Primarie e polemiche, nel Pd. Ricorsi a Napoli, per l’euro elargito a Scampia a qualche elettore cui pareva troppo donarlo al Pd per votare, come hanno mostrato le immagini di Fanpage.it. Discussioni a Roma dove, secondo la minoranza bersaniana, la bassa partecipazione sarebbe figlia dello scontento verso il segretario Matteo Renzi, troppo preso dal Governo e quindi poco attento al partito.
Un’accusa a cui risponde, sprezzante, il presidente dem, Matteo Orfini, che prima, come capo dei Giovani turchi, di quella corrente faceva parte. Secondo Orfini le primarie precedenti, che elessero Ignazio Marino, «furono quelle dei Rom cammellati a votare», cosa che denunciò effettivamente, all’epoca, anche la renziana Cristiana Alicata.
E quando c’è maretta in casa democratica, conviene andare a sentire uno che quel partito l’ha fondato, e le primarie ha voluto più di ogni altro, così come aveva fatto nascere l’Ulivo e l’Asinello prodiano, vicede politiche che stanno nei cromosomi del Pd.
Arturo Parisi, classe 1940, professore universitario e già ministro della Difesa nel Prodi II, risponde a questo identikit.
Domanda. Professore, da una parte le polemiche sulla bassa partecipazione a Roma, dall’altra lo scontro che si è aperto sui presunti brogli di Napoli. È lo strumento delle primarie che è andato in crisi o è una è una difficoltà del Pd e della guida renziana?
Risposta. Se fossimo restati ai titoli di lunedì domenica 6 marzo, sembrava un’altra delle tappe della cavalcata di Renzi.
D. Vittoria su tutta la linea.
R. Esatto. Una notizia era che, dappertutto, avevano vinto i candidati renziani.
D. Lei dice «una» notizia. Ce n’era un’altra?
R. Certo. L’altra era che, mentre il centrodestra continuava a mostrarsi sempre più frammentato e diviso, il Pd arrivava comunque dappertutto a una scelta. E, grazie alla primarie, una scelta consacrata da un voto democratico e comunque corale. Come è possibile che, dopo soli tre giorni, sembri tutto l’opposto?
D. È quello che le chiedo, appunto.
R. La verità è che dietro il racconto che Renzi propone, descrivendo il presente e annunciando il futuro, resta un vuoto eccessivo.
D. Ossia?
R. Innanzitutto un vuoto di alternative credibili, all’esterno del partito e, io dico, di conseguenza all’interno.
D. Da cosa scaturisce questo vuoto?
R. L’origine di tutto è l’assenza di promesse o, se le piace di più, di minacce di un diverso futuro l’origine di tutto. Di promesse o minacce che i cittadini percepiscano come credibili alternative di governo, alternative che possano andare al governo. È dall’interno, non dalle parti, che dobbiamo cominciare a ragionare. Sempre, ma a maggior ragione in un sistema maggioritario quale quello che, da ventitre anni, abbiamo scelto di darci e che la legge elettorale, da poco approvata, ha confermato per il futuro.
D. Vale a dire?
R. Da dentro questo sistema, l’unico dato di cui merita discutere è la lunga agonia del berlusconismo, della quale non si intravede la fine. Altro che delle primarie del Pd, è di quelle del centrodestra che dovremmo parlare e prepararci a parlare. Quelle che, con la sua solita verve romanesca, Francesco Storace ha giustamente chiamato «cazzarie». Quel plebiscito su Guido Bertolaso, prodotto dal braccio di ferro tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, dal quale son proprio curioso di capire come possano uscirne.
D. Mi scusi professore, ma siamo partiti dai problemi del Pd e lei mi parla di quelli del centrodestra. Forse un po’ troppo velocemente. Vorrà mica negarli, quei problemi?
R. Tuttaltro. Come negarli? Come ignorare che, nel vuoto che sta dietro, dentro e dopo, la solitudine di Renzi, col suo racconto appassionato e ottimista, l’unico pieno che si riesce a intravedere è quello di un livore e di un risentimento che, nei suoi oppositori interni, non riesce a farsi proposta e alternativa politica.
