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9 Marzo 2013

Parisi: “Il Pd non può continuare a tacere sul Banco di Sardegna” – Sardinia Post

Arturo Parisi è considerato l’inventore delle Primarie ed è uno dei fondatori del Partito democratico. Uno strenuo difensore dell’ispirazione originaria, quella che portò Romano Prodi alla guida del Paese. E’ stato tra i pochi a uscire volontariamente, per  scelta, dalla giostra delle candidature alle Politiche. Ma non ha smesso di vigilare e di intervenire. Con Mario Segni ha levato il coperchio da una pentola che in Sardegna bolliva da mesi senza che nessuno osasse farlo notare: quella delle nomine dei vertici della Fondazione e del Banco di Sardegna. Il web è letteralmente esploso di commenti, la stampa locale molto meno. Il mondo politico da giorni non parla d’altro, ma nelle segrete stanze. In questa intervista Parisi spiega le ragioni della sua iniziativa e, soprattutto, sollecita un dibattito pubblico. “Se l’opinione pubblica non prende la parola anche da noi e nel centrosinistra – dice – il grillismo finisce per l’essere l’unica alternativa”.

In un articolo apparso su la Nuova Sardegna, lei ha posto, assieme a Mario Segni, una serie di domande sulle relazioni tra la Fondazione e il Banco di Sardegna. A conclusione dell’articolo avete precisato che le domande erano rivolte all’opinione pubblica e agli ‘organi della fondazione’. Avete avuto qualche risposta. E se sì, da chi?

 
“A far finta di nulla sono stati finora purtroppo proprio quelli che avrebbero dovuto rispondere. Per il momento si sono infatti levate solo poche voci isolate anche se molto autorevoli. Penso innanzitutto ad Antonio Sassu, a Francesco Pigliaru che muovendo dalla loro competenza ed esperienza hanno risposto al nostro appello. E poi al dibattito che si va aprendo all’interno del Pd a seguito dell’intervento di Guido Melis e di Simone Campus. Mi dispiacerebbe tuttavia se con la scusa che le voci che si vanno levando provengono pressocché totalmente dal campo del centrosinistra, si finisse per ridurre la questione a una semplice bega di partito. “Tra i 101 motivi per cui si litiga, dentro il Pd, adesso c’è pure il Banco di Sardegna” leggo su l’Unione Sarda. Come se il ruolo del Banco, la gestione del credito, e i rapporti tra finanza e politica fossero una bagattella. E tutto questo mentre il tema occupa da mesi le prime pagine, muovendo dalla drammatica vicenda del Monte dei Paschi di Siena”.
 
Il vostro intervento prende spunto dal fatto che, scrivete, “si è da qualche parte ipotizzata la nomina di parlamentari uscenti negli organi dirigenti della Fondazione e in quelli dello stesso Banco di Sardegna”. Il riferimento è evidentemente alla notizia della prossima nomina dell’ex senatore Antonello Cabras alla presidenza della Fondazione in sostituzione di Antonello Arru che passerebbe alla presidenza dell’Azienda bancaria. Si tratta di due esponenti politici. Può riassumere i motivi per cui i politici dovrebbe stare fuori dalle banche?
 
“Fermiamoci alle Fondazioni, perché è di questo che si sta appunto parlando. E limitiamoci a leggere la “Carta delle Fondazioni”, il codice di riferimento volontario, del quale le Fondazioni hanno deciso di dotarsi, votandolo all’unanimità nella scorsa primavera. Al punto 7, quello dedicato alla “Incompatibilità e ineleggibilità” la Carta è chiarissima. “Al fine di salvaguardare la propria indipendenza ed evitare conflitti di interesse, la partecipazione agli organi delle Fondazioni e incompatibile con qualsiasi incarico o candidatura politica.” E aggiunge “Le Fondazioni individuano opportune misure atte a determinare una discontinuità temporale tra incarico politico e nomina all’interno di uno dei loro organi.” E prevede addirittura oltre che per l’entrata anche per l’uscita una “disciplina di eventuali ipotesi di discontinuità tra cessazione dalla Fondazione e assunzione successiva di incarichi politici” rimettendo la definizione di questa discontinuità alla “sottoscrizione di ‘impegni morali’ o alla stesura di un ‘codice etico‘ “.
 
In effetti  è difficile essere più chiari…
 
“E’ per questo motivo che non riesco a credere che le voci peraltro insistenti al riguardo possano avere fondamento. Se si pensa al rilievo che il tema del conflitto di interessi ha avuto negli ultimi venti anni nel dibattito politico, se penso alla determinazione con la quale, traendo spunto dalla vicenda di Berlusconi è stato agitato e denunciato, almeno a parole, in particolare dalla sinistra, non avremmo certo bisogno delle Carte dell’Acri”.
 
