Arturo Parisi, con Romano Prodi Ministro della Difesa e co-fondatore dell’Ulivo, non ha dubbi: «Sul caso Roma tutti hanno commesso errori».
Ora il caso Marino rischia di avere ripercussioni sul Pd nazionale. Chi ha sbagliato?
«Troppi errori da molti. Ma la gara a chi sbaglia di più l’ha vinta di gran lunga Marino».
Quali gli errori maggiori?
«Sarebbe stato meglio per tutti andare fin dall’inizio alla luce del sole davanti al Consiglio comunale. Le sedi delle crisi sono quelle istituzionali. Nei due governi di cui ho fatto parte, anche quando sapevamo di perdere, siamo andati in Aula. Bisogna rispettare le regole, più che affidarsi a manifestazioni di piazza o ad opache riunioni di partito».
Il caos è nato dai 20 giorni di ‘verifica’…
«Fosse per me li eliminerei… si prestano a tattiche e strumentalizzazioni».
Per il dopo Marino, a Roma, circola il nome del Ministro NCD Beatrice Lorenzin.
«Io so che per Renzi, non solo il sindaco, ma anche il candidato sindaco lo scelgono i romani. Al limite la Lorenzin potrebbe pure partecipare alle primarie, ma comunque a partire da un’alleanza trasparente tra Ncd – al momento una secessione parlamentare, più che un partito – e il Pd».
Crede che un’alleanza con Ncd alle amministrative e la nascita del Partito della nazione potrebbe essere la soluzione alla crisi del Pd?
«No. Il primo compito del Pd è la costruzione dell’unità del campo di centrosinistra, senza cedere alla tentazione dell’impazienza, ma neppure ai ricatti dell’impazienza altrui».
Non crede alla possibilità di ricostruire un nuovo centrosinistra sul modello dell’Ulivo?
«Quale Ulivo? Basta capirsi. Fin dall’inizio chiamammo con lo stesso nome cose diverse. Da una parte, un’alleanza tra partiti distinti da trattini e trattoni, cioè pensata solo come un patto di convenienza per il tempo delle elezioni. Dall’altra stava invece il progetto ulivista, che puntava a fare dell’Ulivo dei partiti il partito dell’Ulivo, un partito nuovo aperto a tutti i cittadini di centrosinistra».
Pensa che questo progetto sia stato tradito?
«Diciamo non ancora compiutamente realizzato. Di quel progetto la fondazione del Pd è stata di certo la traduzione più avanzata. Ma troppi sono ancora i cittadini di centrosinistra che ne restano fuori. Penso soprattutto agli elettori, non agli eletti e per primi ai troppi astenuti».
L’Italicum aiuterà?
«Meglio dare il premio a una lista che a una coalizione di partiti. Nel primo caso si rappresenta davanti agli elettori l’unità di un progetto di governo; nella seconda ipotesi divisioni e riserve mentali».
I rapporti con la minoranza Pd restano comunque tesi. Le sembra plausibile una scissione?
«Improbabile e comunque non auspicabile. Il segno di un disagio profondo, di una nostalgia del passato, ma non ancora un’alternativa al renzismo capace di attrarre consensi».
Il ‘patto’ con Verdini per le riforme non è andato giù alla minoranza, ma c’è chi replica che Prodi era alleato con Mastella…
«Il voto di Verdini è solo la conferma di un voto già espresso in passato. È vero anche noi, con Prodi, stringemmo un’alleanza con Mastella. Ma fu stretta davanti agli elettori molto prima delle elezioni e sciolta in Parlamento perché i cittadini potessero tenerne conto nel voto successivo».