Corriere Fiorentino, 6 gennaio 2013 p.1, p. 3
(Corriere della Sera ed. di Firenze)
Professore, si avverte un certo malumore fra gli esponenti della componente liberal del partito. Qualcuno se n’è già andato (Ichino, Adinolfi), altri forse lo faranno nelle prossime ore. È la spia di un malessere che il Pd sta sottovalutando?
Se sta male il Pd, cosa dovremmo dire degli altri? Onestamente, da qualsiasi parte si guardi è difficile trovare un partito che mostri una salute migliore.
Di fronte a così tanta salute qualsiasi malessere non può perciò che essere sottovalutato. Per trovarne le spie non guarderei tuttavia agli inevitabili dissidi nella formazione delle liste. Riandrei invece ai quei quattro democratici su dieci che hanno votato Renzi alle primarie di un mese fa. Un dato che gli eventi hanno spinto a dimenticare, e il confronto con gli altri partiti a ridimensionare. Ma è un dato che tuttavia ci attende dietro l’angolo per ricordarci che una larga parte del Pd non si riconosce nella leadership di Bersani. Pensando ad Ichino lei la chiama la componente liberal. Io che liberal non so bene cosa significhi preferisco dire la parte del Pd che è insoddisfatta della catena di comando che governa il partito. È già molto. Vedrà che prima o poi dovremo tornare a parlarne.
Al di là delle persone che se ne vanno, lei vede un rischio per il mantenimento dell’ispirazione che ha animato la nascita del Pd?
Vedo il segno di una insoddisfazione per il profilo del partito, il disagio per la distanza tra quello che al momento della nascita il Pd aveva promesso di essere e quello che poi ha finito per essere. È una insoddisfazione anche questa sepolta dalla galoppata trionfale che al grido di primarie-primarie ha incalzato l’ inconsistenza degli altri partiti celebrando oltre ogni misura la vitalità del Pd. Ma vedrà che quando tireremo le somme si scoprirà nei fatti che una cosa è andare al governo grazie al Porcellum solo col consenso di quelli che sono “nostri” da sempre. Un’altra cosa è arrivarci col consenso della maggioranza degli italiani sulla base di un progetto per il futuro del Paese rivolto a tutti. Già nella nascita del nuovo centro autonomo guidato da Monti si vede tutto il limite della linea seguita fin qui. Non si era detto a Casini “noi organizziamo i progressisti, organizza tu i moderati, ci incontreremo semmai in parlamento dopo il voto.” È esattamente quello che sta accadendo. Ma era proprio questo quello che volevamo? Era questo quello di cui ha bisogno il Paese?
E’ preoccupato dal progressivo sbilanciamento a sinistra del partito? Il risultato ottenuto alle primarie dalla componente dei Giovani turchi lo dimostra.
Quella di cui sono preoccupato è la divaricazione dentro le elezioni tra un Pd sempre più progressista e un Centro sempre più moderato. Per i progressisti il rischio diventa così vincere da soli e, a causa del Porcellum,con una forte maggioranza legale in Parlamento ma un consenso minoritario nel Paese, ma su una linea difficile da tradurre in termini di governo. Oppure non riuscire ad assicurarci una vittoria autosufficiente ma, a causa della divaricazione tra progressisti e moderati, non riuscire poi a dar vita in parlamento ad una sintesi di governo capace di reggere al conflitto sociale.
Ma Renzi non avrebbe dovuto esercitare la sua leadership, rivolgendo un appello a Ichino e agli altri dicendo “non andate via”? Magari, per tutelarli, avrebbe potuto inserirli nel famoso listino.
Lasci stare Ichino e ancor più il listino e le tutele. Già da solo lo spettacolo alla vigilia del voto di questi passaggi di parlamentari dalla nomina in una lista alla nomina in un’altra lista ci dice della miseria nella quale ci ha cacciati il Porcellum e della responsabilità di chi, ha impedito la sua abrogazione. Quanto agli appelli dell’ultima ora e alla stessa possibilità di parlarsi non possiamo dimenticare che la galoppata di Renzi ha avuto il successo che ha avuto proprio perchè è stata in gran parte una galoppata solitaria, espressione di un noi sentito e diffuso ma non di una solidarietà organizzata. Se l’avanzata fosse stata di gruppo sarebbe stata fermata a mezzo campo. Ma chi corre troppo avanti può girarsi indietro e trovarsi così distaccato dagli altri da fare fatica anche solo a parlarsi.
Come giudica l’ultimo mese, piuttosto silenzioso, di Renzi?
Una sosta per riflettere e allo stesso tempo per riprendersi da una sconfitta. La prova della sua buona fede. La prova che aveva veramente creduto alla possibilità di vincere, così come Bersani aveva pensato per un momento di poterle perdere. È questo che ha reso vere le primarie, il sogno di Renzi, la paura di Bersani. Purtroppo le regole e il calendario erano state pensati fin dall’inizio nel presupposto di una sconfitta di Renzi. Immaginate cosa sarebbe successo ad un partito guidato da un segretario sconfitto alla vigilia delle elezioni? È quello che da mesi ho ripetuto per mesi inascoltato.
Perché lei non si ricandida al Parlamento?
Non certo perchè avessi bisogno di deroghe, e neppure per assecondare Matteo che ho tuttavia votato. Se avessi anche centanni ma qualcosa da rappresentare non avrei esitato un attimo. La verità è che per rappresentare i cittadini dovrei essere eletto da loro, e non invece, grazie al Porcellum, ancora una volta nominato da un partito anche se designato da una piccolissima parte dei suoi elettori come è appunto accaduto in queste miniprimarie del Pd. Per rappresentare un partito devi invece riconoscerlo senza troppe riserve. Non è questo il mio caso, nè è questo il Pd per il quale lasciando i miei studi mi son messo in cammino. Votare è una cosa. Rappresentare un’altra.