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18 Febbraio 2009

Parisi: tardive le dimissioni di Veltroni

Autore: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

Professore, Veltroni si è dimesso. Come giudica le sue dimissioni?
Non
facendo parte del cosiddetto coordinamento non so perché le abbia
presentate, né perché gli siano state respinte. Quello che só é che
sono tardive e comunque fuori tempo. Quando le propose ad aprile fui
l’unico a condividerle. Condivisi in particolare l’idea di chiudere il
percorso il 14 ottobre in occasione del primo anniversario delle primarie. Sarebbe stato meglio. Molto meglio.

La Sardegna è una realtà a sé, ma la nettezza della sconfitta
di una personalità forte come Soru e il crollo del Pd fanno capire che
questo partito oramai, non solo non “tira” ma sta diventando una palla
al piede?

Se il motore della vittoria di Berlusconi
viene in buona parte da fuori, é in Sardegna che affondano le radici
della sconfitta di Soru. La colpa attribuibile al segretario nazionale
é quella di non aver lavorato tempestivamente e sufficientemente per
l’unitá del Partito, di aver sommato la linea di solitudine del
partito, alla propensione alla solitudine di Soru. “Meglio Soru” é uno
slogan che andava bene in italiano. Letto dai sardi come “meglio solo”
descrive lo sfondo e in parte la causa della nostra sconfitta.

Un
partito che va in piazza contro Berlusconi anti-costituzionale e poi ci
fa un accordo per le Europee; che ha un linea laica su Eluana e poi
oscura il senatore Marino; che paragona l’attuale Cavaliere a quello
del ventennio e poi si prepara a farci un accordo in Rai, è un partito
che vuole tenere tutto e il contrario di tutto? Non scegliere mai,
questo è il problema?

Piú che la mancata scelta e il
conseguente “ma-anche”, il problema é il perché della non scelta.
Quando un partito si costituisce come somma di apparati, assumendo come
premessa la continuitá di una storia e di un gruppo dirigente, ogni
scelta rischia di essere o di apparire come l’imposizione di una
componente sull’altra e quindi mettere a rischio la sopravvivenza del
partito. Solo un partito nuovo, fatto di persone che decidono ex-novo
secondo la regola della democrazia, puó superare il maanchismo. Ecco
perché tutte le decisioni critiche vengono sottratte alla decisione
democratica. Per come abbiamo costruito il partito al massimo possiamo
prevedere una posizione prevalente, “ma anche” tollerare una posizione
minoritaria.

Di questo passo, senza correzioni di
rotta, potrebbe diventare possibile l'”impossibile”, perdere in una
volta sola Firenze e Bologna?
Di questo passo tutto
diventa possibile, ma perché in una democrazia aperta e competitiva
nulla é scontato e tutto va riconquistato, grazie al rinnovamento delle
idee, non alla difesa delle tradizioni. Ma questa é la nostra idea di
democrazia, non quella degli apparati che vivono di rendita. Se ci
crediamo imparemo a competere e vedrá che torneremo a vincere, a
cominciare da Bologna e Firenze.

Bersani contro
Veltroni, a Bologna e Firenze senza candidati sindaci ex ds: si avvera
una delle sue missioni, diluire il Partito, mescolare tutto in una
nuova identità? E se saltasse tutto in aria?

Se si
voleva conservare il passato bastava fare una federazione. Se abbiamo
fatto un partito é appunto per dar vita ad una storia nuova, per
costruire una casa pensata per figli che non sono ancora nati, o per
cittadini che non sono ancora arrivati. In questa casa ci si incontra
come persone accomunate da un progetto futuro, non come ex di qualche
passato. Il percorso che ci attende non é certo una passeggiata. Quello
che non possiamo permetterci é tuttavia dire una cosa e farne un’altra.

Da
qualche giorno Veltroni e i suoi avevano riscoperto Prodi, Parisi e
l’Ulivo: un “asso” in chiave congressuale, oppure hanno capito che
azzerare tutto il passato è un anelito futurista senza futuro?

Forse
si son resi conto degli errori fatti. La missione che chiamava il
Partito a farsi promotore della unitá di tutto il centrosinistra ha
mostrato di non avere alternative. Una volta invertita la marcia con la
“separazione consensuale” tra Veltroni e Bertinotti, si é innescata una
reazione a catena, nella quale le separazioni producono altre
separazioni sempre meno consensuali. Forse la storia del Pd puó
sembrare troppo recente, ma, se si mettono tra parentesi questi
quindici anni che ci é stato chiesto di dimenticare non ci restano che
le antiche ideologie dell’800. Riprendere il cammino ulivista significa
tornare verso il futuro.

Tutti i politici scansano
l’autocritica, anche voi ulivisti che non avete mai riflettuto sui
vostri limiti del governo dell’Unione: ma tra i mali del Pd c’è anche
la rimozione della sconfitta nazionale e di Roma?

Di
errori ne fanno tutti. Anche gli ulivisti ne hanno fatti molti. L’unico
modo per imparare da essi é tuttavia poterne discutere assieme. Ma qua
sono passati dieci mesi e ancora non siamo riusciti a discutere di una
sconfitta che giá ne arriva un’altra.

Chi ha perso a
Roma, dopo un trentennio quasi ininterrotto di potere progressista, è
salito sul banco della pubblica accusa: segno dei tempi o condivide
qualche critica di Rutelli?

Eravamo scesi in campo con
tre parole d’ordine: la discontuinitá con i quindici anni precedenti,
la necessitá di cambiare il manico, la scelta di andare da soli. Solo
che erano parole d’ordine che valevano di mattina per le elezioni
nazionali. Quando la sera si passava alla campagna locale a Roma
dicevamo esattamente l’opposto. Gli elettori se ne devono essere
accorti.

E’ giunta l’ora per una intera generazione di lasciare il campo?
Quello
che é sicuro é che la responsabilitá di ció che successo é dell’intero
gruppo dirigente. Che poi il gruppo possa essere definito dalla etá é
un’altra cosa. In politica le generazioni che contano sono le
generazioni politiche.

Congresso subito?
A suo tempo
condivisi l’idea di un congresso, perché fu proposto il Congresso.
Resto tuttavia dell’idea che prima delle vie straordinarie si debbano
adire quelle ordinarie. Per questo andiamo chiedendo fino alla nostra
noia il rispetto della democrazia, con la convocazione del parlamento
del Pd, l’Assemblea eletta dalle primarie, la stesso che Veltroni ha di
fatto sciolto preferendo rimettersi ai caminetti e agli organi nominati
dalle correnti, salvo poi lamentarsi di esse. Vuoi vedere che prima o
poi se ne ricordano?

Veltroni dice che lei è un destrutturatore: al congresso lei chi vedrebbe bene come leader? E su quale linea?
Destrutturare
é un termine corretto, l’esatto opposto di distruggere: quello che é
stato fatto in questi mesi. Nel 2000, quando Veltroni era segretario
dei Ds e io dei Democratici fu proprio questa la mia proposta. Perché
non pensiamo di sciogliere almeno in un futuro i nostri partiti in uno
nuovo, dissi. Il Partito democratico, appunto, nel solco dell’Ulivo.
Fui considerato un provocatore. Ricordo ancora il suo no, e quello
corale del Congresso di Torino. Lo ricordo per dare un senso al sí di
oggi, e alla nostra fatica.