La Leopolda5, che si apre stasera a Firenze, arriva dopo una direzione del Pd dove si è cominciato a parlare di quali fattezze debba assumere quel partito. Per capire se, dopo la «Ditta» tanto cara agli ex-Ds, ci sia solo liquidità organizzativa o, al più, un supercomitato elettorale.
O ci sia dell’altro. Cortocircuito suggestivo, cui Arturo Parisi, già ministro prodiano, piccolo padre democrat, ma anche leopoldino del 2011, non si sottrae.
Domanda. Professore, si dibatte di «partito della Nazione», contro il rischio di un «partito liquido», mentre Gianni Cuperlo attacca la Leopolda, come locomotiva di un «partito parallelo». Che ne pensa?
Risposta. Certamente il Pd è vivo e vitale nella dinamica interna, così come nella azione del governo. Ma allo stesso tempo, su ambedue i piani, segnato da contraddizioni e incertezze. Basterebbe rileggere il passaggio che, nella direzione, proprio Matteo Renzi ha dedicato alle primarie, la regola che lui stesso più di tutti ha usato per la sua affermazione sulla scena politica.
D. Vale a dire?
R. Si tratta della regola che, più di ogni altra, dovrebbe rappresentare la sua idea di partito: la modalità di scelta dei vertici e il riconoscimento che alla base del partito stanno gli elettori e non le tessere.
D. E invece?
R. E invece, visto che la recente esperienza «ha prodotto pasticci», proprio Renzi conclude «in molti casi si sceglie con le primarie. In altri sceglie il gruppo dirigente».
D. Mi sta dicendo che ora, con Renzi al potere, il nuovo rischio è il ritorno al passato?
R. No, guardi, l’unico rischio che non corriamo è il ritorno al partito del passato.
D. E dunque?
R. Non corriamo questo rischio grazie alla rottamazione delle forme organizzative con la quale Renzi ha portato a compimento le innovazioni anticipate nella stagione dell’Ulivo. Ma, soprattutto, perchè il passato al quale dovremmo tornare è trapassato da tempo: tesseramenti, congressi, sezioni, giornali di partito, sono da troppo tempo parole alle quali non corrisponde più il significato iniziale.
D. Non da oggi, in effetti.
R. Sì, già all’inizio degli anni ’90, quando i partiti conclusero la loro vicenda, quella che chiamammo «repubblica dei partiti» era, nel suo insieme, diventata da tempo una «repubblica dei capipartito». Si potrebbe dire che, con l’arrivo alla guida politica di Renzi e della generazione nata dopo il ’75, l’Italia del dopoguerra sia definitivamente finita.
R. E tuttavia resta nel Pd la nostalgia di quello che fu il Partito con la «P» maiuscola.
D. Se si riferisce a Cuperlo che, nelle ultime primarie, ha rappresentato la nostaglia per un partito «comunità», direi all’opposto che, perfino lui, si è chiesto se non sia il caso di riconoscere che quella stagione è ormai finita. Riconoscerlo per trarne le dovute conseguenze.
D. E quali?
R. Mentre chiedeva a Renzi se la Leopolda non fosse altro che la «locomotiva» di un treno di vagoni distinti, come capita in un partito pensato come «una confederazione di correnti», Cuperlo chiedeva infatti, innanzitutto a se stesso, se la direzione verso la quale il Pd sta andando sia «ciò che forse oggi già siamo». Più che una contestazione un chiarimento.
D. Per fare che cosa?
R. La premessa dell’auspicio di una iniziativa politica interna al partito ma, allo stesso tempo, alternativa alla Leopolda di Renzi. A chi non lo avesse capito, Cuperlo lo ha peraltro spiegato in una intervista rilasciata poi a Repubblica, per invitare la sinistra del partito ad «unirsi ed organizzarsi ripensando tutto con una radicalità che finora non ha avuto».
D. Che a qualcuno è parso l’annuncio di una scissione a sinistra. Anche per lei?
R. No, dopo la repentina adesione al Pse di Renzi, una delle sue mosse più intelligenti e spregiudicate, questa non è più una alternativa compatibile col cammino compiuto dagli ex comunisti attraverso il Pds-Ds-Pd. È per questo che Cuperlo può ripiegare sulla organizzazione della sinistra come componente del partito, in quanto prende atto che il processo già consumato è incompatibile con l’idea di finora perseguita.
D. Se n’è accorto, insomma…
R. Anche lui si rende conto che il Pd non può essere più il soggetto monolitico dal quale proviene, ma «un campo aperto a culture diverse, a movimenti, ad associazioni». Fino ad ipotizzare addirittura l’adesione di Marco Pannella, in passato respinta perchè incompatibile con la sua idea di partito.