D. E sulle primarie, mi scusi?
R. Certo.Come ridurre a scemenze, a «babbarie» come Vincenzo DeLuca ha definito le gravissime immagini riprese di fronte ad alcuni seggi napoletani? Come giudicare l’incapacità dei vertici del partito nell’intervenire, in modo immediato rigoroso e inappellabile, contro questi inqualificabili episodi di malcostume, in difesa dell’onore del partito e di quelle stesse primarie, che i renziani riconoscono come un patrimonio inestimabile del Pd, segno della sua novità e allo stesso tempo strumento insostituibile del suo rinnovamento democratico. Come definire la difesa da parte del presidente nazionale del partito e soprattutto commissario del partito romano…
D. La fermo, per dire che si sta parlando di Matteo Orfini.
R. Certo. E come definire, dicevo, la difesa del crollo recente della partecipazione con l’argomento che la differenza, tra la misura di oggi e quella di qualche anno fa, è da ricondurre tutta all’uscita dei voti cammellati? Cinquantatremila voti su centomila? Capisco solo ora da dove veniva il puzzo e la cacca di cammello che riempiva le strade di Roma!
D. E allora, professore, se le difficoltà della guida renziana e i limiti del suo Pd sono, a suo avviso, innegabili, perchè puntare il dito sul centrodestra?
R. Perché quella è, dal punto di vista del sistema politico, la vera causa strutturale. Le altre sono in gran parte conseguenze.
D. Spieghiamolo bene.
R. Rimetta a posto quel pezzo e vedrà che tutti gli altri ritroveranno la loro misura e il loro posto. Se il centrodestra non si rimette in piedi, c’è il rischio che anche il centrosinistra finisca in ginocchio. Visto che è difficile intravedere una evoluzione del M5s che, in tempi brevi, riesca a farne un’alternativa di Governo. Senza una competizione credibile, chi al momento appare vincente, sarà tentato di pensarsi invincibile, e chi è perdente, rischierà di darsi per perduto o per applicarsi a battaglie minori e di retroguardia.
D. Se invece si rimette in moto la competizione principale…
R. …anche l’unità del partito ritrova il suo senso e, dentro questa unità, ritroverà il suo senso pure una competizione che cerchi la vittoria interna in funzione di quella esterna, per la guida del Paese. E questa competizione per la vittoria elettorale in vista della guida del governo del Paese costringerà i contendenti a cercare i consensi aggiuntivi necessari.
D. E come?
R. Da una parte, facendosi carico del disagio che spinge un numero di cittadini, ogni giorno maggiore, verso l’astensionismo e, dall’altra, a interrogarsi sulle cause della delusione che li conduce verso le formazioni politiche che, come il M5S, si propongono di interpretare la loro sofferenza e di rappresentare la loro protesta.
D. Parisi, mi lasci dire una cosa.
R. Prego.
D. Mi pare paradossale che un uomo del centrosinistra, il principale sostenitore delle primarie, fondatore con Romano Prodi dell’Ulivo e del Pd, e perciò dalla parte di Renzi quando tutti gli altri erano contro, che un uomo come lei, insomma, sembri più preoccupato delle sorti del centrodestra che della situazione del Pd.
R. Guardi, è perchè prima di tutto, prima dell’Ulivo, del Pd, delle primarie, muovendo dalla consapevolezza della crisi irreversibile dei partiti del proporzionale venne, e sta ancora, la scelta della democrazia dei cittadini fondata sulla scelta maggioritaria, quella imposta dal movimento referendario animato da Mariotto Segni. La democrazia della quale, per nostra incapacità, Berlusconi si trovò ad essere immeritatamente il primo interprete e, purtroppo, anche il primo beneficiario.
D. Si torna al Cavaliere.
R. Sì, perché è ora che si può misurare il fondamento della sua pretesa che lo vorrebbe, se non certo padre tra i padri, almeno uno zio, della seconda stagione della nostra repubblica. E non solo infiltrato nella cosa pubblica in difesa della sua cosa privata.
D. E cosa dovrebbe fare, mi scusi, Berlusconi?
R. Dare un occhio al calendario e darsi una mossa. Riconosca a quel “popolo” che, per un momento, ha preteso di mettere insieme, in nome della “libertà”, e apra alle primarie come tutti i suoi gli chiedono a voce più o meno alta, ormai da tempo.
D. Che cosa accadrebbe?
R. Allora anche la proposta di una regolazione legislativa, che un tempo gli lanciammo per primi, troverebbe il suo senso e ritroverebbe la sua speranza. Oggi è solo un modo per nascondere e assolvere dentro un indistinto polverone precise responsabilità personali e, in attesa di regole future, disattendere come al solito quelle presenti.