26 Aprile 2005
Intervento di Arturo Parisi alla direzione della Margherita
Come ha illustrato bene Rutelli nella sua relazione introduttiva, il risultato delle ultime regionali è stato così forte e così diffuso da consentirci di dirlo indiscutibile e allo stesso tempo da chiederci di discuterlo ancora a lungo. Il risultato dell’Unione, il risultato dell’Ulivo e naturalmente il risultato della Margherita.
Per interpretarlo esso va tuttavia ripensato dentro questo passaggio di fase. Un passaggio che per l’immediato può essere sintetizzato, se l’accostamento non può risultare irriguardoso, da due nomi. Berlusconi terzo e Benedetto sedicesimo.
E’ dentro il campo definito da questi due poli che noi dobbiamo svolgere la nostra ricerca: con Berlusconi terzo, che con gli altri due Berlusconi che lo hanno preceduto, ha in comune solo il nome.
E’ infatti assolutamente evidente che Berlusconi non è più il cavaliere che abbiamo conosciuto in passato. Smontato definitivamente da cavallo, egli è ormai solo il primo dei cavalieri, un primato primato da fante che vediamo ora a sua volta sfidato.
E’ questo Berlusconi, capo di un tradizionale governo di partiti e non più del governo del premier del passato ad essere riferimento di un processo di scomposizione un processo fondato sul riconoscimento della debolezza e della precarietà della azione.
A fronte di questo scacco che è causa ed effetto del processo di disgregazione della aggregazione sociale e della costellazione valoriale che Berlusconi si vantava di aver promosso, sta , la proposta e la domanda di verità di una verità forte che è evocata dal nome di Benedetto XVI.
Non è evidentemente questa la sede né il momento per confrontarsi con questa domanda. Ma ritengo che, pur nel rispetto della laicità del partito, anzi proprio la laicità del partito ci chiede di aprire una riflessione sulle conseguenze che essa ha in generale sul piano politico culturale. Non possiamo immaginare che la domanda o la proposta di un pensiero forte non interpelli anche i partiti. Non possiamo immaginare che i partiti siano forti, o, meglio, pesanti nella organizzazione e leggeri nel pensiero.
Tornando al processo di scomposizione messo in moto da Berlusconi terzo credo che non solo noi non possiamo permetterci di celebrare una vittoria che non abbiamo ancora conseguito, ma che dobbiamo vigilare per il disastro che questo governo minaccia al Paese nei prossimi mesi.
Nonostante comprenda la domanda di liberazione che ieri, nel sessantesimo del 25 aprile del 1945 si è levata nelle piazze non ho condiviso il parallelo suggerito da qualcuno tra il presente e quel passato.
La semplice associazione della sconfitta di Berlusconi alla caduta di Mussolini equivarrebbe alla nostra sconfitta.
E’ vero infatti che noi cerchiamo in questa sconfitta il superamento dell’impostura di una leadership che pretende di essere di governo solo perché ha bisogno di occupare il governo per proteggere interessi che col governo della cosa pubblica non hanno nulla a che fare.
Ma guai se qualcuno pensasse la sconfitta di Berlusconi non come la continuazione o la ripresa della stagione della democrazia governante ma come la sua fine solo perché chi sta al governo l’ha strumentalizzata a fini di parte.
Pur nel rifiuto di paragoni impropri vorrei tuttavia ricordare che se la primavera che attendiamo per l’anno prossimo ha lo stesso profumo di quella del 1945, ancora un anno ci separa da quella primavera.
E in questi dodici mesi può succedere di tutto: fortunatamente non la tragedia del passaggio 44-45, ma è a tutti evidente quali siano i rischi davanti al Paese. L’idea della privatizzazione delle spiagge non è che l’ultima delle invenzioni di quella finanza distruttiva che è ormai indissolubilmente associata al nome di Tremonti.
E’ per questo che dobbiamo aprire una fase nella quale alla invenzione programmatica del futuro si associ la vigilanza sul presente. Il fatto che all’interno della Cdl si apra una stagione dell'”ognuno per sé” non migliorerà ma peggiorerà la situazione generale.
