Il presidente
Napolitano, in occasione della festa del quattro novembre, ha avvertito che “si profilano nuove emergenze”. E che “nell’ambito delle iniziative
multilaterali Onu, anche l’Italia deve fare la sua parte”. “Abbiamo –
ha detto – il dovere di prepararci a fronteggiarle anche con lo strumento
militare”. Siamo pronti a farlo?
Lei è
appena tornato da Belgrado dove ha incontrato il suo omologo Sutanovic. Il
dossier balcanico è uno dei più scottanti, con le autorità kosovare che
minacciano di dichiarare unilaterlmente l’indipendenza il prossimo 10
dicembre, i combattenti UCK che riappaiono nella zona di Tetovo, in
Macedonia; la componente serba della federazione bosniaca che ha deciso di
ritirare i propri ministri. Che fare per evitare che l’intera regione
si infiammi ancora? Il contingente italiano verrà potenziato in vista del
10 dicembre?
“I Balcani sono da sempre un mosaico, una realtà nella
quale se si muove una tessera, inevitabilmente rischiano di muoversi tutte le
altre. Non possiamo quindi che considerare con preoccupazione l’instabilità
di ognuna delle tessere che lei ha citato. In questo momento la nostra azione
è ispirata alla vigilanza e alla pianificazione prudenziale che si prepara ad
ogni evenienza. In questo contesto il senso complessivo non cambia e resta
la difesa dei diritti delle minoranze e dei diritti dell’uomo. Quale che sia
la minoranza in quel momento a rischio. Ripeto: siamo pronti ad ogni
evenienza ma è bene intanto non fasciarsi la testa prima di essersela
rotta”.
Riusciremo ad evitare un nuovo incendio?
“Nella
Bibbia si ricorda: ‘L’inizio della sapienza è il timor di Dio’.
Nella comunità internazionale la consapevolezza del pericolo è grande.
Questo timore fa perciò ben sperare”.
Parliamo di Libano. Nei giorni
scorsi Hezbollah ha fatto una prova di forza organizzado tre giorni di
esercitazioni nel Sud del Libano. Il quotidiano “al Safir” sostiene che il
comandante italiano gli avrebbe espresso le sue preoccupazioni per la
stabilità dell’area sottolineando. I Libanesi hanno buone
fonti?
“Se hanno fonti (ride) sono diverse dalle mie. Ovviamente,
smentisco questa affermazione. Quello che è sicuro è che non ce ne andremo
tra quattro mesi”.
Ma la delicatezza della situazione libanese, anche
a prescindere dall’ultimo segnale, resta. Sinora, ne è valsa la
pena?
“A parlare sono i fatti. Lo dice l’interruzione del fiume di
sangue che aveva iniziato a sgorgare; lo dice il risanamento dei danni della
guerra, penso allo sminamento; lo dice il progressivo rafforzamento di quella
entità preziosa più di ogni alta che è l’Esercito Nazionale Libanese. E’
grazie a questo che la ricostituzione di un quadro stabile di sicurezza è
tornato ad essere pensabile”.
Il contingente italiano nella
provincia di Herat, in Afghanistan, stafronteggiando da tempo una offensiva
talebana. Nei primi giorni di novembre sono riusciti a conquistare tre
distretti della provincia di Farah, uno è stato poi riconquistato. Anche con
il concorso di truppe italiane? E se si, in che modo? Anche utilizzano gli
elicotteri Mangusta e i bilindati Dardo e Lince inviati questa
estate?
“Innanzitutto va detto che tutti i termini che usiamo per
definire la situazione afghana sono onestamente inadeguati. A cominciare
dalla categoria dell’insorgenza. Così come inadeguata è l’idea del controllo
del territorio se pensata con le nostre categorie. La presenza di qualche
decina di migliaia di militari occidentali, offre certamente un contributo,
ma di per se non può sostituirsi in alcun modo all’unica forza che può
governare la situazione, e cioè la capacità autonoma degli afghani di
governare il loro
presente e di progettare il futuro”.
Ciò
detto…
“Ciò detto, la situazione afghana è lungi dall’essere
stabilizzata. Da qui a sostenere che forze alternative stiano venendo in
controllo stabile di parte dell’Afghanistan ce se passa…basti pensare alla
famosa “campagna di primavera” che annunciava una spallata definitiva al
governo di Kabul. Dovremmo quantomeno dire che è stata rinviata ad un’altra
primavera”.
Ma gli italiani sono intervenuti o no per fronteggiare gli
attacchi?
“No se riferito alle notizie che ha citato. Sì se fa
riferimento alla risposta dei nostri soldati ad atti ostili indirizzati
contro di loro. Tutte le volte che i nostri vengono fatti segno di atti
ostili nel loro settore di competenza hanno risposto nel rispetto delle
regole d’ingaggio. Esattamente come fanno i carabinieri in Italia con i
malviventi”.
Ed è stato necessario l’impiego degli elicotteri
Mangusta? Dei blindati Dardo?
“Posso dire che tutti i mezzi che
abbiamo mandato, con il consenso del Parlamento, sono stati utilizzati in
attività operative. E tutti sono stati utili per lo svolgimento della
missione nella sicurezza, dai Mangusta ai “droni” Predator, dai blindati
Lince ai Dardo”.
Lei in più occasioni ha sottolineato che l’impegno
non può essere solo militare. Oltre che auspicabile è anche credibile la
possibilità di dar vita ad uno sbocco politico? E se si coinvolgendo anche
una parte di quelle forze che oggi si oppongono al governo di
Kabul?
“L’azione militare è la premessa di una azione più ampia che
pure già stiamo svolgendo. Credo che dobbiamo allungare il passo, non
riducendo il sostegno alla sicurezza che è fondamentale, ma aumentando
l’impegno per la crescita delle istituzioni e della società afghana, e
promuovendo sul piano politico iniziative che offrano un quadro esterno di
stabilità”.
Comprendendo anche i talebani?
“Ogni iniziativa
deve essere di sostegno allo Stato afghano. Non possiamo che appoggiare ogni
azione volta alla riconciliazione della società che lo stato afghano promuova
nelle forme che riterrà necessarie e opportune. La forma da incoraggiare è
una conferenza aperta per la sicurezza e la pace nella regione, della quale
facciano parte a pieno titolo tutti gli attori interessati, nel quadro delle
Nazioni Unite”.