“La spallata di Berlusconi non riuscirà. Nonostante le fatiche e le
difficoltà, il senso di responsabilità dei parlamentari della maggioranza alla
fine assicurerà al governo i voti necessari”. Arturo Parisi, ministro della
Difesa, appena concluse le cerimonie ufficiali per la festa delle Forze armate,
ha avuto un incontro con Romano Prodi a Palazzo Chigi. “E’ sbagliato - spiega
– porre la questione in termini di diritto a governare. L’ Esecutivo ha
innanzitutto il dovere di governare. Deve portare a termine il mandato ricevuto
dai cittadini nell’interesse del Paese, ma anche della democrazia. Avrebbe lo
stesso dovere anche se avesse ricevuto il voto di un solo cittadino in più
degli avversari. Del resto, George W. Bush portò a termine il suo primo mandato
pur avendo avuto 500 mila voti in meno di Al Gore”. Parisi porta alle estreme
conseguenze il suo ragionamento: “non esistono alternative all’adempimento
del patto con gli elettori”.
Vuol dire che se il governo cadesse, non ci sarebbe spazio per altri
governi nella legislatura?
“Il patto con gli elettori chiama esplicitamente in causa il nome del
premier e il programma. Se salta il patto, non vedo come sia possibile evitare
un ritorno agli elettori.”
Sta polemizzando con i sostenitore del sistema tedesco?
“Tutti conoscono le mie critiche. Il modello tedesco trapiantato in
Italia produrrebbe a malapena uno pseudo-tedesco, con il risultato di
compromettere il bipolarismo e di ravvivare le ipotesi neo-centriste”.
O si parte dal sistema tedesco oppure al momento pare impossibile
trovare una maggioranza per le riforme.
“E’ vero solo se l’obiettivo è fare una qualunque riforma pur di
evitare il referendum. Ma sarebbe un ben misero obiettivo. La transizione
avviata nel segno del bipolarismo va completata rafforzando l’investitura
diretta del premier e costruendo le condizioni istituzionali per un governo e un
Parlamento più forti. Il fatto è che si parla troppo di riforma elettorale e
troppo poco delle necessarie riforme costituzionali. Anche questo aumenta i miei
timori che si voglia tornare al passato”.
Non teme che il referendum possa far cadere il governo?
L’eventuale vittoria del referendum porrebbe il Pd davanti ad una
drammatica alternativa: entrare in una lista di coalizione, di fatto vanificando
la ragione stessa per la quale è nato, oppure presentarsi da solo, rinunciando
a competere per la vittoria.
“Veltroni ha posto correttamente il tema della vocazione maggioritaria
del Pd. Del resto, ottenere il massimo della quantità senza rinunciare alla
qualità è un problema con il quale si deve fare i conti in qualunque sistema.
Capisco invece che potrebbe sentirlo in contraddizione chi pensasse al Pd come
destra del centrosinistra, chi immaginasse future alleanze centriste non come
ipotesi estreme ma come una variante ordinaria al centrosinistra. E’ un problema
solo per chi vuole mettere da parte il bipolarismo, non certo mio o degli
ulivisti”.
Sulla sicurezza il Pd non ha già messo le vesti della destra del
centrosinistra?
“Al momento no. Ma il rischio c’è sempre. E occorre vigilare.
Sarebbe un errore contrapporre la fermezza alla solidarietà. Il principio che
tiene insieme l’Unione è la legalità. Legalità da affermare il lunedì come
il martedì. Perseguendo e punendo con severità tanto l’autore
dell’efferato delitto di Tor di Quinto, quanto gli squadristi che si sono
macchiati del pestaggio dei rumeni”.
Se la spallata dovesse fallire e Prodi decidesse un rimpasto per
snellire il governo, il Pd sarebbe pronto al sacrificio di ministri e
sottosegretari?
“Questa storia del rimpasto è stata impostata male fin
dall’inizio. Il governo si fonda sulla responsabilità e sull’investitura di
Romano Prodi, rafforzata peraltro dall’espressa indicazione prevista dalla
legge elettorale e dalle primarie dell’ottobre 2005. Sentir parlare di nuovo
di delegazioni dei partiti al governo che rimettono il mandato nelle mani del
loro segretario, dovrebbe preoccupare tutti. La struttura del governo è tema di
pertinenza del presidente del Consiglio. Non dei partiti”.
Le piacciono le prime nomine di Veltroni nel Pd?
Lei era stato molto critico dopo l’assemblea di Milano. Aveva detto
che se il Pd non fosse cambiato, avrebbe potuto anche non aderire.
“L’obiettivo che ha guidato fin dall’inizio la mia presenza in
politica è stato la costruzione del Partito democratico. Come potrei mai
arrendermi prima di arrivare alla meta? Questo sul se. Sul come ho fatto sempre
sentire la mia voce. Non posso che continuare a farla sentire se è il caso,
come è giusto che sia.”