Signor Presidente della Camera,
mi rivolgo a Lei, ma è al Presidente del Consiglio che intendo parlare.
Non vi è infatti nessuno che in Italia non sappia che la norma di cui stiamo discutendo è una norma ad personam.
Una norma ad personam che ha come obiettivo unico, esplicito, dichiarato, nientedimeno che la tutela della serenità, della serenità personale del Presidente del Consiglio dei Ministri, una norma guidata dalla pretesa di sottrarre la persona di Silvio Berlusconi alla condizione di cittadino comune e dalla illusione, sì il-lu-sione, che questa serenità possa essere conseguita per via di legge.
E’ per questa pretesa e questa illusione lei fa pagare alle istituzioni e al parlamento un prezzo il cui peso scopriremo solo col tempo.
E’ per tutelare la serenità di Silvio Berlusconi che oggi la Camera è chiamata ad approvare una legge che, sospendendo i processi penali del Primo Ministro non ha precedenti nell’ordinamento di alcun altro Stato costituzionale di diritto.
Una legge che rappresenta un insulto al buonsenso, prima ancora che al sistema delle fonti basato sulla nostra Carta costituzionale.
Ma non è di questo che voglio dirle ora, Signor Presidente del Consiglio.
Voglio dirle dell’indignazione, del dolore, nel vedere come lei, che pure è leader di una coalizione investita da un vasto consenso popolare, lei che è il presidente di tutti si vada trasformando non dico in un despota ma in un modesto, piccolo sultano che pensa di aver ricevuto dal consenso popolare un mandato di onnipotenza.
E lo dico da bipolarista convinto che anche in questo Paese la sovranità popolare, proclamata dall’art. 1 della Costituzione, possa diventare davvero la fonte immediata e diretta della legittimazione a governare.
Non è a questo che pensavamo io e i tanti che come me sulla democrazia di investitura hanno scommesso e lavorato per anni.
Democrazia di investitura significava e significa per me e per noi una leadership che fonda la sua autorevolezza sulla capacità di guida e di indirizzo che gli viene dal consenso popolare ricevuto sulla proposta e sul programma politico presentato agli elettori.
Non certo quella variante di dittatura di maggioranza in salsa italiana alla quale pensa lei quando afferma che il mandato ricevuto la legittima a governare comunque, anche contro la giustizia del suo stesso Paese.
All’inizio di questa già così tormentata legislatura Lei aveva invocato il dialogo, in nome della responsabilità e del patriottismo costituzionale.
In poche settimane Lei ha distrutto tutto e ha aperto la prospettiva inquietante di una democrazia regressiva, esposta a forme di autoritarismo sostanziale.
Fra poche ore questa Camera approverà, Signor Presidente del Consiglio, la norma che lei tanto ostinatamente vuole.
Lei vincerà, Signor Presidente. Vincerà con la forza dei numeri, con la forza di numeri che in misura maggiore dei reali consensi le sono stati riconosciuti per rendere più forte l’azione di governo non per rendere più sicuro l’interesse personale del capo del governo.
Lei vincerà, ma scoprirà presto a sue spese quanto piccola sia questa vittoria così testardamente voluta.
Lei constaterà giorno per giorno, di non essere più forte, ma più debole; di non essere più autorevole, ma più prigioniero dell’immagine di uomo prepotente e spaventato che lei ha dato in queste settimane.
E scoprirà anche, che neppure questa norma basterà a metterla al riparo dalle sue responsabilità, che ha violentato le regole per niente.
Come un piccolo Machbet, avrà paura di ogni albero, di ogni cespuglio, di ogni stormir di fronda.
Per fortuna sua e di tutti gli italianile sue mani non grondano sangue, Signor Presidente del Consiglio.
Ma il senso di paura e di prepotenza che lei ha trasmesso in questi giorni resterà a segnare ancora una volta l’esperienza di un uomo troppo carico dei fardelli del suo passato per poter essere il leader autorevole e prestigioso, che il nostro Paese ha diritto di avere.
Peccato, Signor Presidente del Consiglio.
L’Italia e gli italiani meritavano e meritano di più.