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29 Gennaio 2017

PARISI: “E’ UN DOVERE RIFARE IL CENTROSINISTRA”
Intervista a Pietro Perone, Il Mattino

Obbligatorio tentare di ridare vita alla coalizione di centrosinistra, un «dovere» per l’ex ministro Arturo Parisi, tra i principali protagonisti della stagione dell’Ulivo.

È bastato che Romano Prodi pronunciasse la parola Ulivo per scatenare l’iraddidio per usare le parole del Professore. Lei che è stato uno dei principali artefici di quella coalizione, insieme con l’ex premier, come si spiega tanto timore per una formula che portò comunque il centrosinistra al governo per la prima volta nella storia d’Italia?
«Onestamente più che timore ho sentito clamore. È la prova che dietro quel nome qualcosa di certo è esistito. Se dopo ventidue anni, da quando l’Ulivo apparve per la prima volta sulla scena politica, la sua sola evocazione suscita tanta attenzione questo vuol dire che la domanda che fu alla sua origine non ha avuto ancora una risposta, o se vuole, una risposta migliore».

L’Ulivo era però legato a un’altra stagione, quella del bipolarismo che con l’avvento di Grillo è di fatto sepolto. Pensa che sarebbe ugualmente possibile rimettere insieme forze di centro e di sinistra per dare vita a una coalizione che possa raggiungere il 40%, soglia che farebbe scattare il premio di maggioranza alla Camera?
«Difficile. Quasi impossibile se dovessi stare al rifiuto di ieri di Pisapia raccolto troppo in fretta da Alfano, anche se non da Casini. Difficile e tuttavia doveroso. Doveroso provare a dar vita a una coalizione di governo. Ripeto coalizione. Non un semplice cartello elettorale per lucrare il premio e spartirselo una volta arrivati in Parlamento. Di fronte alla frammentazione crescente delle forze politiche l’Italia si può ritrovare un governo solo in due modi: attraverso un patto stretto avanti agli elettori prima del voto attorno ad un programma e a una leadership che riesca a meritare il premio di maggioranza che fu definito nell’Italicum sulla base di un largo accordo tra la sinistra e la destra e riconosciuto dalla Corte come compatibile con la Costituzione; oppure dopo il voto in Parlamento a partire da aritmetiche deboli e continuamente mutevoli dopo essersene dette di tutti i colori durante le elezioni. Da una parte la difesa e la ripresa di quel tanto di regola maggioritaria sopravvissuta al referendum e alla sentenza della Corte. Dall’altra parte la resa più che al proporzionale alla mentalità proporzionalista che fa dire a ognuno: intanto mettiamo a verbale il numero di deleghe che son riuscito a raccogliere nel voto, poi vedremo cosa farne dopo il voto».

Il presidente del Pd, Matteo Orfini, in un’intervista dice: Me lo ricordo l’Ulivo in cui eravamo appesi a Turigliatto e Pecoraro Scanio e in cui la spinta riformista di una grande personalità come Prodi era annacquata. Furono davvero così quei governi di cui lei ha fatto parte?
«Se nel centrosinistra l’Ulivo è oggi figlio di troppa nostalgia e di poca memoria, la sola confusione tra il governo del primo Ulivo con l’ultimo governo dell’Unione dà la prova degli scherzi che fa la memoria quando non è accompagnata da un po’ di nostalgia. Come pretendere tuttavia la nostalgia da un Orfini che ai tempi dell’Ulivo era poco più di un ragazzo? Resta comunque che Orfini ha ragione. Di fronte ad una quantità di seggi insufficiente e ad una qualità politica inadeguata, non c’è Prodi che basti. Anche da solo un Turigliatto può finire per avere la meglio. Ora che la Corte ci ha privati della illusione della vittoria di un solo partito, altra strada non c’è se non quella di mettere mano alla costruzione di una coalizione di governo cominciando dalle forze con le quali a livello locale e nazionale si condividono già oggi responsabilità. Ogni rinvio è tempo perduto».

Resta un fautore dei collegi uninominali anche come antidoto al disfacimento delle leadership?
«Soprattutto al fine del rapporto tra eletti ed elettori il collegio uninominale è di certo lo strumento più valido. Così come è difficile non vedere nel ritorno al Mattarellum non solo la via più semplice e veloce per varare una nuova legge elettorale, ma anche la formula più prudente per comporre le ragioni dell’unità con la rappresentanza delle pluralità. Resta comunque inaccettabile che il Parlamento resti composto nella stragrande maggioranza da persone nominate dai vertici di partito».

Lei è stato benevolmente attento rispetto al percorso di Renzi, che oltre ad aver perduto il referendum non è riuscito, a giudicare dalle amministrative e dai sondaggi, a rendere autosufficiente il Pd. In cosa ha sbagliato, se ha sbagliato, il segretario del Pd?
«Mi chiede se Renzi ha sbagliato? Diciamo che di errori ne ha fatti molti. Se dovessi sintetizzarli direi che ha sopravvalutato se stesso. Molto. Ma soprattutto che ha sottovalutato, troppo, l’enormità dell’impresa che ha portato alla prova. Si potrebbe dire che nessuno era arrivato così vicino all’obiettivo di fare dell’Italia una democrazia governante. Per riconoscere ora purtroppo che nessuno lo ha mancato così tanto. Guai se, puntando ad una rivincita solitaria, cedesse alla tentazione di sprecare questo residuo di possibilità che la Corte, riconoscendo il principio maggioritario, ha messo nelle nostre mani.

Insomma, si cambi semmai anche alberello, ma senza coalizione di centrosinistra non si va da nessuna parte?
«Quello che conta è lo spirito. Non certo il nome. Diciamo che ci si deve provare ma prima ancora crederci. Che si finisca ad elezioni regolate dalle due sentenze della Corte o, a maggior ragione, se si riesce a ripristinare il Mattarellum, come chiede con forza il Pd, il primo passo è comunque la costruzione di una coalizione. Costruirla attraverso la definizione di regole che le consentano di scegliere e di riconoscersi in vista del governo futuro in un programma e in una guida da proporre assieme agli elettori. Non riuscirci, o, peggio, neppure provarci, equivale ad accettare la prospettiva di un governo con la partecipazione determinante di Berlusconi. È doveroso che chi rifiuta ogni coalizione lo riconosca ed è bene che cominci a prepararsi. Lui si sta preparando».