votato alle primarie e quanti voti sono andati ai candidati. E
avverte: gli elettori devono sapere cosa scelgono, Rosy Bindi sa
distinguere tra ruolo del partito e ruolo del governo, con Veltroni si
fa presto a passare da un governo nuovo a un nuovo governo, superando
l’attuale governo Prodi.


Nasce il Partito democratico, non è contento?

«Ho dedicato quindici anni a questo progetto, essere arrivati a 24 ore
dalla sua realizzazione non può che essere causa di soddisfazione. Ma
ora che si avvicina la scadenza  la differenza  tra sogno e realtà mi
appare con più evidenza».


Non ha fiducia in Walter Veltroni?

«Il problema non sono le persone, ma le linee. Altrimenti non si
capirebbe perché il lunedì avrei considerato Veltroni il migliore dei
candidati e il mercoledì ho dovuto dichiarare la mia delusione».


Se lo chiede anche Veltroni. Dice: ma come, ha tanto insistito per la mia candidatura…

«La delusione è tutta qui: quello che nascerà domani è il partito che
c’è oppure il partito nuovo, il partito che finora  è mancato? Siamo
alla somma di Ds e Margherita oppure, senza fare il cantore ingenuo
della società civile, a quel rimescolamento che per anni abbiamo
cercato? Il Veltroni del lunedì era chiamato appunto ad essere il
costruttore del partito che non c’è, il Veltroni che ho trovato
mercoledì è viceversa al massimo il rinnovatore dell’esistente, degli
apparati dai quali tra il lunedì e il mercoledi ha cercato il
riconoscimento con l’obiettivo di porsi come il candidato ufficiale, o
«istituzionale» come ho letto per mesi sull’Unità».


E’ vero che temete brogli alle primarie?

«Nulla di più stupido. Non è il computo delle risposte che mi
preoccupa. Questo è un problema che nelle democrazie è presente da
sempre, ma va affrontato come sempre con la vigilanza e la trasparenza.
Lo dico perché ahimè vengo fuori da un’esperienza come quella della
Margherita, politicamente determinante ma per molti versi tragica,
perchè il partito è stato attraversato da prassi antiche che se
riguardassero la Repubblica nel suo insieme non potrebbero che
rafforzare l3allarme illegalità. Nei partiti sembra invece che talvolta
niente desti scandalo».


Torniamo alla trasparenza.

«Come presidente dei Democratici, un’entità che esiste ora solo sul
piano istituzionale anche se politicamente ha scelto di sospendere la
sua attività per un disegno più grande, ho immediatamente messo a
disposizione le risorse residue per consentire a ricercatori autonomi
come Ilvo Diamanti e Nando Pagnoncelli una rilevazione che riesca a dar
conto della festa di partecipazione che comunque, indipendentemente
dalle quantità, avrà luogo domani. Lo dico per eliminare anche la più
piccola ombra. Un’ombra che appena ieri ho visto  ricomparire
addirittura sulla indiscutibile esplosione di partecipazione delle
primarie di due anni fa. Il partito democratico mi è troppo caro perchè
perfino la partecipazione fosse messa in dubbio».


Ma cosa faranno Diamanti e Pagnoncelli?

«Svolgeranno una rilevazione che darà conto delle misure della
partecipazione e degli orientamenti, dei risultati del voto, a partire
da un ampio campione delle sezioni elettorali».


Una specie di exit poll.

«Una rilevazione che dia conto tempestivamente dei risultati. Quello
che viene fatto nelle elezioni normali. Vuole essere questo un
contributo positivo alla certificazione del risultato, alla sua
legittimazione e cioè al contrasto di ogni tentativo di
delegittimazione».


Non crede a una grande partecipazione?

«Al contrario. Sarà sicuramente superiore alla quantità dei cittadini
che partecipano anche in misura minima alla vita di partito nel
centrosinistra. Ci scommetto. Ahimè conosco i limiti della
partecipazione di coloro che si rivolgono ai nostri partiti… attorno
ai 300 mila: son sicuro che saranno superati, comunque un risultato
positivo. Il problema però non è la quantità delle riposta ma la
qualità della domanda».


Quella sulle schede elettorali?

«Prima si è tentato il plebiscito: volete voi il candidato ufficiale…
quasi che la risposta possibile fosse solo si o no. Qui Veltroni o un
altro sarebbe stato lo stesso. Noi chiedevamo invece una scelta tra
linee più che tra persone. Solo un dibattito vero e aperto tra linee
avrebbe infatti mescolato le persone indipendentemente dalla loro
provenienza. Il nostro contributo è stato innanzitutto impedire il
plebiscito. E’ stata infatti la candidatura il coraggio di Rosy Bindi a
rompere il muro della candidatura unica anche se non della candidatura
ufficiale. Ma purtroppo il confronto esplicito e quindi la possibilità
di scelta tra linee politiche è mancata».


Sceglieranno domani gli elettori.