D. Beh, un cambiamento non da poco.
R. Profondo, direi, ma di certo non nuovo né improvviso. Come lo stesso Cuperlo ha riconosciuto, il Pd ha infatti adottato fin la forma di «partito di correnti» fin dall’inizio, la stessa forma che, da decenni, i partiti italiani, a esclusione del Pci, avevano esplicitamente assunto. E non penso alle iniziative precarie dei candidati minori delle primarie nazionali e locali che, da subito, hanno preso l’abitudine di far sopravvivere le loro reti elettorali sotto forma di corrente.
D. Se non ai soliti outsider, a chi si riferisce, professore?
R. Per quanto paradossale, dentro la nuova storia è stato infatti proprio Massimo D’Alema e il gruppo di appartenenza di Cuperlo ad aver adottato per primo la forma organizzativa che ieri ha contestato a Renzi. Con la con la costituzione di Red e di Fondazione ItalianiEuropei, si è arrivati a un proprio tesseramento, una autonoma raccolta di fondi, e addirittura una propria tv. Altro che Leopolda. La domanda che spesso Pier Luigi Bersani si è posto, se il partito sia un luogo o un soggetto, ha trovato così una sua risposta. Ma la risposta che Bersani aveva pensato avversa, gli veniva già da una voce amica.
D. Quindi come finisce la storia? Non un nuovo partito, ma una nuova corrente in una confederazione di correnti?
R. Questo lo deciderà la legge elettorale e la forma istituzionale che uscirà da questo passaggio. Se ritorneremo ad una logica proporzionale, i partiti serviranno all’esterno a fare le porzioni e a vigilare ognuno sulla sua, e, ridotte nel partito a partitini, lo stesso faranno le correnti al loro interno.
D. Se invece, approderemo al maggioritario?
R. Allora, grazie anche al rafforzarsi della logica presidenziale, la posta sarà il tutto e non la porzione.
D. Spieghiamolo bene…
R. Ognuno sarà spinto a spostare l’accento dal particolare al generale, dalla rappresentanza della propria parte al governo del tutto. In un partito ridefinito come campo di competizione regolato, sono semmai le diverse componenti, movimenti, correnti, iniziative, che tenderanno ad ereditare la forma dei vecchi partiti, anche se non presenti in quanto tali nella competizione elettorale.
D. E che cosa accadrà?
R. Invece di spartirsi il potere all’interno sulla base del numero di tessere controllate, in un partito guidato da una vocazione maggioritaria, che sta all’interno un sistema governato da una regola maggioritaria, le componenti competeranno dentro le primarie, per portare dalla loro parte il maggior numero di cittadini e fare vincere il proprio candidato.
D. Beh, qui è riconoscibile il «modello Parisi». Ma è anche quello verso la quale stiamo andando?
R. Dipenderà dalle regole del gioco, dalle caratteristiche dei giocatori e i dai rapporti tra di loro. Le regole vengono prima del gioco. Una cosa è una competizione tra coalizioni forti di partiti, come quelle richieste dal Mattarellum, un’altra tra cartelli occasionali, come quelle del Porcellum. Un’altra ancora la competizione tra partiti, ipotizzata da Renzi.
D. Ecco, del modello accennato da Renzi, cosa dice?
R. Prima vorrei capire meglio quale sia il fondamento reale della provocazione del segretario. A parte la difesa dei suoi interessi personali e la scandalosa conferma del diritto di nomina dei «suoi» parlamentari, non riesco infatti a capire come Silvio Berlusconi possa condividere una regola che lo descrive sicuro perdente. Oltretutto ho imparato che le regole per la competizione futura sono destinate a retroagire immediatamente sul presente.
D.E del partito della nazione?
R. Se vuol dire che la mia parte si fa carico dell’interesse nazionale, cioè dei problemi di tutti, e si apre a tutti i cittadini che condividono il suo programma a prescindere da ogni altra distinzione, dirsi partito della nazione è un altro modo di dire della vocazione maggioritaria. Che, in un sistema bipartitico, un partito deve avere.
D. Un sistema bipartitico, appunto. Che in Italia si stenta a vedersi.
R. E, infatti, mi preoccuperebbe se, nel nostro sistema, il «partito della nazione» fosse un «partito unico della Nazione». Di partiti della nazione ne servono almeno due, credibili entrambi sul piano della qualità, e plausibili su quello delle quantità. Ma purtroppo il secondo non è all’orizzonte.
D. Stasera arriva a Firenze un’altra Leopolda. Lei che nel 2011 c’è andato, quando era persino sconveniente nel Pd, che messaggio manderebbe a Renzi?
R. Gli mando un tweet: «10, 100, 1000 Leopolde. 10, 100, 1000 Renzi». Ogni persona è un futuro che inizia, un futuro che è appena iniziato. Capirà.