Per mesi è stato all’interno del Pd un avversario tenace di Walter Veltroni, ma all’indomani della sconfitta elettorale Arturo Parisi non ha nessuna voglia di processi e di rese dei conti. «Il “si può fare” è alle noItre spalle. Non ce l’abbiamo fatta, purtroppo. Infierire su chi si è accollato la titolarità e il rischio della campagna elettorale sarebbe ora troppo facile, Lo dico con simpatia per Walter. Qui è in gioco un intero gruppo dirigente. La sconfitta è stata collettiva, corale». Il ministro della Difesa analizza lo tsumami del 14 aprile con l’occhio del politologo abituato a destreggiarsi tra dati e flussi elettorali. «Da studioso vorrei riservarmi tutto il tempo di cui sento la necessità per non dire cose superficiali. Ma abbiamo qui i dati assoluti, i più sicuri. E i numeri assoluti ci dicono che il centrosinistra rispetto al 2006 ha perso per strada più di tre milioni di voti. È difficile non definirla una disfatta. Cosa è davvero accaduto? Che fine hanno fatto questi tre milioni di persone? Si sono astenuti? Hanno votato scheda bianca? Si sono trasferiti in parte dalla Sinistra arcobaleno al Pd? Lo vedremo quando saranno disponibili i flussi. Qualcosa, però, si può dire fin da oggi».
Il professore sardo ripercorre come in un film le scelte compiute fin qui dal Pd di Veltroni. Scorrono le immagini: le primarie per l’elezione del leader, la scelta di dialogare con Silvio Berlusconi sulla legge elettorale. E poi la decisione di correre da soli alle elezioni spezzando l’alleanza con la sinistra radicale su cui si era retto (malamente) il governo Prodi. «La scomposizione dell’Unione nasce dalla scelta di Bertinotti», ricorda Parisi, che di quell’alleanza è stato tessitore quando Prodi era ancora a Bruxelles come presidente della Commissione europea. E c’è stato un momento in cui il sogno dell’inventore dell’Ulivo, la nascita di un soggetto politico in cui tutto il centrosinistra potesse ritrovarsi, è sembrato a portata di mano: le primarie dell’ottobre 2005, quando Bertinotti gareggiò con Prodi per la scelta del candidato premier. «Da quel momento Bertinotti non è stato più coerente con la scelta fatta con la decisione di partecipare alle primaire. O nel progetto non ci aveva mai creduto o più semplicemente lo ha immediatamente abbandonato arretrando passo dopo passo fino al punto più basso, quando in campagna elettorale ha fatto scrivere sui manifesti che lui voleva rappresentare solo una parte, la sua, e non l’interesse generale. Non era credibile, non è stato creduto».
Tutta colpa di Fausto, allora? Non esattamente: «La separazione tra il Pd e la sinistra è stato un atto consensuale, non certo l’esito di un confronto politico forte. È stato un separarsi con l’idea di ritrovarsi. Motivato dall’idea che per il Pd i voti non conquistati a sinistra potessero essere compensati, per così dire, a destra. La linea del Pd, in questa campagna elettorale, ha scommesso in modo dichiarato sulla possibilità di intercettare i voti di centro, anche a costo di perdere il contatto con una componente importante del centrosinistra, gli elettori appunto schierati a sinistra. Con la speranza che, alla fine, il saldo del partito fosse positivo, e il totale del centrosinistra più ampio. Non è stato così: purtroppo la linea non ha incontrato i fatti».
La linea, come la chiama Parisi, per alcuni notabili del Pd ha gli occhiali da miope e il sorriso accattivante di Veltroni. Ma il ministro della Difesa rifiuta questa equazione: «Non mi piace questo atteggiamento sciacallesco. Veltroni si è assunto il rischio politico in prima persona e in prima persona ha svolto la campagna. Le sconfitte sono onorevoli se ti batti per la vittoria, Veltroni si è battuto con convinzione, nessuno può prenderne le distanze. Non so se per tutti questa sia una sconfitta onorevole, io so che per Walter è onorevolissima».