«Il problema è il meccanismo di voto. Il fatto è che il voto non è per
il candidato segretario, sia esso Veltroni o Bindi, e neppure per i
distinti delegati alla Costituente, ma solo per le liste dei delegati
che sostengono i candidati. Ai seggi, per tantissimi sarà una vera
sorpresa. E il massimo della contraddizione, che è appunto causa ed
effetto del meccanismo, si manifesta nel caso del candidato
“ufficiale”: esso è infatti sostenuto da tre liste, portatrici tutte di
linee politiche non adeguatamente esplicitate e per la parte implicita
tra loro contrarie. Non riesco a capire come “A sinistra per Veltroni”
possa avere una linea politica compatibile con i “Coraggiosi” di
Rutelli che, a stare alle parole di Bettini, sembrano dare il segno
prevalente a quella che è la lista ufficiale del candidato ufficiale.
Il problema è politico: non solo non si vota Veltroni, non solo non si
votano i singoli candidati ma soprattutto non si capisce in nome di
quale linea politica sarebbe eletto. Ora si vede il motivo per il quale
avevamo chiesto: un candidato una lista. E anche perchè ci è stato
detto di no».


Padrone chi vota di rivolgersi altrove.

«Il problema è politico. Ma c’è anche un problema di parità elettorale.
Veltroni ha tre liste e tutti gli apparati ufficiali, è come giocare
con undici giocatori contro una squadra che ne schiera trentatrè».


Una partita truccata?

«E’ appunto quello che mi hanno fatto dire per spostare l’attenzione
sugli aspetti tecnici, confondendomi con Rizzo. Il fatto è che non è un
imbroglio nel senso banale del termine: spesso si preferisce guardare
le cose nascoste per distrarre l’attenzione da quelle palesi. Il
problema non è se la somma delle quantità è esatta, ma che cosa questa
somma misuri sul piano politico. Per raccogliere più voti, le liste del
candidato ufficiale possono sostenere posizioni contrarie una
dall’altra: un classico schema da prima repubblica».


Potevate fare più liste.

«In effetti non lo vietava nulla. Solo la coerenza politica! La
necessità di parlare con una voce sola per consentire a chi sceglie di
capire cosa sceglie. So che l’attenzione si concentrerà sul “trentatrè
contro undici” ma il problema è che quando Veltroni vincerà, non
sapremo su che linea politica ha vinto. Guardi la legge elettorale:
Letta è lealmente per il sistema proporzionale tedesco, Bindi per il
maggioritario con il Mattarellum. E Veltroni? Lo stato maggiore della
sua lista è per il sistema proporzionale tedesco, lo staff di Walter e
lui stesso fa invece capire di no. E dire che la scelta tra
proporzionale e maggioritario, oltre la prima e la più urgente, è la
madre di tutte le scelte politiche! A meno che non si voglia
precipitare in una democrazia personalistica, ai limiti del cesarismo,
dove l’unica scelta lasciata al cittadino è quella di dare una delega a
qualcuno perchè ne faccia quello che vuole, manco fossimo in una
dittatura o in una monarchia elettiva».


Ci sono state polemiche anche sul rapporto con Prodi.

«Noi siamo portatori di una concezione laica, rispettosa dei confini
tra partiti e governo. Vedo invece dall’altra parte una concezione
tradizionale di preminenza del partito sul governo. Che il partito
ritiri o metta a disposione del premier le deleghe le deleghe dei
ministri fa poca differenza.  É un’idea per molto diversa da quella che
abbiamo cercato di svolgere in questi anni. Siamo di nuovo al “nuovo
segretario, nuovo premier”, come accadeva dopo i congressi della
Dc.  Qui poi siamo senza statuto ma abbiamo già il vice del
Pd,  perché, dovendo fare anche il sindaco, Veltroni non può dedicare
tutto il suo tempo alla costruzione del partito, come sarebbe
necessario».


Deve lasciare il Campidoglio?

«Io non arrivo a dire questo, però che le cose siano chiare».


Teme che il voto a Veltroni porti alla crisi di governo?

«Ci vorrebbe pure che l’avvio del Pd coincidesse con l’arretramento
della democrazia dei cittadini. Non posso infatti dimenticare che Prodi
governa certo con la fiducia del Parlamento, ma è stato scelto, dopo
una elezione primaria aperta a tutti gli elettori della coalizione,
sulla base di un patto esplicito stretto solennemente avanti ai
cittadini per un governo di legislatura. Certo non è detto che una
legislatura dura cinque anni. Ma quel che è sicuro è che una
legislatura inizia con una elezione e finisce con un’altra. Sento
invece tra i sostenitori di Veltroni discorsi che vanno in direzione
diversa. Penso perciò che chi vota Veltroni debba sapere che la
questione del superamento del governo Prodi in quella casa è stata
posta, ancorchè come auspicio di un governo nuovo, dimenticando che la
distanza che talvolta intercorre tra un governo nuovo e un nuovo
governo è solo un passo».