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7 Gennaio 2008

Parisi: riforme sì, no a scontri di potere. Meglio il referendum che il ritorno al proporzionale

Autore: Marco Cianca
Fonte: Corriere della Sera

«Confusione. Una grande confusione». Arturo Parisi è scoraggiato dalle polemiche sulla legge elettorale. Dario Franceschini, Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Goffredo Bettini. Una Babele di proposte e di linguaggi. Il ministro della Difesa sospira al telefono. «Tutto ciò non è certamente incoraggiante e non fa bene al Paese».

Ma chi ha sbagliato?
«Tutti. Anche noi ulivisti abbiamo sbagliato nel non chiedere con adeguata forza di affrontare i problemi nell’ordine giusto».

E qual è l’ordine giusto?
«Prima la riforma del sistema istituzionale e poi a valle la questione della legge elettorale. Ma si rende conto che ci troviamo a decidere della legge elettorale per il Senato mentre tutti conveniamo sulla necessità di una sua radicale trasformazione e della sua stessa composizione?».

Ma per le riforme istituzionali servono maggioranze che non ci sono. La sua è un’utopia.
«Serve una consapevolezza che al momento sembra non esistere. Ci sono però passaggi della storia nella quale i giorni valgono mesi e i mesi anni. Quello che è tuttavia già nella consapevolezza comune è che il Paese ha bisogno di un governo stabile e duraturo che ci consenta di confrontarci alla pari nei consessi internazionali. Una consapevolezza generale cresciuta grazie anche a quel tanto di democrazia dell’ alternanza che negli ultimi anni ha fatto tutti partecipi di un’esperienza di governo, anche quelli che in passato ne erano stati stabilmente esclusi».

Intende dire che dagli ex missini agli ex comunisti ormai tutti sono passati per Palazzo Chigi?
«Tutti sono stati al governo. Vorrei proprio sentire chi ha il coraggio di negare la condizione di minorità dell’Italia nei confronti dei Paesi che il problema della governabilità l’hanno risolto».

Lei resta un maggioritarista convinto.
«La ricerca della stabilità nel quadro di una democrazia parlamentare qual è quella disegnata dalla nostra Costituzione non mi ha lasciato finora una alternativa diversa».

E un presidenzialista?
«Quello che è innegabile è che le democrazie che dispongono di un assetto presidenzialista o semipresidenzialista hanno una forza di governare il presente e progettare il futuro che noi non riusciamo neppure a sognarci».

Ma non pensa che in realtà non si farà niente e si arriverà al referendum?
«Io ho sostenuto fin dall’inizio il referendum per costringerci ad una decisione. Arrivati a questo punto debbo purtroppo prendere atto che abbiamo sprecato mesi e anni preziosi. Ma ce ne sono ancora di fronte a noi a sufficienza per rimediare. Purchè la consapevolezza che ci guida sia quella giusta».

E qual è la soluzione?
«Se l’obiettivo è evitare il referendum, il problema si può affrontare e risolvere in un giorno: tornando al Mattarellum. Piuttosto che pasticciare con soluzioni improvvisate e cercare di imbrogliarci a vicenda. Basta una legge di un solo articolo che abroghi il Porcellum e ripristini il sistema precedente che ha garantito tutti è non può essere accusato di essere stato stato pensato per avvantaggiare gli uni contro gli altri. Torniamo al sistema preesistente, applichiamoci finalmente alla riforma istituzionale e torniamo solo dopo sulla legge elettorale».

Le altre ipotesi rischiano di non arrivare in porto?
«Rischiano di non arrivare in porto o di arrivarci nè in modo giusto nè nel tempo richiesto».

Ma lei, tra un accordo forte sul proporzionale corretto e il referendum, che preferisce?
«Senza alcun dubbio il referendum. Il ritorno al proporzionale, comunque corretto, non risolve, ma aggrava i problemi del nostro Paese. Mette capo, come ha detto in modo chiaro e condivisibile Veltroni, a quella grande coalizione, e quindi un ritorno alle forme consociative, che in Germania è un’eccezione e da noi finirebbe per essere la regola».

