Qualcuno aveva fatto anche il suo nome, quello di Arturo Parisi, per il Colle. L’ex-ministro della Difesa del Prodi II, fondatore dell’Ulivo e poi del Pd, aveva in effetti il phisique du rôle del capo dello Stato, ma, alla fine, la scelta è caduta su Sergio Mattarella.
Domanda. Professore, Mattarella è il presidente giusto per questo delicato passaggio politico?
Risposta. Sì, il presidente migliore. Il punto di equilibrio più avanzato nel sistema attuale delle forze che interagiscono dentro le nostre istituzioni.
D. Che cosa gli è parso del discorso pronunciato davanti al Parlamento?
R. A individuare in Mattarella la persona che meglio di ogni altra può rappresentare in questo momento il baricentro politico e istituzionale, più che il discorso in sè, stanno le reazioni che lo hanno accolto. A cominciare dagli applausi espressi ieri in Parlamento.
D. Gli applausi?
R. Sì, quelli caldi di rinnovato consenso e perfino quelli tiepidi di rinviato dissenso. Sì, il presidente migliore. Purtroppo scelto col metodo peggiore.
D. Ma come, peggiore? Tutti riconoscono la sua elezione come un capolavoro?
R. E un giudizio che condivido anche io, totalmente. Un capolavoro, quasi un miracolo. E non perché Mattarella fosse un esito imprevedibile. Nonostante il magistrale fuoco di fila di candidature che ha preparato il campo per la scelta finale, moltiplicando le illusioni, dividendo le opposizioni, e distraendo le previsioni, il suo nome è stato costantemente presente nel listino del toto-presidenti.
D. Praticamente dal primo giorno…
R. E non si può neppure dire che, per chi l’ha guidata, la sua elezione sia senza precedenti. Se è un capolavoro quella di Renzi, cosa dovremmo dire allora della elezione di Cossiga portata al successo col 77% dei voti al primo scrutinio da Ciriaco De Mita, ancora dolorante per quell’eccessivo successo. Dunque, per quanto prevedibile e contenuta, l’elezione di Mattarella rappresenta nell’immediato senza alcun dubbio un capolavoro di Renzi. Dato il metodo col quale in Italia si elegge il presidente della Repubblica, difficilmente altri avrebbero trovato un modo per fare goal migliore di Renzi. Un Maradona.
D. Un Maradona o un Giancarlo Antognoni, stante la fede calcistica del premier. E allora? Dove sta il problema?
R. Non nella persona, né nel modo, ma, appunto, nel metodo. E non penso certo al metodo sul quale si recrimina «dal» e «nel» centrodestra.
D. Vale a dire?
R. La mia domanda è più radicale e riguarda il metodo istituzionale, il gioco stesso, non il modo di giocare.
D. Spieghiamolo bene, professore.
R. È vero, il nostro sistema non è di tipo presidenziale. Ma è indiscutibile che la definizione di democrazia parlamentare gli sta sempre più stretta. In questo contesto, è fuori di dubbio che il presidente della Repubblica è, nel sistema, una carica cruciale. Il tempo ha dimostrato definitivamente tutta la potenzialità che stava dietro la lettera costituzionale. Di certo, oltre i limiti che gli stessi costituenti avevano immaginato. Diciamocelo. Il Presidente, anche se a tempo, e individuato attraverso una procedura elettiva, assomiglia sempre più a un sovrano costituzionale. Indipendentemente dalle caratteristiche personali del presidente di turno.
D. E quindi?
R. Possiamo continuare a sceglierlo così? È bene che ci ripassiamo questi giorni prima che si allontanino dalla memoria. Possiamo andare avanti con i «sembra», i «si è pensato» o i «sembra che la minoranza del partito, (ma di chi si parla? ) abbia proposto». Possiamo procedere con i «è meglio non fare il nome perchè lo si brucia». Oppure con i «sentirò e alla fine vi farò sapere».
D. Che cosa sono?
R. Trucchi, depistaggi, dissimulazioni non sono certo una caratteristica esclusiva della elezione del presidente del Repubblica, ma in questo caso, più che in ogni altro la definizione che meglio si adatta alla nostra democrazia è l’impareggiabile «aumm aumma» del dialetto napoletano. Se si conviene con Norberto Bobbio, per il quale democrazia è innanzitutto la trattazione delle cose pubbliche in pubblico, questo equivale dire, l’esatto opposto della democrazia.
D. E invece?
R. Invece la scelta per eccellenza pubblica viene trattata in privato come se fosse una cosa privata. Si potrebbe dire, paradossalmente, trattata pubblicamente in privato. E poi ci si stupisce della ingenuità dei 5Stelle o della mitizzazione del lungo viaggio che, attraverso l’America, porta alla Casa Bianca. Quando si parla della nostra cultura politica, ebbene, l’idea di democrazia nascerà pure dalla lettura dei classici, ma di gran lunga di più dall’esempio dei fatti. È anche per questo che i cittadini finiscono per leggere la figura del presidente come se fosse un re, perché abita nel Palazzo del Re, piuttosto che come il primo magistrato della Repubblica.