Che non entra nel merito di questioni di idoneità, curriculum, capacità ma parla appunto di funzioni. In sostanza un determinato soggetto può essere un genio interdisciplinare ma non deve svolgere, una dopo l’altra, due diverse e a volte conflittuali parti in commedia…
 
“E’ così.  Anche se il tempo passa e passando logora tutti, non credo che l’aver svolto funzioni politiche possa essere considerato di per sé un motivo di esclusione per nessuno. Ma è evidente che ci sono funzioni che non si possono svolgere contemporaneamente perché riferite ad interessi che non debbono essere confusi. Per lo stesso motivo bisogna evitare che mentre si svolge una funzione ci si esponga alla tentazione di servire l’interesse di un’altra. Da qui la necessità almeno di una evidente discontinuità. E’ un’esigenza che dovrebbe valere per molte cariche. Dal suo mancato rispetto derivano infatti danni gravissimi. A questo si aggiunga che comunque non è bene che troppe cariche finiscano nelle mani delle stesse persone anche se queste fossero di qualità indiscussa. Conflitto di interessi e concentrazione del potere sono da sempre le patologie più gravi della politica. Antonio Pigliaru, il mio Maestro, lo ricordava con le parole di Cattaneo. “La libertà, diceva, è una pianta con molte radici. Una lezione e allo stesso tempo un avvertimento. E’ per questo, ripeto, che non ho mai preso più di tanto sul serio le voci che giravano attorno alla Fondazione del Banco di Sardegna e ho preferito considerarle null’altro che delle ipotesi. Spero che il dibattito che si è aperto si alleggerisca perciò al più presto di questo equivoco e si concentri sulla sostanza”.
 
Una delle domande da voi poste si riferisce all’esistenza di un patto parasociale, sottoscritto nell’ottobre scorso, tra la Fondazione e la Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Ne spiegate i meccanismi rilevando che non si comprende quale convenienza ne abbia la Fondazione, mentre sono chiari i vantaggi che ne ricava la Bper. Ritiene di poter inquadrare questo patto tra le manifestazioni della presenza dei politici nelle banche?“I patti parasociali di per sè non sono la conseguenza della presenza di politici: sono accordi presi tra azionisti di una società di capitali. Il punto non è il patto in sè ma il contenuto dell’accordo. Quello che con Mario Segni avevamo chiesto alla dirigenza della Fondazione è di spiegare quale è il vantaggio per la Fondazione, e quindi per la comunità, dell’accordo preso con la Bper. Cosa ci guadagna la Fondazione, cosa ci guadagna la comunità? Per essere più espliciti, il patto prevede una serie di
clausole da cui è facile capire il vantaggio per la Bper, uno dei contraenti, ma non si capisce il beneficio per la Fondazione. Se nel patto si offre un diritto di prelazione alla Bper nel caso di vendita delle azioni in capo alla Fondazione, ovviamente c’è un beneficio per la Bper. Giusto? Ma cosa ci guadagna la Fondazione a concedere questa opzione alla Bper? Il nostro scopo era quello di offrire l’occasione ai dirigenti di spiegarsi in pubblico contrastando il sospetto che a trarre vantaggio dal patto siano soggetti diversi dalla Fondazione dalla Comunità. Proprio perché l’attuale assetto normativo consente ai gruppi dirigenti di operare al riparo dal dibattito pubblico con ampi margini di discrezionalità nonostante siano al servizio della Comunità, la trasparenza è – come dice la Carta che ho prima citato – l’unica garanzia che consente ai dirigenti delle Fondazioni di giustificare che le loro scelte siano state effettuate “nell’interesse proprio e delle comunità di riferimento“.
 
E’ esatto dire che mentre sulla nomina del presidente della Fondazione la Bper non ha voce in capitolo, ne ha invece – eccome – sulla nomina del presidente del Banco?“Corretto. La Bper è totalmente estranea alla nomina del Presidente della Fondazione; ha un ruolo ovviamente nella scelta del Presidente anche se gli accordi tra i due azionisti prevedevano che fosse la Fondazione ad indicare il presidente del Banco. Ma se l’azionista di maggioranza vota contro quella proposta in assemblea il presidente proposto dalla Fondazione non passa”.In tal caso è esatto dire – naturalmente se le voci ricorrenti su questi avvicendamenti sono vere – che il presidente della Fondazione ha sottoscritto a ottobre un ‘patto parasociale’ con la Bper la cui volontà sarebbe determinante per il suo passaggio alla guida del Banco di Sardegna? La domanda, naturalmente, ha solo natura di chiarimento ‘tecnico’.
“La risposta alla domanda precedente vale anche per questa domanda. La Bper ha la maggioranza del pacchetto e quantomeno deve gradire il presidente”.Secondo lei quale dovrebbe essere il corretto rapporto tra la Fondazione e il Banco?
 
