D’Alema, professor Parisi, ha già spiegato che appoggerà Pier Luigi Bersani.
Ho ascoltato il suo apprezzamento per la persona di Bersani, non altrettanto chiaramente un sostegno di Bersani per la
linea di D’Alema.
Detta così, professor Parisi, viene da pensare che lei aspetti di veder schierato D’Alema per schierarsi dall’altra parte.
Assolutamente no. Il mio timore é che il congresso si riduca ad uno scontro tra persone, ad una alternativa tra organigrammi. Per questo aspetto che Bersani ci spieghi la sua linea.
Si annuncia iperulivista. Ha anche preso sede due piani sotto di lei, al quartier generale di Santi Apostoli.
Il richiamo all’Ulivo non può essere risolto con delle citazioni. Non è una questione né topografica né simbolica. Ma certo apprezzo i primi segnali, perché mettono fine
alla discontinuità con l’Ulivo che fu assunta da Veltroni come elemento qualificante,
anche se né Bersani né Franceschini ebbero allora da ridire. Per
fortuna il futuro sta davanti a noi. Dovessimo cercarlo nel passato,
finiremmo nelle nebbie.
Al congresso si parlerà molto di politica delle alleanze. Ma è realistico un nuovo centrosinistra da Casini a Vendola?
In democrazia il primo compito di chiunque è costituire maggioranze che governino il paese, capaci di tenere nel tempo. Non diamoci più regole e limiti di quelle che la democrazia ci impone.
Nemmeno una preferenza personale tra i due annunciati sfidanti al congresso?
Bersani è stato un eccellente ministro e ha dimostrato di saper essere un innovatore. A Franceschini riconosco di aver corretto alcune gravi distorsioni delle quali lui stesso era stato corresponsabile durante la segreteria Veltroni.
Cioè?
Ha riposizionato il partito. Spinto
dai coraggiosi di Rutelli e dagli sfrontati di Bettini, Veltroni aveva
trasferito il Pd all’estrema destra dello spazio politico del
centrosinistra, guidato dall’idea di conquistare a destra i voti che
avrebbero dovuto assicurare la vittoria.
Capitolo elezioni: le analisi sono variegate. Come ne esce il Pd?
Il
Pd ne è uscito vivo. E non era scontato. Il processo di arretramento
che era stato aperto dal voto del 2008 si è in qualche modo interrotto.
E può ben dirlo chi, come me, aveva subito visto in quel 33,1 per
cento, o 34 come diceva Veltroni, i segni del disastro, mentre altri lo
consideravano il più stupefacente risultato tra i partiti riformisti dell’occidente.
Sul referendum, da lei sostenuto, c’è invece poco da interpretare. Un flop assoluto.
Ricordo
che anche alle provinciali non si è raggiunto il cinquanta per cento di
affluenza. Con le stesse regole, avremmo dovuto annullarne 14 su
22…La sconfitta nel referendum chiama il Pd a riconoscere di non
essere piú “il” partito “del” centrosinistra, ma “un” partito
“di”centrosinistra, ancorché il maggiore. Di questo ci tocca trarre ora
le conseguenze, a cominciare dalle modifiche allo statuto laddove
identifica la leadership del partito con la candidatura alla premiership. È evidente che ora quell’automatismo é saltato.
Lei si rammarica che il fallimento del referendum impedisca al Pd di esercitare una vocazione maggioritaria. Ma allora perché voi ulivisti rimproverate a Veltroni di aver perseguito il medesimo obiettivo?
I
politologi si interessano dei modelli, i politici guidano i processi. E
se sbagliano i tempi, anche di cinque minuti, è una sciagura. Non posso
dimenticare che il processo che precipitò oltre il lecito nella caduta
di Prodi era guidato dalla pretesa che già allora il partito
potesse proporsi come il partito unico del centrosinistra. Quello che
imputiamo a Veltroni non è perció la prospettiva – anche noi siamo
sempre stati favorevoli a un bipolarismo a vocazione bipartitica – ma l’idea di poterne fare un punto di partenza o di imporlo con la forza.
A distanza di un anno e mezzo, si è fatto una idea definitiva sul perché Veltroni lavorò
per anticpare il ritorno alle urne?
Gli errori determinanti furono tre. La sopravvalutazione delle difficoltà del governo Prodi, troppo frettolosamnete dichiarate insolubili. La sopravvalutazione del consenso attorno al Pd e al suo leader. E la sottovalutazione della
forza di Berlusconi. Non dimentico che in quel passaggio, per quanto
oggi possa sembrare assurdo, ci fu qualcuno (Bettini, ndr) che arrivó a
dire: “ora abbiamo la fortuna di aver di fronte come avversario Berlusconi. Domani chissà? Potremmo avere contro un altro leader ben più forte ed insidioso”».
Come valuta il ritorno in campo di Veltroni a sostegno di Franceschini?
Con sconcerto. Quando Veltroni diede le dimissioni chiesi invano che spiegasse il perché e ne facesse oggetto di confronto nella sede competente. Avendo deciso di tacere allora, avrei preferito, non dico che tacesse per sempre, ma che almeno riprendesse la parola da quel silenzio.
Adesso c’è anche ci vuol rinviare il congresso.
Ci chiamiamo democratici. Confrontarsi e votare
dovrebbe essere la norma non all’eccezione. Qualcuno pensa che la
nostra preoccupazione, invece che difendere la partecipazione, debba
essere difendersi da essa.
Un’ultima domanda. Cosa pensa dello scandalo che ha investito il presidente del Consiglio?
Che Berlusconi sia personalmente in difficoltà mi sembra innegabile. Leggere notizie che riguardano il capo del governo
del mio paese non puó essere tuttavia per nessuno motivo di allegria.
Come opposizione non possiamo comunque non fare le domande che i
cittadini si pongono, e chi governa non può sottrarsi al dovere di rispondere.
Ma la giustificazione delle nostre domande non puó essere che
l’interesse della Repubblica, non certo la curiosità o la malizia. Allo
stesso tempo chiunque fa domande deve sapere che quelle stesse domande potrebbero essere a lui stesso rivolte.
E se le risposte non arrivassero? Il Pd dovrebbe chiedere le dimissioni del premier?
Se ce ne fosse materia, potrebbe diventare un dovere, sempre naturalmente nel rispetto delle leggi e nell’interesse delle istituzioni.