D. Un giudizio assai severo, professore. Scandalizzato, direi. Ma non ho sentito, al riguardo, voci critiche.
R. È vero. Tanto ci siamo abituati che non ci facciamo più caso. Di più. Se il gioco diventasse d’improvviso trasparente…
D. Che cosa accadrebbe?
R. Non solo i giocatori, ma gli stessi spettatori si sentirebbero defraudati di uno spettacolo. In un gioco che si svolge al buio, capire quello che sta accadendo, e indovinare come andrà a finire è una delle cose più intriganti e allo stesso tempo la prova che si è parte del gioco. Ma quelli che son dentro, dimenticano che la quota di quelli che non seguono o non capiscono, e non seguono perché non capiscono sta crescendo ogni giorno di più.
D. Siamo tutti presi dalla giocata monstre, lei dice…
R. Compiaciuti e ammirati per il goal imparabile di turno, non ci rendiamo conto che gli spalti sono sempre più deserti e i cittadini non seguono più neppure da casa sugli schermi tv, e che i due terzi che si sono trovati attorno al presidente in Parlamento rappresentano a mala pena un terzo del Paese.
D. Proporzioni drammatiche, in effetti.
R. La verità è che, quando settanta anni fa il gioco è iniziato, l’opacità aveva un senso. Consentiva infatti a parti, ufficialmente nemiche, separate da una cortina di ferro e da un muro di trattare come perfino in guerra si tratta tra nemici. Inevitabilmente nell’oscurità. Ora quel tempo è passato. È passato da tempo. Il muro è caduto assieme alla necessità della oscurità. Allo stesso tempo sono cresciuti lo spazio e la luce della democrazia.
D. Dunque che cosa bisogna augurarci?
R. Che Mattarella sia l’ultimo presidente scelto col metodo della prima repubblica. Che il prossimo sia scelto a partire da candidature avanzate in modo trasparente e scelto dal voto libero del parlamento, cioè a dire dei singoli parlamentari. Anche perché le riforme in via di approvazione dal Parlamento, quella costituzionale e quella elettorale, impongono la necessità di ripensare il suo ruolo o il metodo di elezione. Senza di ciò, l’elezione del presidente rischia di trasformarsi d’ora innanzi nella mera designazione da parte del segretario del primo partito.
D. Come, di fatto, è stato.
R. Sì ma quello che nel quadro attuale è stato il frutto di un capolavoro straordinario di Renzi, sarebbe solo l’esito del lavoro ordinario.
D. In che senso?
R. La nuova legge elettorale mette infatti a disposizione della maggioranza un numero di voti sufficiente ad eleggerlo con le sue sole forze. Niente di nuovo. Invece di tre giorni ne servirebbero sei. Ma il risultato sarebbe assicurato.
D. Invece di aspettare il quarto scrutinio come è accaduto questa volta…
R. … basterebbe aspettare il nono, quando è sufficiente la maggioranza assoluta. Solo che, ora, la disponibilità della maggioranza assoluta è solo possibile.
D. E con la nuova legge elettorale, invece?
R. Grazie all’Italicum, sarebbe sicura, salvo l’improbabile caso di una formazione di maggioranza nella Camera e di netta minoranza al Senato. È evidente che ci sono alcuni problemi che vanno ripensati. Altrimenti anche la fi gura di arbitro nella quale il presidente si è riconosciuto nel suo discorso perderebbe gran parte del suo fondamento.
D. Un direttore di gara, di parte...
R. Con un arbitro nominato da una sola squadra o la partita si trasforma in uno scontro tra l’arbitro e il capitano, o finisce che sugli spalti resistono solo le mogli dei giocatori in attesa della fine.
D. Senta professore, nei giorni scorsi ho visto anche che ha denunciato con un tweet il voto riconoscibile alle elezioni presidenziali. È così grave?
R. Grave? Gravissimo. Ancor più se penso alla leggerezza con la quale è stato incoraggiato e consentito. Un oltraggio a garanzie conquistate e principi proclamati e difesi col sangue. Cosa diremmo se gli elettori nei seggi fotografassero il voto.
D. Accade sempre più spesso…
R. Già, e cosa diremmo se fossero spinti a renderlo riconoscibile? Sarebbe appunto meglio cambiare la Costituzione e riconoscere ai capipartito il diritto di nominare il presidente. Mentre lo dico penso al voto di scambio presidiato in molti posti dalla mafia. O all’Afghanistan dove i nostri soldati sono schierati in difesa della libertà del voto delle donne da capifamiglia e capitribù.