Se non fosse stato per il fiuto e la cocciutaggine di questo professore
sassarese che se ne sta seduto – esausto e solo – tra scatoloni vuoti in
un
appartamento di trecento metri quadri, il referendum anti porcellum non
sarebbe
mai nato.
Alle otto del mattino, al secondo piano di piazza Santi Apostoli, la
piazza
dell’Ulivo, Arturo Parisi, non smentisce il suo stile: ” Ci sono frasi
retoriche d cui bisogna difendersi anche in questi momenti. Ma non è
retorico
chiedersi: con tutto quello che sta accadendo fuori dal Parlamento, ci
possiamo
permettere di rieleggere un parlamento cosi privo di legittimità? Ma
davvero si
pensa di risolvere un problema cosi serio alzando il prezzo del caffè
alla
buvette? O riducendo lo stipendio ai parlamentari? Sono misure che
lasciano
inevasa la domanda dei cittadini: cari parlamentari ma voi quale
funzione
svolgete? Oramai la risposta naturale a questa domanda – portare a Roma
le istanze dei cittadini – si è letteralmente dileguata. Davanti
all’enormità
della questione democratica, i partiti che hanno fatto? Stanno li…”
Parisi si è “tenuto” per tre mesi, ma ora può
dispiegare la
sua proverbiale vis: “ Ora c’è una potente richiesta di farla per
davvero la
riforma elettorale, come chiesto dal capo dello stato nelle cui parole
mi
riconosco, ma purtroppo in questi tre anni anche il Pd non ha fatto
nulla. Una
promessa l’aveva fatta: chiedere la calendarizzazione della
propria proposta entro il 30 settembre,
ma neppure quello è riuscito a fare. In compenso, tanti suoi elettori
hanno
sottoscritto il referendum, ma il vertice massimo (con la minuscola e
maiuscola) non ha preceduto e neppure seguito il movimento che ha
attraversato
la sua base. Bersani dice che trecentomila firme sono dei democratici?
Bene,
verrebbe da chiedergli: ma perché non sono 300.002? Perché Carlo Vizzini
del
Pdl ha firmato e Bersani e D’Alema no? Salvo non abbiano sottoscritto in
qualche oscuro banchetto”.
Lo hanno descritto per anni come un naif, ma – come
ben
sanno nel Palazzo – Parisi è l’artefice di alcune delle “invenzioni” che
hanno
cambiato la politica italiana degli ultimi 20 anni: i referendum
elettorali
degli anni 90, l’Ulivo, le Primarie. E ai primi agosto quando lo avevano
“mollato”
quasi tutti, è stato lui che, con pochi amici e volontari, che poi ai
primi di
settembre si è trasformato in una “moda”, una valanga. Ma ieri
mattina, a
depositare i faldoni in Cassazione, non c’era nessun personaggio di
primo piano
del Pd. Dice Parisi: “ Il vertice del Pd non è stato né alla testa né alla coda di questo movimento. All’inizio
Bersani ha elaborato una teoria generale per bloccare il referendum”.
Effettivamente, con un documento approvato dalla
Direzione
del Pd era stato sancito come “non possibile” sostenere un referendum
diverso
dalla proposta del partito e poi con ripetute dichiarazioni, Bersani
aveva
invitato i dirigenti ad astenersi dal partecipare alla promozione di
qualsiasi
raccolta. In particolare con un argomento, cheil referendum per sua
natura è
destinato alla società civile. Sorride Parisi:” Ma i
referendum, come dimostra la storia, sono
previsti per consentire una verifica di maggioranza a chi è fuori dal
parlamento, ma anche a chi è dentro ed è in minoranza. Ma la teoria
generale,
che applicata alla lettera toglierebbe alla opposizione un’arma
fondamentale, è
stata rovesciata radicalmente nei fatti. Un numero crescente dei membri
della
Direzione ha preso posizione pro-referendum, anche se la cosa più grave è
un’altra:
la rivendicazione del ruolo che addirittura il vertice del partito
avrebbe
avuto nell’affermazione del referendum. Ma come si fa ad essere a favore
e
contro allo stesso tempo? Questo atteggiamento mi pare eccessivo e credo
che
richieda una risposta”. Ma ieri sera Bersani ha il
ruolo decisivo del Pd, che
effettivamente nelle sue feste ha ospitato tanti banchetti. Dice
Parisi:” Nel
migliore dei casila leadership del Pd ha salutato o ospitato il
movimento.
Bersani sostiene che il Pd avrebbe portato trecentomila firme? Mi sembra
che da
una parte abbia sopravvalutato il suo ruolo, immaginando che le firme
raccolte
nelle feste “gli appartengano” con una concezione quanto meno arcaica
del
proprio elettorato.
Ma si è anche sottovalutato perché trecentomila su
un milione
e 200 mila sarebbero il 25% del campo. Posso tranquillizzarlo: gli
elettori
democratici che hanno firmato sono molti di più”.
E Prodi? “Abbiamo festeggiato anche perché un primo
obiettivo lo abbiamo già raggiunto: trovatemi uno, uno solo, che difenda
il
Porcellum”.