Però qualcosa da dire, Parisi ce l’ha. La prima riguarda l’atteggiamento tenuto nei confronti del governo Prodi: «La difesa di quello che avevamo fatto doveva avvenire non solo sulla persona di Romano, ma anche sui risultati del governo che ci venivano contestati. Invece la risposta è stata inevitabilmente imbarazzata e contraddittoria». Il secondo affondo è sulla gestione del partito. «Lo dico senza ironia, pacatamente e serenamente: è arrivato il momento di svolgere quel ragionamento politico che fin qui è mancato. Un ragionamento rispettoso dei fatti e delle persone. Purtroppo le primarie che hanno eletto Veltroni invece di fondarsi su un confronto sul futuro, hanno preferito essere una conta e una somma di liste che venivano dal passato. E così è stato per le due assemblee costituenti nelle quali la celebrazione ha preso il posto della discussione.
Il risultato è stato che il Pd è stato chiamato a parlare prima di aver avuto il tempo di pensare, almeno a livello collettivo». È la richiesta di un congresso straordinario del Pd o perfino di un cambio di leadership? «Le ritualità hanno senso solo se sono un punto di arrivo», risponde Parisi. «Peggio sarebbe se il dibattito muovesse dai nostri ombelichi o dai titolari degli ombelichi. O scende in campo un progetto alternativo che consenta un confronto e una scelta o discutere solo di persone e di organigrammi sarebbe il colpo finale. La sconfitta diventerebbe una disfatta».
Veltroni non si tocca, ma tutto il resto deve essere rimesso in discussione: linea politica, progetto e soprattutto gruppo dirigente. Gira e rigira, il ministro della Difesa batte sempre sullo stesso tasto: «In questi mesi non siamo riusciti a rappresentare nella sua pienezza la novità del nuovo partito. Veltroni ha caricato tutta la novità sulle sue spalle, sulla sua leadership, affidandola ai gesti comunicativi e alla simbologia, per me indovinata: l’inno nazionale, la bandiera, il tricolore nel simbolo parlano del Pd come di un partito dell’Italia e degli italiani». Un leader solo al comando, solo sul palco, solo il suo nome sui manifestini verdi sventolati in tutta Italia da folle enormi. «Sì, ma poi le persone che non salivano sul palco c’erano tutte, erano lì, la gente sapeva che erano nelle liste. Siamo rimasti a metà del guado. Abbiamo insistito sul nuovismo, ma poi noi del vecchio c’eravamo tutti, lo dice chi tra i vecchi si sente l’ultimo arrivato». Una mancanza di credibilità, anche personale, come sbraitava Berlusconi: Pd ultima incarnazione del Pci, Veltroni uomo di apparato, professionista della politica? «Se Berlusconi ha pensato di poter utilizzare questo logoro armamentario è perché nel paese ha ancora una sua attualità», ragiona Parisi.
I notabili al gran completo, da Massimo D’Alema a Giuseppe Fioroni, da Dario Franceschini ad Anna Finocchiaro, a Franco Marini accorso al capezzale del Pd alla fine della serata elettorale, poche ore dopo i primi risultati sono tornati a salire sul palco accanto a Veltroni: un gesto di solidarietà, forse di assunzione di responsabilità, ma anche un segno di tutela di una leadership che sembrava fortissima e che oggi, all’improvviso, appare fragile. «Il gruppo dirigente è chiamato a un profondo rinnovamento del personale politico: il passaggio di generazione avviato da Veltroni deve continuare. Il gruppo dirigente non può trasformare la vicenda in una questione personale di Veltroni, né risolvere il tutto con i vecchi caminetti delle correnti. Bisogna saper leggere i segni dei tempi. Siamo tutti persone troppo avvertite per non capirlo».
Una nuova leva di giovani leader, da costruire fin da ora. E il futuro personale del leader sconfitto? Sarà ancora lui il candidato premier quando si tornerà a votare? Troppo presto per dirlo, ma un ultimo consiglio Parisi lo vuole dare: «Veltroni non può che essere al servizio del progetto di cui è parte e promotore determinante. Son sicuro che per esso continuerà a spendersi. Walter ha detto bene in questi mesi: progetti lunghi e una classe dirigente sufficientemete giovane per poterli realizzare. E’ il momento dei quarantenni. Purchè lo facciano da quarantenni e non in nome dei loro quarant’anni. Non so se questo tipo di quarantenni sia presente a sufficienza nel Pd. Io so che nel paese ci sono. Quarantenni che parlano poco di sè e molto del Paese». AAA, giovani leader cercasi.