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11 Settembre 2014

PARISI: “PIGLIARU TRATTI CON ROMA”.
Intervista a Lorenzo Piras, L’Unione Sarda p.5

È scettico su una politica di dismissione totale. Arturo Parisi, sassarese ministro della Difesa nell’ultimo governo Prodi, detta la linea sulle servitù militari senza tentennamenti: «La Sardegna deve concordare con lo Stato il da farsi», dice. «Battere i pugni sul tavolo non porta a niente».

Quando era ministro lei la Sardegna veniva “bombardata”?

«Bombardare la Sardegna? Onestamente mi sembra eccessivo. In questo più che in altri settori è bene misurare le parole. Non vorrei che tornassero tempi nel quali “bombardamento della Sardegna” significasse “bombardamento della Sardegna”. Se invece mi si chiede se anche sei anni fa si svolgevano esercitazioni a fuoco, non posso che rispondere si».

I recenti fatti di Capo Frasca l’hanno colta di sorpresa?

«Mi hanno rattristato. Se sono, come leggo, una sorpresa, immagino che fossero imprevisti. Se imprevisti penso che debbano aver contrariato quegli stessi che li hanno causati».

È possibile, come dice l’Aeronautica, che si sia trattato di un semplice incendio di sterpaglie?

«Non ho certo informazioni superiori a quelle delle quali dispone lo Stato Maggiore. Già riconoscerlo incendio è sufficiente a imporre domande e ad alimentare preoccupazioni. Sono sicuro che anche il ministro le condivide con noi».

Che tipo di bombe si sparano nei poligoni?

«Ogni esercitazione ha la sua storia. Ma tutte sono accomunate dalla necessità della sperimentazione dei sistemi d’arma e dell’addestramento del personale. Solo militari esperti possono svolgere al meglio le funzioni che a loro assegniamo per la difesa della Repubblica e, quindi, della Sardegna».

Perché, salvo il fermo di luglio e agosto, a settembre si spara con i turisti ancora in spiaggia?

«Onestamente non mi è chiaro se le esercitazioni si svolgono al di là del previsto, o se sono invece i bagnanti ad essere in spiaggia senza riguardo dei possibili rischi».

Eppure la Regione ha più volte chiesto di cambiare periodo.

«Questo è uno dei punti sui quali di certo le posizioni si debbono e si possono avvicinare. D’altra parte proprio la sospensione delle esercitazioni a Capo Frasca disposta martedì dal ministro è un segnale in questa direzione».

Quando era ministro, come rispose?

«Non ho cambiato opinione sul fatto che le posizioni si possano avvicinare. Il problema è che quando si contesta lo svolgimento delle esercitazioni in termini pregiudiziali è poi difficile passare a discutere del come e del quando».

In realtà, proprio con lei s’iniziò a discutere di un programma graduale di dismissioni.

«Non solo a discuterne. Affiancato dal sottosegretario Casula, abbiamo cominciato a realizzarlo in particolare per quel che riguarda la città di Cagliari e l’Isola della Maddalena. In questo caso, a pochi mesi dall’insediamento del Governo, nonostante la delicatissima fase dei rapporti con gli Usa per la conclusione contemporanea della nostra presenza in Iraq e le tensioni per la base di Vicenza, concordai personalmente con il ministro Rumsfeld il rilascio sollecito e definitivo della base da parte della Marina americana, peraltro già ipotizzato dal ministro Martino».

A che punto è quel piano?

«Più o meno al punto di partenza. Mi auguro che, possa essere risolto il contrasto manifestatosi in occasione della recente Conferenza sulle servitù militari, promossa dal ministro Pinotti e che io stesso avevo proposto al Parlamento».

Quale sorte prevede per La Maddalena?

«Di certo è il caso nel quale in collaborazione col presidente Soru abbiamo lavorato di più puntando a una riconversione profonda del futuro di quella che era stata per secoli una piazzaforte di frontiera. Purtroppo, come dissi subito, di fronte alla decisione di Berlusconi di trasferire il G8 a L’Aquila, al posto di un disastro ne abbiamo avuto due. E dire che per quel G8 ci eravamo spesi come mai. Non ci resta che rimediare a quel danno e ripartire dal lavoro interrotto».

Come giudica la condotta del presidente Pigliaru sul tema delle servitù?

«Quella esposta in Parlamento mi sembra l’unica praticabile. Più che discutere a vuoto del se, è meglio applicarci concretamente al come, al quando, e soprattutto al quanto».

Secondo alcuni dovrebbe essere più duro con lo Stato.

«Duro in che cosa? Più che battere i pugni sul tavolo, bisogna capire che cosa chiedere e qual è l’obiettivo finale. Se, come ha detto martedì in Consiglio, non si è guidati da posizioni pregiudiziali, il presidente ha il diritto e il dovere di negoziare al meglio su costi, condizioni, indennizzi e compensi. Altra cosa sono le esigenze operative ai fini di difesa che sono inevitabilmente di competenza del Governo centrale. Chi invece, perseguendo quella che io ritengo una generosa utopia, pensa che è tempo che “ogni arma ed armato” lasci finalmente la nostra Sardegna per farne la prima Isola di pace del Mediterraneo, è bene che scommetta sulla mitezza dei sardi e lavori perché la riscoperta di questo sentimento diventi un’esperienza di massa».

Sa che sabato a Capo Frasca è prevista una grande manifestazione di protesta?

«Anche se non è scritto in sassarese ho letto anch’io il manifesto pacifista e indipendentista che la convoca “pro serrare totu is bases e poligomos e contra a s’occupatzione militare”. E ho letto il “No servitù” che L’Unione ha proposto martedì ai sardi al di là delle provenienze partito. Un no che è molto, molto di più di un No alle sole servitù militari. L’ho letto e lo rispetto. Ma proprio per questo mi farebbe piacere se di questo potessimo parlare a partire dalle notizie terribili che ci giungono dalle altre sponde del Mediterraneo, cioè dalla domanda su chi e come garantirà la sicurezza di una Sardegna pacifista e indipendente».

Lei ci sarà, a Capo Frasca?

«No. Questo non mi impedirà di seguirla con attenzione, come ho seguito il dibattito del Consiglio martedì. Ma ci sono temi sui quali ognuno ha il dovere di esprimere la propria posizione senza equivoci. Una cosa è essere pacifici, un’altra pacifisti. Una cosa è essere autonomisti, un’altra indipendentisti. Una cosa è essere federalisti, un’altra separatisti. Anche in questo è bene misurare attentamente le parole ».