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23 Luglio 2008

Parisi: il centrosinistra ha bisogno dell’Ulivo

Autore: Giampiero Cazzato
Fonte: Rinascita

«Abbiamo camminato insieme per 15 anni. Ed abbiamo camminato in avanti. E, pensando anche a quando ero Ministro della Difesa, aggiungo, non è stata una passeggiata. Ma abbiamo camminato insieme». Arturo Parisi era all’apertura dei lavori del congresso del Pdci a Salsomaggiore. A «titolo personale» e per marcare la distanza dalla linea del suo partito, il Pd, che con i comunisti “cattivi” di Diliberto non vuole avere nulla a che fare. E invece lui, il professore sardo, co-inventore dell’Ulivo ci tiene a ricordare «il contributo del Pdci», ci tiene a sottolineare che il centrosinistra è riuscito, pur con tanti limiti, «ad organizzare metà del campo della politica italiana». E nelle parole del segretario sulla lunga fase di opposizione che è davanti ai Comunisti italiani vede non una «vocazione, che sarebbe una sconfitta», ma la presa d’atto che dopo il trauma elettorale, «dopo la cesura del 13 e 14 aprile il confronto tra il Pd e la sinistra pur non essendo affatto scontato è comunque un processo che va tenuto aperto e ricalibrato. Ho trovato la relazione di Diliberto davvero bella».

Professore cosa le è piaciuto nella relazione del segretario del Pdci?
E’ stata una relazione di altri tempi. Abbiamo bisogno, tutti, del ritorno non dico di un pensiero forte, non dico dell’ideologia, ma almeno di un pensiero serio. Ed io voglio riconoscere nella relazione di Diliberto questo timbro di verità e di serietà che è appunto il presupposto per il confronto e per un nuovo incontro.

Per la prima volta nella storia repubblicana comunisti e socialisti sono fuori dal Parlamento. A decretarlo non sono state solo e tanto le urne quanto la decisione di Veltroni di chiudere con l’esperienza del centrosinistra. Non crede che la madre vera della sconfitta sia insomma la famosa separazione consensuale tra Veltroni e Bertinotti?
Sì, il trauma inizia da lì, da quella scelta che io giudico scellerata, una scelta certo nel Pd incoraggiata da troppi, ma anche scoraggiata troppo poco a sinistra, una scelta guidata dall’illusione che la divisione allargasse il campo più dell’unità. Tutta la mia vita è stata guidata, all’opposto, dall’idea che è l’unità che allarga il campo. Soprattutto quando al centro della competizione sta il governo del Paese e non la sola rappresentanza dei singoli interessi e delle distinte identità. La separazione consensuale – lo vediamo ora con chiarezza – ha invece messo in moto un processo divisivo che rischia di fare del campo del centrosinistra una maionese impazzita, dove le divisioni che si sono prodotte tra la sinistra ed il sedicente centro alimentano ulteriori frammentazioni. Per questo leggo nell’appello di Diliberto ad un ritrovarsi dei comunisti un tratto positivo, un invito cioè a resistere al processo dissolutivo nel quale siamo tutti coinvolti; anche perché non lo vedo connotato da un incontro tra “comunisti contro” ma da un incontro che prelude ad un nuovo confronto più ampio di tutto il campo del centrosinistra.

Quando parla di disgregazione si riferisce anche alle vicende interne del Pd?
Non solo. Penso anche alla recente divisione tra il Pd e Di Pietro, l’unico scelto come compagno di una strada solitaria e proposto come l’eccezione che confermava la regola. Quanto al mio partito è sotto gli occhi di tutti il confronto scomposto tra capicorrente piuttosto che tra correnti. Una dinamica che non promette niente di buono per il futuro. Ma, lo ripeto, il primo passo di questo processo degenerativo va ricercato nel rifiuto del riconoscimento del cammino che avevamo fatto all’interno della coalizione di governo. Nel 2006, unendo per la prima volta tutte le forze del centrosinistra siamo riusciti a realizzare il massimo della quantità e della estensione, ma non abbiamo fatto in tempo ad assicurare quella qualità e quello spessore di cui aveva bisogno l’azione di governo. E’ stato un nostro limite, di tutti. Mentre alcuni di noi pensavano però che quello fosse un ritardo da contrastare e superare, altri hanno, invece, investito su questo limite per un ritorno all’indietro.

Lei ha chiesto una nuova convocazione dell’Assemblea costituente del suo partito. Lo ha fatto con toni drammatici…
Ho usato toni drammatici perché è drammatica la situazione. Nel momento in cui un partito cessa di essere comunità e non riesce e a confrontarsi e a decidere a partire da regole condivise; nel momento in cui è costretto a confrontarsi fuori dal suo perimetro, sui media, oppure in modo obliquo ed opaco, attraverso mezzi e strumenti che sono una cosa diversa da quello che dicono di essere, evidentemente quello è un partito a rischio. Vogliamo riconoscere finalmente che ci sono delle domande che attendono delle risposte e che attorno a queste domande si sta svolgendo invece un dibattito sempre più inselvatichito? Perché non riconosciamo allora le sedi che ci siamo dati, non per chiacchierare ma per decidere? Questa è la differenza tra un convegno culturale ed un congresso di partito, la differenza tra un assembramento ed una comunità politica. Certo non possiamo illuderci di colmare questo deficit del partito attraverso la scorciatoia della decisione personalistica affidata alla leadership, soprattutto se una leadership fortemente indebolita. Il dramma del Pd è oggi all’origine del dramma di un sistema politico che non offre al cittadino una possibilità di scelta ed una alternativa. Da quello che fu un tempo un bipolarismo imperfetto rischiamo oggi di approdare ad un monopolarismo imperfettissimo, dove il risultato elettorale siciliano, l’80 per cento a 20, rischia di non essere una eccezione isolata, e l’alternativa al centrodestra rischia di dover essere cercata nello stesso centrodestra.

Berlusconi propone per le europee una soglia di sbarramento del 5 per cento. Una stretta autoritaria che vuole esportare la cancellazione della rappresentanza politica anche a Strasburgo.
La manipolazione della proporzionalità ha senso in un contesto nel quale l’esito della scelta dei cittadini è più o meno direttamente il governo ed è quindi utile spingere le forze politiche ad aggregarsi e allearsi in modo trasparente prima del voto. Ma nel caso del Parlamento europeo, la cui funzione è strettamente rappresentativa, l’introduzione di una soglia così alta sarebbe una violenza fine a se stessa. Non meno grave è poi nella proposta l’esclusione del voto di preferenza. In un momento nel quale i cittadini sono stati privati della possibilità di scegliere i propri rappresentanti a Roma non possiamo privarli di scegliere i propri rappresentanti anche a Strasburgo.