Lei ha lodato il Veltroni maggioritarista.
«Col suo netto rifiuto del modello tedesco caldeggiato da D’Alema e Rutelli, Veltroni sembrava aver fatto un pò di chiarezza, della quale gli ho dato pubblico atto. Ma il suo braccio destro Bettini ribadendo l’apertura dei veltroniani al proporzionale con la soglia di sbarramento del 5%, cioè a dire quello che la gente pensa sia il modello tedesco, sembra riportarci al punto di partenza. Come se un modello fosse buono se sostenuto da Veltroni e cattivo se proposto da D’Alema».

Ma lo stesso Bettini denuncia che c’è chi vuole distruggere Veltroni e ammonisce D’Alema a smetterla con i protagonismi.
«E’ paradossale. La differenza è sulle risposte da dare al Paese oppure è una questione di potere? Io penso che al centro debbono essere messe le scelte politiche, non le persone».

L’impressione sembra più quella di uno scontro di potere che di linee politiche.
«Come non riconoscere che il rischio è proprio questo? E’ per questo che fin dai primi passi del processo costituente del pd chiedemmo che ogni candidato esponesse con chiarezza la sua idea di democrazia e su questo e solo su questo cercasse il consenso e definisse il profilo del partito. E invece intorno alla candidatura di Veltroni, anche per la scelta di associarla ad una pluralità di liste, si è costituita una maggioranza che è divisa su tutte le questioni fondamentali».

Ma chi comanda davvero nel Pd? Veltroni rischia di essere un re travicello nelle mani di D’Alema e di Rutellli?
«In questo momento, in assenza e in attesa delle forme statutarie che è chiamato a darsi, il Pd dovrebbe riconoscere come unica sede di decisione l’assemblea costituente».

Anche qui siamo al vorrei ma non posso, perchè l’assemblea costituente non si riunisce.
«Ma Rosy Bindi ed io continuiamo ad invocarne la convocazione».

Una posizione chiara ma minoritaria.
«E’ tuttavia l’unica strada per uscire da questo stato di confusione».

Ma nel Pd sembrano avere voce solo gli ex pci e i teodem, cioè le componenti più marcate ideologicamente. Gli altri, i cattolici democratici, i laici,i libertari, i cani sciolti sono ridotti al silenzio?
«Fino a quando non si riconosce il nuovo profilo del nuovo partito è più facile far parlare le vecchie identità. Nella politica ridotta a teatrino è inevitabile che lo spettacolo sia interpetato dagli attori che sono già sulla scena».

Ma lei ci crede ancora al Pd che aveva in mente o si è rassegnato ad una posizione di pura testimonianza?
«Non credo che i processi storici che si son messi in moto potranno essere facilmente contrastati. Tutte le vecchie appartenenze sono entrate in crisi. Son sicuro che la stagione aperta dall’Ulivo continuerà a dare i suoi frutti».

Ma in questa confusione il governo Prodi può andare avanti?
«Ha il dovere di andare avanti. Se cedesse, a cedere sarebbe la democrazia. Chi ha raccolto tra gli elettori anche solo un voto in più, prima che il diritto ha il dovere di assicurare la guida del Paese».

Perchè le fa così orrore un governo di larghe intese?
«Perchè esclude il confronto, l’alternativa, la competizione, la libertà di scelta. E quindi mortifica la democrazia».

Ma Veltroni deve proseguire nella trattativa con Berlusconi?
«Primo: Veltroni deve assicurare al partito una linea forte e condivisa e perciò ripropongo la necessità di dare finalmente voce ai delegati eletti dai tre milioni di elettori delle primarie. Secondo: portare il partito ad un confronto con tutte le forze della coalizione, ponendo tutti difronte alle loro responsabilità. Terzo: cercare l’intesa con l’opposizione, non solo con Berlusconi, alla luce del sole».

E se la sua posizione resta minoritaria e inascoltata?
«Minoritaria tra chi? Non certo tra il popolo delle primarie. Cittadini attivi che vogliono far politica, non carriera politica. Stia tranquillo la vecchia talpa continua a scavare. Al momento giusto la loro voce si è fatta sempre sentire. Si farà sentire ancora».