2222
7 Gennaio 2011

PARISI SUI MOVIMENTI, LE PIAZZE, LE UNIVERSITA’

Onorevole Parisi, professor Parisi, Lei è un affermato studioso delle relazioni con gli assetti sociali e con le istituzioni, di eventi di piazza violenti come quelli di cui si parla in questa trasmissione: è quindi all’uno e all’altro che ci rivolgiamo.

C’è chi afferma che quegli eventi violenti sono “l’unica risposta possibile ad una società che sembra non avere più alcun fondamento certo”. Come commenta questa tesi?
I movimenti, come dice il nome, si muovono, sono delle dinamiche aperte il cui esito e’ in gran parte sconosciuto anche a quelli che ne sembrano i protagonisti.
Ricordano il vento.Se ne conosce la direzione, ma il movimento dipende da molti fattori e da quello che trova lungo il proprio cammino, soprattutto dalle resistenze. Percio’ prima di parlare e’ meglio guardare e mettersi in ascolto.
Al momento mi senbra tuttavia che nella tesi che li vuole una risposta ad una societa’ che ha perso il proprio fondamento, ci sia del vero.
Vedo infatti in essi i caratteri dell’anomia, della reazione, piuttosto che quelli del progetto.Si potrebbe dire che sono una parte della crisi alla quale reagiscono.
I teorici delle nuove violenze di piazza (quelle, per intenderci, esplose a partire dagli anni Novanta) sostengono che “senza una rivolta metropolitana non c’è opportunità di scatenare le forze di rottura di antichi equilibri”; equilibri che poi sono, sarebbero, quelli che bene o male reggono tuttora. Lei come la vede?
Che lo sfondo siano le metropoli mi sembra fuori discussione.
Ma questo e’ in gran parte dovuto alla dinamica della comunicazione.
I media raccontano infatti con piu’ facilita’ quello che capita attorno, e sono portati a dire che quello che raccontano sono anche i fatti che meritano di essere raccontati. Per questo motivo le metropoli, e in particolare quelli delle aree sviluppate finiscono per rappresentare i palcoscenici del mondo. Anche i movimenti che nascono nelle periferie sanno che per essere visti debbono raggiungere questi palcoscenici a tutti i costi. Pensi ai pastori sardi che durante le feste di Natale sono finiti ingiustamente bastonati appena sbarcati a Civitavecchia mentre si proponevano di raggiungere Roma.
E qual è, professor Parisi, il Suo punto di vista a proposito delle differenze (che in verità molti, secondo questa o quella scuola di pensiero, in questo e in quello schieramento tengono a sottolineare con argomentazioni diverse, e anche contrapposte), tra la “contestazione globale” del ’68 e la rivolta – o le rivolte – di oggi?
 Molte. Per dirla in poche battute il 68 era figlio di una societa’ in crescita, l’approdo del cammino della speranza che quei giovani sentivano bloccato. Il 68 fu figlio della speranza perche’ il bayboom del dopoguerra. rappresenta meglio di ogni altra cosa la speranza verso il futuro dei reduci che tornavano dalla guerra, fu figlio della esplosione della scuola e della universita’ prodotto dai provvedimenti di liberalizzaione degli accessi alla istruzione dei primi anni 60, fu figlio della grande migrazione dal sud al nord e dalla campagna alla citta’ dei contadini che diventavano operai, e quindi dell’incontro tra studenti e operai nelle aree avanzate del Paese.
I movimenti attuali sembrano invece la reazione alla paura dell’arretramento sociale, alla spinta alla disperazione, piuttosto che al contrasto della speranza.

Una volta – si afferma a livello politico, ma si cerca di raccontarlo anche coninterpretazioni artistiche, metti in film soprattutto americani (la questione è letta “globalmente”) – lo scontro era tra anarchia e fascismo, o forse meglio tra anarchie e fascismi, al plurale. Oggi il fronte è tra potere globale e terrorismo, un fronte vastissimo, planetario, infestato da contese tra interessi enormi, e da crolli finanziari giganteschi, in una dimensione che rende praticamente impossibili degli efficaci interventi dei governi nazionali. La ritiene una visione del tutto catastrofistica?

Che lo sfondo dei movimenti sia il mondo nel suo insieme mi sembra fuori discussione. E’ come se in una rete di bacini comunicanti avessero sollevato le chiuse che li separavano. L’acqua defluisce tumultuosa dai bacini pieni verso quelli vuoti e travolge tutto quello che trova lungo il suo cammino. E’ alla demografia che bisogna guardare, ai bacini traboccanti di giovani vite che defluiscono guidati dalla speranza dall’Africa e dall’Asia verso la vecchia Europa. Ma allo stesso tempo bisogna guardare alle reazioni di chi si sente invaso.
Quelli che vengono a contatto e in conflitto sono i movimenti dell’avanzamento e della speranza e quelli dell’arretramento e della paura. Il compito della politica e’ guidare la speranza e farsi carico della paura. Altrimenti la speranza bloccata e’ tentata dalla rivoluzione, e la paura finisce per dar vita al fascismo.
Un’ultima domanda, onorevole Parisi. E’ normale che molti addossino la responsabilità delle esplosioni di piazza alla politica, di destra e di sinistra, tutta la politica, in particolare a proposito di quello che la politica non ha fatto per assicurare ai giovani lavoro, futuro. Si arriva ad una sorta di processo collettivo, che coinvolge anche i non politici. Al posto dei bulloni, delle spranghe, dei sampietrini (e di peggio) quali armi pacifiche abbiamo messo tra le loro mani?
Qui sta il problema. Non solo non abbiamo messo in mano ai cittadini e ai piu’ giovani di essi armi pacifiche, ma quelle che gli avevamo messo e promesso glie le stiamo togliendo.Mi faccia tornare a fare il politico.
Pensi ai referendum e alle primarie e, prima ancora, alla possibilita’ di eleggere i propri rappresentanti in parlamento anche attraverso nuove aggregazioni. Erano armi che avevamo pensato per allargare la partecipazione e come tali erano state accolte.
Invece i referendum venivano approvati ma poi il voto dei cittadini viene raggirato. E poi gli stessi che lo hanno disatteso, dicono: perche’ mai chiedete il referendum se poi anche vincendolo non succede nulla. Le primarie vengono raggirate assicurandosi che il voto dei cittadini non disturbi il disegno dei capi. I parlamentari vengono nominati.
Pensi alla legge sull’Universita’. A chi verrebbe mai l’idea di chiederne l’abrogazione tramite referendum? E infatti non ci hanno pensato. Hanno preferito prima gli scontri di piazza e poi farsi ricevere dal Presidente della Repubblica, che si e’ trovato cosi’ caricato di ulteriori responsabilita’ mentre dovrebbe essere protetto nell’interesse di tutti.