“Sarei sorpreso se il Ministero della
Difesa non avesse già fatto la sua indagine.” Così ieri Sergio Romano
rispondeva a proposito dell’attentato di Nassiriya ad alla lettrice
Graziella Paoli. Ne sarei sorpreso anche io. Una cosa sono tuttavia le
indagini amministrative e una quelle penali. Le indagini penali afferenti
alla Difesa sono infatti affidate alla Giustizia militare che opera con le
stesse garanzie di indipendenza della Giustizia ordinaria e riconosce ad
ognuna delle parti coinvolte gli stessi diritti che sono riconosciuti nel
processo ordinario.
Questo non mi impedisce tuttavia di testimoniare la mia
fiducia nei Comandanti anche quando non sono Generali, e anche quando non
hanno operato sotto la mia responsabiltà politica, e mi chiama a
manifestare comunque la mia comprensione verso il dramma nel quale si trova
chi abbia la responsabilità della vita dei propri uomini, ed eguale
comprensione per la loro rabbia verso i giudizi facili di chi si può permettere
di sciabolare parole in libertà su cose sulle quali non sa nulla o dispone
di informazioni di quinta mano. Ma questo non mi consente di alleggerirmi
neppure di una lacrima del dolore dei familiari che chiedono di sapere come
e perchè i loro cari sono morti. Io capisco che tre anni dalla tragedia di
Nassiriya sono tanti per avere questa risposta, ma credo che la giustizia
sommaria sarebbe peggiore.
E pur capendo il dovere di farci carico dei
sentimenti di ogni lettrice e lettore, mi sentirei meno solo se fossi
aiutato a spiegare che dietro la formula “fiducia nella giustizia”, sta il
dovere di rispettare la fatica e il dolore delle famiglie dei militari
caduti, dei comandanti militari e della Giustizia militare, che dentro le
istituzioni rappresentano tutti le loro domande e le loro risposte, senza
perdere di vista il rilievo oggettivo dei fatti. Sulla tragedia di
Nassiriya possiamo infatti permetterci tutto meno che dimenticarci o far
passare in secondo piano il fatto che l’attentato lo hanno fatto gli
attentatori.