Il venir meno del riferimento e della garanzia costituita dalla leadership di Berlusconi spingerà ogni partito della Cdl a perseguire i suoi interessi particolari scaricando sul solo leader le responsabilità del fallimento del disegno politico generale. E’ bene che nessuno si faccia illusioni.
La solidarietà che ha accomunato i partiti della Cdl quando hanno chiesto è ottenuto il mandato dagli elettori, la solidarietà che, al di là delle parole e dei teatrini, li ha legati durante questo disastroso infinito quadriennio, sarà la stessa della quale chiederemo loro conto Berlusconi o non Berlusconi.
”La forza serena sviluppata oggettivamente dall’Ulivo, quasi indipendentemente da una specifica campagna, da un Ulivo ‘unito per unire l’Unione’ e’ stato il motore di tutta la dinamica elettorale. Questo nelle regioni del Centro Nord dove l’Ulivo si e’ presentato, ma anche dove ci siamo presentati separati”.
Se nelle regioni nelle quali ci siamo presentati separati, in genere del Centro Sud il risultato dei partiti dell’Ulivo e’ stato leggermente superiore alle regioni unitarie, questo e’ avvenuto perche’ al voto di opinione veicolato dal messaggio nazionale si e’ aggiunto l’apporto del voto particolaristico veicolato dal maggior numero di preferenze associato al maggior numero di candidati. Il risultato sarebbe stato identico – si domanda Parisi – se la dinamica fosse stata quella opposta? Ne dubito.
Il risultato e’ diverso se di fronte agli elettori il motore e’ costituito dall’appello unitario o da quello particolaristico. Anche se sono note le mie preferenze io non conosco la risposta alla domanda su quale sia la lettura da preferire, e aspetto per tirare le somme la conclusione del ciclo elettorale che attende per chiudersi ancora il responso delle amministrative sarde, valdostane e siciliane.
E’ tuttavia sicuro che pur essendo tutti gli apporti utili diverse sono le conseguenze che derivano dalla scelta di una o di un’altra lettura come prevalente. Se il motore della nostra avanzata, della avanzata che dobbiamo portare a compimento, e’ la nostra unita’ e alternativita’ politica dobbiamo rendere piu’ nitida, forte e alternativa la nostra proposta.
Se il motore fosse invece il voto particolaristico sarebbe comprensibile l’auspicio di quanti tra noi chiedono di aggiungere ai voti particolaristici acquisiti altri voti particolaristici grazie all’apporto di esponenti del ceto politico da qualsiasi parte essi provengono”.
Parisi ha poi sottolineato che ”come nello sport, anche in politica di fronte ad una indiscussa e indiscutibile vittoria quale quella delle ultime regionali per quel che riguarda il ‘che fare’ vale la regola ‘squadra che vince, linea che vince non si cambia’.
Ma proprio per questo e’ urgente dare una risposta condivisa alla domanda ‘qual e’ la linea che ha vinto?’. Non possiamo infatti nasconderci che questa domanda abbia due possibili risposte.
Una prima risposta immagina che dietro il risultato stia la competizione tra i candidati, che si sarebbe avvalsa e avrebbe rafforzato la forza di un partito finalmente riconosciuto dagli elettori. La forza e la competizione tra i partiti che la compongono ha reso poi forte l’Ulivo.
A questa linea di lettura si contrappone una che segue invece il percorso opposto, quella nella quale mi riconosco meglio. Secondo questa a guidarci alla vittoria e’ stata l’unita’ del centrosinistra e la sua capacita’ di proporsi come una alternativa credibile alla crisi del berlusconismo.
E’ questa unita’ e alternativita’ che e’ stata il magnete che ha richiamato gli elettori che nel 2000 si erano appartati nell’astensionismo; e’ questa unita’ che e’ stata il riferimento degli
afflussi dell’elettorato urbano.
Ma sarebbe stata possibile questa immagine di credibile unita’ se la lista dell’Ulivo non avesse svolto la sua funzione stabilizzatrice, neutralizzando la competizione interna tra i partiti che compongono la Federazione e se l’Ulivo avesse esasperato la sua competizione esterna verso gli altri partiti dell’Unione?