21 Novembre 2005
Parisi, la lingua di Caldarola come sempre è più veloce dei suoi pensieri. Legga le interviste prima di commentarle e senta cosa dice il suo segretario prima di parlare
Autore: Arturo Parisi
Il ritardo col quale leggo la dichiarazione di Caldarola riportata oggi dal Corriere in riferimento alle mie dichiarazioni a favore del partito democratico non riduce la mia, diciamo, incredulità. Incredulità accresciuta dalla mancanza di rettifiche da parte dell’interessato. Non so se Caldarola pensi come spesso gli accade ad alta voce o se parli per conto di qualche altro. A nome suo o di altri che sia, leggo che secondo lui io avrei in qualche modo richiesto la “loro” morte intesa come morte degli attuali partiti. Penso che Caldarola non abbia letto la mia intervista o almeno non l’abbia letta attentamente. In caso contrario si sarebbe reso conto che non sono io che chiedo non la morte, ma il superamento degli attuali partiti. A chiedere il superamento e quindi il loro scioglimento in un partito nuovo e più grande sono infatti tutti coloro, e oggi sembrano improvvisamente falange, che discettano propongono lanciano e rilanciano la proposta di un nuovo Partito Democratico o Riformista che dir si voglia. E questi sono per me fortunatamente e per altri sorprendentemente proprio i segretari dei principali partiti del centrosinistra: da Rutelli a Fassino. Perchè cosa significa appunto proporre di fondare un nuovo partito se non auspicare o almeno dichiararsi disposti a superare quello proprio? Esattamente quello che hanno fatto i Democratici, il Partito Popolare e Rinnovamento Italiano quando hanno fondato la Margherita. Esattamente quello che ha fatto Occhetto quando nell’89 alla Bolognina ha messo in movimento la carovana che si è lasciata alle spalle il Partito Comunista. Per questo motivo ho definito appunto questa affermazione formulata non da me ma avanzata da segretari di partito “una affermazione rivoluzionaria che da sola dichiara le attuali formazioni come partiti a termine, passaggi e non mete, mezzi e non fini.”
Se una colpa c’è questa non è la mia. La mia colpa sarebbe semmai quella di aver preso, di prendere sul serio il gran parlare esploso all’improvviso dopo le primarie di partiti democratici con contorno di auspici, annunci e sfide rilanciate l’un l’altro. La mia colpa sarebbe semmai quella di dirmi consapevole che se per conseguire questo obiettivo bisogna partire subito, e lavorare duro, prima di poter dire di essere arrivati, o anche solo “di indicare date di scadenza” come mi fa dire Maria Teresa Meli bisogna contare non fino a mille ma fino a un miliardo. Questo è quello che esattamente ho detto nella Assemblea Federale del mio partito difronte a proposte che indicavano la prossima legislatura come arco temporale di riferimento mentre resistevano a fare oggi nell’immediato i primi semplici passi concreti che si possono fare.
Se Caldarola non ha evidentemente letto, o letto bene, le mie parole, purtroppo io e i lettori hanno letto il suo “E allora noi gli rispondiamo: no, devi morire tu”. Vabbe chè, secondo l’articolo egli “è uno dei rari parlamentari del centrosinistra che non ama il politichese” e ringraziando il cielo viene specificato che la morte che mi viene minacciata, promessa, o semplicemente augurata è “si intende quella politica”. Ma non crede Caldarola che anche “la morte politica” non è cosa sulla quale si possa scherzare a cuor leggero? Capisco che la sua prima formazione militante possa averlo familiarizzato con la morte più di quanto abbia fatto con me la mia prima formazione militare. Capisco anche che la nascita di quel Partito dei democratici che da dieci anni è stato anticipato dal segno dell’Ulivo è come ogni parto accompagnato da doglie e da inevitabili dilacerazioni. Mi farebbe tuttavia piacere che, come ogni parto, fosse associato alla categoria della vita e non a quella della morte: sia che si tratti del superamento dei partiti esistenti in un partito nuovo e più grande, sia che si tratti sempicemente della mia personale morte politica.