ROMA — Onorevole Parisi, lei aveva dubbi sul bilancio
della Margherita. Ma il suo allarme è caduto nel vuoto. Poteva fare di
più?
“È caduto nel vuoto per sottovalutazione. Potrei
dire che i miei contrasti con Lusi arretrano alla notte dei tempi. Fin
dall’esordio della Margherita è stato un continuo infinito braccio di ferro. Da
una parte domande sull’uso politico delle risorse destinate all’azione comune,
dall’altra la sistematica resistenza a darne conto. Ma mai il sospetto di una
appropriazione personale a fini privati. Un braccio di ferro con un avversario
messo a guardia delle risorse del partito a garanzia del fatto che fossero spese
a sostegno della presidenza Rutelli e della sua linea politica. È per questo che
da presidente dell’Assemblea federale avevo chiesto la costituzione di un
comitato di tesoreria che difendesse le minoranze dagli eccessi di potere e, con
masochismo, me ne accollai per anni la presidenza. Ma mai avrei immaginato che
si finisse a guardie e ladri. Se non avessi letto la pubblica assunzione di
responsabilità personale di Lusi, ancora oggi avrei difficoltà a
crederci”.
Poi però lei il bilancio lo votò? L’assemblea lo
approvò all’unanimità?
“Io ricordo sicuramente di avere contestato
l’opacità di alcune voci direttamente al tesoriere, di non aver partecipato a
quel voto e di avere votato a favore di un gruppo di
approfondimento”.
Come venivano spesi i soldi della Margherita?
“È appunto questa la domanda alla quale non riesco
ancora a rispondere. Ma, ripeto, mai avrei, anzi — lo dico condividendo
l’incredulità generale dei dirigenti Dl — mai avremmo potuto immaginare che
finissero in attici e ville private”.
Lei ha avuto soldi dal bilancio della
Margherita?
“No, assolutamente”.
Inimmaginabile per un cittadino comune è che
nessuno si sia accorto di 13 milioni di ammanco
“Che nessuno sapesse è ancora più preoccupante”.
Tutta questa vicenda ha un peccato d’origine?
“Innanzitutto il tradimento del referendum
radicale del 1993 col raggiro del divieto di finanziamento ai partiti fatto
passare per rimborso elettorale. Poi l’impennata dei finanziamenti ai partiti
introdotta dalla normativa successiva. Lo dissi subito quando nel luglio del
2002 denunciai impotente il rischio che finissimo sommersi dalla valanga di
soldi. Mi ricordo che ci fu chi mi disse: “Se le risorse non vuoi usarle tu, le
usiamo noi”. Non voglio dire che il denaro sia “lo sterco del diavolo”, ma
quando è troppo il denaro ai partiti qualcuno può finirci dentro”.
Ora i partiti dicono che si correrà ai ripari con
modifiche di legge. Ma non è come chiudere la stalla quando i buoi sono
scappati?
“Prima di farsi costringere a riformarsi da una
legge, sarebbe il caso che i partiti anticipassero autonomamente le riforme nei
comportamenti. Innanzitutto rispettando le regole che da soli si sono dati. Come
non vedere che fine ha fatto la democrazia nei partiti? Le assemblee deserte o
riempite di comparse. Le decisioni prese all’unanimità per acclamazione. O, come
sembrerebbe in questo caso dei Dl, i bonifici a decine, di 148mila euro per
aggirare la regola interna della doppia firma per decisioni superiori a 150mila.
Ma possiamo continuare con questo giro vizioso di nuove norme, nuove
trasgressioni, e nuovi interventi della magistratura?”
La credibilità dei partiti subisce un ennesimo
colpo?
“Durissimo. È urgente che i capipartito
riconoscano che il potere che è finito nelle loro mani è troppo superiore alla
loro capacità — non dico volontà — di usarlo bene, e ancor più del potere che i
cittadini sono disposti a riconoscere come legittimo. Pensi al potere di
nominare i parlamentari. Al potere eccessivo in astratto, ma ancor più al modo
in cui è stato esercitato in concreto. Lo riconoscano e se ne spoglino in fretta
restituendolo ai cittadini, prima che sia troppo tardi”.
La questione morale resta lettera morta?
“Se la questione è morale, sarebbe ingenuo
pensare che possa
essere risolta una volta per tutte. Come per la casa la sporcizia e la polvere
va rimossa ogni giorno. Senza illusioni e senza impazienze. Cominciando ognuno
da se stesso”.