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18 Aprile 2011

PARISI: “PRIMARIE? LA TALPA CONTINUA A SCAVARE”

Fonte: Il Riformista

Qual è lo stato delle primarie oggi, dopo che
con la nascita del Pd la loro utilizzazione per la scelta dei candidati
alle cariche monocratiche istituzionali ha avuto una crescente
diffusione?

Quello che e’ sicuro e’ che la talpa continua a
scavare. Nonostante l’attuale dirigenza del Pd non perda occasione per
promettere, o minacciare, “aggiustatine”, “tagliandi”, e “revisioni”,
liberarsi delle primarie non sara’ semplice. Son passati ormai sei anni
dal gennaio del 2005, quando, contro le previsioni della vigilia,
Vendola fu scelto dagli elettori pugliesi come candidato del
Centrosinistra per la guida della Regione. E sette anni da quando nel
2004 Prodi era riuscito a strapparle alla nomenclatura. Le primarie si
sono ormai affermate come una delle idee per difendere la democrazia dei
cittadini dal ritorno alla democrazia della delega. I dati messi a
nostra disposizione dai sondaggi – penso a quelli di Diamanti su
“Repubblica” – dimostrano senza incertezza il loro stabile radicamento
tra gli elettori
centrosinistra”.
 
 Molti sostengono che le primarie fanno male
al Pd, perché lo espongono alla scalata di candidati di altri partiti
del centrosinistra, negando di fatto le ragioni stesse della loro
introduzione, che avrebbe dovuto rappresentare un’occasione affinché il
Pd e i suoi candidati potessero esercitare una leadership forte e
legittimata. Si è perciò aperta una discussione sulla necessità di
modificarle. Lei correggerebbe o rafforzerebbe qualcosa, rispetto
all’attuale meccanismo? Ma allora è vero o no, dal suo punto di vista,
che le primarie – fatte in un certo modo (aperte, per esempio) – possono
far male al Pd?
Se il fine delle primarie fosse, come dite,
quello di consentire “al Pd e ai suoi candidati” di “esercitare una
leadership forte e legittimata” sarebbe meglio abbandonarle. Considerata
la struttura interna al campo di centrosinistra riconducibile piu’ che
mai ad un assetto da “quercia con cespugli”, in una competizione pensata
come una gara tra partiti il Pd non puo’ che perderci. Al massimo il
suo candidato vedrebbe infatti confermato il primato preconizzato ai
blocchi di partenza. Di norma i candidati dei partiti alternativi
allargherebbero, come infatti accade, il loro seguito con incursioni
all’interno del suo elettorato. Ne’ le cose vanno meglio se le primarie
sono praticate come elezione diretta del leader di partito, destinato in
uno schema piu’ o meno bipartitico, a intestarsi anche la funzione di
candidato premier. Considerata la permanente natura partitica della
nostra democrazia, invece di rafforzare il leader, le primarie finiscono
infatti per indebolirlo costringendolo a confrontarsi con le pretese
dei candidati minori che, invece di farsi da parte, costruiscono sulla
loro sconfitta la loro sopravvivenza. Se il Pd non recupera il senso
iniziale delle primarie sarebbe percio’ meglio lasciarle da parte. E il
senso iniziale e’ che le primarie, non sono una competizione “tra” o “in
nome dei” partiti, ma innanzitutto una competizione tra persone che,
proponendosi come persone alla guida della intera coalizione,
costruiscono nella competizione il soggetto che nella competizione
bipolare organizzera’ il polo di centrosinistra. Uno strumento che
mentre apre i partiti alla societa’ li unifica attorno ad una proposta
destinata a competere con quella del centrodestra per il governo del
Paese. Una occasione per la coalizione di mescolarsi, riconoscersi, e
rendersi riconoscibile difronte ai cittadini nel far sintesi delle
proprie diversita’ interne. Parlare delle primarie senza dire della
cultura e della idea di democrazia al cui interno le collochiamo, e’
pensare che le primarie, trovino in se’ stesse la propria
giustificazione. Il se e il come e’ invece strettamente dipendente dal
progetto politico complessivo che il partito persegue. L’errore piu’
grave della attuale dirigenza e’ immaginare di poterle svolgere mentre
persegue un progetto politico con esse incompatibile.
Le primarie sono un mezzo per aprire la politica alla
societa’ e per costruire l’unita’ attorno ad un idea della societa’ e ad
una proposta di governo.
Ma apertura e unita’ hanno senso solo nella
prospettiva di una competizione per il governo.
Per questo motivo esse non hanno senso in uno schema
consociativo e non competitivo. Per questo motivo non possono che essere
di coalizione se pensiamo che l’attore della competizione e’ una
coalizione. Per questo motivo non possono che essere di partito se
l’idea che ci guida e’ di tipo bipartitico, o di coalizioni costruite
attorno ad un partito guida.
 
Guardando i dati della partecipazione si puo’
dire che i cittadini abbiano complessivamente compreso il senso delle
primarie. Anche se in alcune occasioni (Cagliari, Milano, Trieste) i
votanti non sono stati pari alle attese, mentre in altre (Bologna,
Torino) sono stati così tanti da contraddistinguere il reale successo
della consultazione. Con ciò, possiamo pensare che le primarie
rappresentino un primo passo in avanti verso un modo nuovo di
selezionare il personale politico, più efficace sotto il profilo della
concreta capacità di rappresentanza? E se così fosse, qual e’ il passo
che viene dopo?
Non e’ il confronto con le attese che puo’
dirci del loro successo o insuccesso. Per misurare il contributo che le
primarie hanno dato alla crescita e al rinnovamento della nostra
democrazia bisogna piuttosto confrontarle con la partecipazione alla
vita di partito. Non c’e’ posto nel quale i cittadini partecipanti non
siano stati enormemente superiori a quelli che partecipano, anche solo
come semplici elettori, ai momenti corrispondenti della tradizionale
vita di partito, come furono un tempo i congressi tradizionali. Se, sul
piano della mobilitazione e della propaganda, il loro svolgimento
rappresenta in se’ comunque un successo, chi volesse trasformare questo
fatto organizzativo in un risultato politico, piu’ che al passo
successivo, dovrebbe tornare sul passo precedente. Prima che sul come
continuare, bisognerebbe avere la pazienza e l’onesta’ di tornare sul
perche’.
 
Le primarie si sono fatte anche a Napoli, e
sappiamo tutti com’è andata a finire. Ci sono, secondo lei, delle
soluzioni che possono essere adottate per evitare il ripetersi di casi
come Napoli? In che modo è possibile preservare una legittima e leale
competizione per il consenso dall’inquinamento di pratiche clientelari?
 Parlare di Napoli e’ sempre imprudente. Ma visto che
ne parliamo piu’ che di “come e’ andata a finire” dovremmo fermarci su
“come e’ iniziata”. E poiche’, quando si parla di primarie, si fa
riferimento alla “effimera democrazia dei gazebo”, sarebbe doveroso
applicarci alla “concreta democrazia delle tessere”. Non mi
soprenderebbe – e uso il condizionale per scelta di metodo – che la
democrazia tradizionale uscisse dal confronto con le ossa rotte, sia sul
piano della quantita’ che della qualita’. Cosa fare? Potrei parlare per
ore. Prima che a Napoli, mi basterebbe che la democrazia e la legalita’
fossero rispettate negli organi nazionali che vorrebbero insegnare ai
napoletani a stare al mondo.