“A mio parere nessun rapporto organico. La preoccupazione prima di una Fondazione “di origine bancaria” non deriva dalla sua origine, ma dal suo scopo. Dovrebbe perciò decidere della sua partecipazione preoccupandosi esclusivamente di massimizzare del valore del suo patrimonio e poi occuparsi di gestire bene le erogazioni per scopi di utilità sociale. Riconosco tuttavia che qualcuno possa avere un punto di vista diverso che veda la Fondazione interessata a partecipare alla guida della Banca. Anche se questo contrasta con l’obiettivo perseguito dalla istituzione delle Fondazioni che puntava allo scioglimento del nodo che legava in passato la finanza alla politica, sarebbe tuttavia bene che questo disegno fosse dichiarato e messo a confronto con la posizione di chi sostiene che il nodo tra politica e finanza debba essere finalmente sciolto. Non è comunque accettabile che ci sia chi sostiene a parole la necessità della separazione tra le due sfere – come mi è sembrato di capire da una dichiarazione rilasciata dall’on. Lai a nome del Pd – e allo stesso tempo non solo non denuncia ma copre fatti di segno esattamente opposto attribuiti ad esponenti dello stesso gruppo dirigente che guida il partito”.E, considerando il ruolo della Fondazione in Sardegna, può tracciare l’identikit di un presidente ideale? Abbiamo detto che non dovrebbe trattarsi di un politico, dovrebbe essere quindi un tecnico, un banchiere?
 
“Qualcuno che non giochi a fare il banchiere, ma sposando una visione fondata su una separazione radicale, svolga la funzione di amministratore della Fondazione guidato dall’interesse della comunità sarda. E’ di questo che mi farebbe piacere si discutesse piuttosto che di organigrammi e di scambi di poltrone. Dalla risposta che si dà alla domanda su quale sia il fine della Fondazione e sul suo rapporto con la banca di origine deriva infatti tutto il resto.  Se in una determinata prospettiva il fatto che un esponente politico diventi prima presidente della Fondazione e poi della Banca, come è capitato appunto al Monte dei Paschi di Siena, può essere considerato un cursus funzionale e ottimale. In un’altra prospettiva può essere considerato causa di possibili gravi conflitti di interesse”.
 
Alcuni mesi fa, dopo la nomina di un altro politico sardo non al vertice di una banca ma alla guida di un’autorità di garanzia (Antonello Soro alla Privacy) Romano Prodi parlò di ‘pulsione suicida’ del Partito democratico. Ritiene che il giudizio possa estendersi a questa vicenda, ovviamente se si andrà avanti con le ipotizzate nomine?
 
“Spero proprio di no. Vorrei tuttavia chiarire che la tornata di nomine dalla quale Prodi prese lo spunto per la sua denuncia, mentre io stesso andavo conducendo con una piccola pattuglia di parlamentari una battaglia al riguardo, non riguardava specificamente l’Autorità per la privacy. Pur coinvolgendo tutte le Autorità, essa aveva infatti ad epicentro quella per le comunicazioni, l’Autorità appunto che, più di ogni altra, è chiamata a regolare e vigilare sulle cause di quel conflitto di interesse nel settore radiotelevisivo che da tempo indichiamo come la distorsione principale della nostra vita democratica. Ora è evidente che una Autorità di questo tipo è tanto più capace di contrastare tendenze monopolistiche o oligopolistiche quanto più i suoi componenti sono professionalmente competenti e allo stesso tempo autonomi dai soggetti che deve appunto regolare. Se invece si approfitta di una tornata di nomine per sistemare “i nostri”, senza riguardo alla loro professionalità e autonomia, spartendoci d’amore e d’accordo con gli avversari i posti disponibili in essa e nelle altre Autorità, non ci si può sorprendere e meno che mai lamentare se poi Berlusconi nomina i suoi affidando ad essi in modo dichiarato la difesa dei suoi interessi”.
 
Questo fu il caso che suscitò quella dura reazione di Romano Prodi?
 
“In quella occasione la distanza tra le parole e i fatti raggiunse oltretutto misure in passato sconosciute. Riconoscendo la necessità di procedere ad una selezione trasparente di persone autonome e competenti, si accettò infatti di raccogliere candidature corredate dai corrispondenti curricula e addirittura ipotizzare audizioni dei candidati come vediamo fare altrove, salvo poi procedere alle nomine in modo totalmente arbitrario senza alcun riguardo alle competenze destinando i curricula direttamente al cestino senza neppure esaminarli. E’ evidente che si trattò allora di un episodio molto più grave per il rilievo, ma della stessa natura. Come il caso in esame, quell’episodio ci chiede di interrogarci sui costi che per l’interesse generale comporta l’ingiustificata occupazione della società e il mancato rispetto delle regole da parte dei partiti o del personale politico”.