2222
20 Febbraio 2004

Intervento in aula di Arturo Parisi in occasione della lunga maratona contro il decreto salva Rete4

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi.
 
Parliamoci chiaramente. Un intervento di questo genere, a quest’ora della notte, non ha il compito di convincere.
 
Noi sappiamo che ci stiamo ripetendo. Eppure, anche se tutto è già stato detto, quello che ripetiamo non sarà inutile. Non sarà inutile se almeno qualcuno, fuori di qui, sintonizzato su qualche benemerita radio, potrà ascoltare quello che davvero sta accadendo stanotte in Parlamento.
 
Scriveva Thomas Jefferson che "la nostra libertà dipende dalla libertà di stampa, ed essa non può essere limitata senza che vada perduta".
 
La libertà di stampa (e di televisione, rispetto a Jefferson) oggi, se non perduta, certo è gravemente colpita. Abbiamo una "televisione senza smentite" – scriveva appena ieri Giovanni Sartori – e "la verità, sulla nostra tv, non è accertabile".
 
Rimane, per il momento, la libertà di espressione. E a questa facciamo ricorso. Alla libertà di espressione vogliamo fare ricorso, questa notte. Né possiamo fare diversamente, giacchè non possediamo i mezzi di cui dispone il Presidente del  Consiglio. Non possediamo le sue televisioni. Non esercitiamo la sua influenza. Dobbiamo accontentarci delle pagine interne dei giornali.
 
Ma respingiamo la sufficienza e il sarcasmo dell?onorevole Gasparri. Il ministro di fiducia del Presidente del Consiglio non si stanca infatti di ripetere che la nostra battaglia, la battaglia del centrosinistra, la battaglia dell’Ulivo,  "è una battaglia inutile".
 
Perché è una battaglia inutile? Perché è una battaglia di fronte ad una maggioranza imbavagliata? Inutile perché nulla, o ben poco, di ciò che sta accadendo in Parlamento in questi giorni sarà mostrato al paese?
 
Non è una battaglia inutile, onorevole Gasparri. Noi oggi combattiamo questo decreto anche perché questo decreto è il figlio mostruoso – ancorchè naturale – della madre di ogni sciagura di questo governo: il conflitto di interessi. Quel conflitto che avrebbe dovuto essere risolto entro 100 giorni, e ne son trascorsi 1000. Per l’esattezza 1012, secondo gli ultimi calcoli.
Ma in effetti noi sappiamo che Berlusconi aveva promesso di risolverlo già nel ’94, quando entrò in politica. Allora riconobbe lui stesso l’esistenza di un conflitto di interessi. Son passati 10 anni, ripeto 10 anni, da quando prese l’impegno di risolvere il conflitto di interessi. 10 anni, e il conflitto di interessi non è ancora risolto.
 
Non avremmo mai immaginato che la sua impudenza si sarebbe spinta fino al punto di costringerci a questa veglia notturna. Una veglia fatta per far sentire la nostra voce.
 
E come avrebbe potuto essere diversamente? Rammentiamo lo svolgimento del copione. Ancora una volta il premier ha ordinato, il governo ha eseguito, e il Parlamento è stato doppiamente mortificato. Mortificato con l’imposizione di un decreto-legge. Mortificato con la richiesta di un voto di fiducia sullo stesso decreto. Mortificato soprattutto per
l’imposizione fatta all’organo che rappresenta la sovranità popolare.

Un Parlamento costretto a piegarsi perché la materia del decreto è l’interesse privato del capo del governo che l’ha ordinato.
 
Non si son potuti attendere i tempi ordinari di un iter legislativo. Non si è potuto rischiare qualche sussulto di coscienza col voto segreto della maggioranza.
 
La logica lineare sottesa ai due anni e mezzo di questo governo non sfugge a nessuno. Il conflitto di interessi non è stato risolto. La legge Frattini  che avrebbe dovuto regolarlo, se non risorverlo, è scomparsa, non solo dall’odg. E con la legge Frattini sono stati seppelliti gli art. 3 e 6 , quegli stessi articoli che non avrebbero reso possibile presentare questo decreto che il parlamento si accinge a votare.
 
Il governo con questo decreto ha voluto sostituirsi al Parlamento. Al Parlamento che avrebbe dovuto tornare a legiferare sulla legge Gasparri. Quella legge Gasparri votata dalla maggioranza parlamentare, ma bocciata dal Presidente della Repubblica che l?ha ritenuta in conflitto con le decisioni della Corte costituzionale.
 
All’indomani della decisione della Corte costituzionale – lo ricorderei ai colleghi della maggioranza se i colleghi della maggioranza fossero presenti – avevamo dichiarato la nostra disponibilità a lavorare insieme alla ricerca di una soluzione. Ma quale soluzione?

Anziché chiedersi come ripristinare quel pluralismo che la Corte ritiene violato, la domanda che si sono fatti è stata : "come eludere la sentenza della Corte"? E tutto è stato escogitato per non dare attuazione a quella sentenza. Perché gli interessi privati del Presidente del Consiglio sono più importanti della libertà.

Gli interessi privati del Presidente del Consiglio sono più importanti del pluralismo, che della libertà è condizione necessaria e presupposto irrinunciabile. E questo decreto è l’ultimo espediente escogitato per perseguire l’obiettivo di sempre: difendere ad ogni costo la posizione dominante dell?azienda televisiva di proprietà del Presidente del Consiglio.
 
Perché questo decreto è intoccabile? E’ intoccabile perché intoccabili sono gli interessi aziendali del Presidente del Consiglio. E’ intoccabile perché non si può ammettere che il digitale terrestre è un bluff. Perché se si ammette questo, addio Fede e Rete4?
 
Ma quale ricerca comune, allora! Quale intesa è mai possibile quando l’opposizione per farsi ascoltare deve ricorrere all’ostruzionismo? All’ostruzionismo, per far giungere al Paese una pallida eco della sua indignazione e del suo allarme?
 
Non c’è intesa possibile quando un’opposizione che si batte in difesa delle prerogative parlamentari, in difesa della democrazia, per farsi ascoltare deve ricorrere a quello che viene
definito "ostruzionismo". E che invece è – tragicamente – l’unico modo rimasto per esprimere, se non le proprie proposte, almeno il proprio dissenso.
 
Ma voi, deputati della maggioranza, non avete nemmeno la libertà di dissentire. Perché il dissenso non vi è più consentito di esprimerlo, voi lo sapete bene. Guai a chi – e parlo della maggioranza di questo Parlamento – dovesse ardire a pensarla diversamente.

Guai a chi – potendo ricorrere solo alla residua briciola di libertà offerta dal voto segreto – ardisse invocarla. E’ una questione di fiducia, cari colleghi. Una fiducia che oggi siete tenuti a dichiarare nei confronti di questo governo.

Per la semplice ragione che il capo di questo governo non ha più fiducia nei confronti di molti di voi! Il potere legislativo è stato palesemente piegato al potere esecutivo. E il potere esecutivo – cioè il governo – ha obbedito al suo capo e ne ha difeso i personali interessi.
 
Una brutta giornata per il Parlamento. Una triste giornata per la democrazia italiana.