Arturo Parisi non è preoccupato. È molto preoccupato. Perché dalla decisione della Consulta rischia di mandare in testacoda l’intero sistema. Alla vigilia delle primarie del Pd, l’inventore dell’Ulivo spiega a Europa che la finestra di opportunità per l’esecutivo, ma più in generale per la tenuta del quadro politico-istituzionale si sta chiudendo, anzi forse si è già chiusa.
Professore, la decisione della Consulta allunga o accorcia la vita del governo?
Lo vedremo la settimana prossima. E prima ancora domenica sera se, come mi auguro, uscirà dalle urne Pd un mandato forte per una guida su una linea chiara. Se il nuovo governo dimostrerà di avere alle spalle la nuova maggioranza politica che dice di avere, questo è il primo banco di prova. Ma potrà dire di aver superata la prima prova solo se riuscirà a presentarsi alle camere con una ipotesi credibile di risposta alla sfida aperta dalla sentenza della Corte. E ipotesi credibile significa una proposta puntuale e un calendario dettagliato che ridefinisca il dossier delle riforme cominciando dalla legge elettorale. Non è più tempo di saggi, o di comitati, né di generici impegni a discutere della legge. Non è più tempo di scadenze che datano a 18 mesi, ogni giorno ridefinite “da domani”. Questa volta dovranno dire già in partenza il “cosa” e precisare esattamente il “quando”, cominciando dall’oggi. Se nelle prossime 150 ore Letta non è in condizione di formulare una proposta e uno scadenzario dettagliato in giorni, il destino è segnato. Quello del suo governo, e quello nostro.
Quali passi dovrà fare la nuova leadership del Pd per sminare questa situazione?
Tallonare il governo su questa strada e allo stesso tempo lavorare a convergenze capaci di superare il perimetro della sua precaria maggioranza. Non sarà certo facile. Ma è doveroso.
La sentenza mette fuori gioco il Mattarellum oppure, auspice Grillo, può essere ancora una base di partenza?
Per quanto mi sforzi non riesco a vederne altre. Questa fu peraltro l’ipotesi nella quale, assieme a Ceccanti che lo fece al senato, mi mossi nella legislatura scorsa nella totale indifferenza del partito e della sua segreteria. La stessa ipotesi che traducemmo in quesito referendario con l’illusione che fosse concesso al popolo di fare quello che sapevamo che i partiti non avrebbero mai fatto. Con l’ostilità della segreteria Bersani che lavorava anch’essa al superamento del Porcellum, ma esattamente nella direzione che è ora emersa. Al centro della ipotesi di referendum attribuita a Passigli stavano infatti gli stessi punti che stanno ora al centro della decisione della Corte.
Alcuni oggi parlano di fine del bipolarismo. È così secondo lei?
Questo può essere appunto l’esito, se non reagiamo. Ma il bipolarismo non è per noi un fine in sè. Il nostro fine è un governo reso forte dalla investitura diretta dei cittadini, controllato da un parlamento non meno forte perché di nuovo eletto dai cittadini. Se la domanda è questa, di certo il bipolarismo potrebbe pure andare incontro a una crisi. Ma sarebbe la crisi del paese non di un assetto politico. Non credo tuttavia che i cittadini riuscirebbero a sopportare a lungo che sullo sfondo delle macerie di un governo e di un parlamento delegittimati, possano affermarsi poteri privi di una adeguata legittimazione democratica.
Cosa pensa di tutte queste grida sulla illegittimità del parlamento, penso a FI e al M5S in particolare?
Che rischiamo di dargli ragione. Solo una iniziativa chiara del Pd a favore della democrazia dei cittadini, potrà evitare che l’alternativa finisca tra Berlusconi e Grillo.
Insomma è stata una sentenza politica?
Di certo parte di una dinamica e di un disegno politico. Quello che si può dire è che non è stata pensata né scritta nella notte tra il 3 e il 4 dicembre. Avevano ragione quelli che la annunciavano con sicurezza usando i verbi al futuro, non al condizionale. Che poi anche l’irriguardoso attacco di Crozza alla Corte possa aver contribuito al precipitare degli eventi è un’altra cosa.
Quale è la sua opzione per un sistema elettorale capace di trovare una maggioranza all’interno di questo parlamento?
Non mi faccia dire parole consumate, soprattutto perché troppo ripetute da chi non ci crede. Né la giusta considerazione che la legge elettorale verrebbe dopo la riforma istituzionale, e neppure la necessità sacrosanta di abolire il senato, e men che mai che preferisco il doppio turno di collegio, dentro una riforma di tipo francese. È da tempo che ho imparato a distinguere il bene dal meglio, e il male dal peggio. È per questo che ho chiesto di tornare al Mattarellum, il compromesso imperfetto del ’93, contro il quale avevamo noi stessi proposto un referendum. E sono ancora là. Ma soprattutto non riesco ad arrendermi all’idea dei parlamentari inseguiti dalla telecamera di turno totalmente privati della possibilità di resistere in nome di un mandato di cui rendere conto.