Il tempo intercorso dalla formulazione della nostra interpellanza potrebbe
secondo qualcuno aver fatto perdere di urgenza se non di attualita’ agli
interrogativi che all’inizio dello scorso mese abbiamo rivolto al governo.
Il fatto che e’ alla sua origine e ne costituisce l’oggetto risale infatti
nel tempo alla fine dello scorso mese di febbraio.
Le drammatiche notizie che continuano a raggiungerci dall’Afghanistan hanno
invece rafforzato purtropppo ulteriormente la sua attualita’ e la sua
urgenza.
L’interpellanza fa infatti riferimento alle perdite di vite umane che in
quel Paese vanno moltiplicandosi senza sosta tra i militari e tra i civili.
A stare alle informazioni pubblicamente acquisibili sui mezzi di
informazione le perdite registrate gia’ in questi primi mesi dell’anno sono
infatti centinaia.
Gia’ 148 sono i nostri militari caduti in questi primi tre mesi del 2010.
Dico nostri, anche se tra essi era italiano solo Pietro Antonio Colazzo,
ucciso dai terroristi a Kabul mentre svolgeva con valore il suo servizio su
mandato della Repubblica, perche’ nostri debbono essere considerati tutti i
militari della missione alla quale l’Italia partecipa con un proprio
contingente. Al di la’ delle provenienze, essi sono infatti accomunati
dallo stesso obiettivo, sotto la stessa linea di comando e sulla base di un
mandato del quale sia in sede Onu che in sede Nato condividiamo la
decisione e la responsabilita’ come cittadini e come parlamentari.
A queste 148 morti va poi aggiunto un numero, purtroppo non documentato con
altrettanta precisione e tempestivita’ di afghani appartenenti alle forze
armate e di polizia di quel Paese, secondo un rapporto del Congressional
Research Service dello scorso febbraio che possiamo valutare a circa 2/3
del complesso delle perdite della coalizione internazionale. (nel periodo
gennaio 20 settembre 227 contro 347).
Il contributo di gran lunga maggiore alle perdite in quel paese e’ tuttavia
quello che viene dai civili. Secondo lo stesso rapporto del Congresso essi
sono stati infatti nel 2009 il quadruplo dei caduti tra i militari della
coalizione (2412 contro 520). E’ vero che tra essi il 67% delle morti e’
attribuito ad azioni di forze antigovernative, in massima parte a
dispositivi esposivi improvvisati. Resta comunque che il 33% che e’
riconducibile alla azione della coalizione (essendo pari a 796 casi) e’
comunque pari ad una volta e mezzo il numero dei militari della coalizione.
Anche questi sono morti che come i militari dobbiamo riconoscere come morti
nostri. Anzi questi morti sono nostri due volte, perche’ nostri amici, ma
ancor piu’ perche’ in quanto civili essi sono oggetto specifico della
nostra protezione, anzi piu’ precisamente costituiscono un obiettivo
qualificante della missione che ci ha portato in Afghanistan.
Non riuscire a proteggerli dalle insidie dei azioni ostili, che per
semplicita’ riassumiamo sotto l’unica etichetta di talebani, e’ gia’ di per
se’ un fallimento. Riconoscere che una parte cosi’ rilevante delle loro
morti e’ addirittura da ricondurre alle forze che sono li’ per proteggerli
e’ un fallimento ancora piu’ grave.
L’urgenza di questa interpellanza trova tuttavia la sua principale
giustificazione non tanto in quello che e’ accaduto ma in quello che puo’
accadere. Non possiamo infatti dimenticare che e’ in corso in quel Paese
una intensificazione della azione militare della coalizione guidata
dall’obiettivo di conseguire in tempo breve risultati che consentano una
exit strategy a partire dalla meta’ dell’anno prossimo.
Come non temere che, in corrispondenza dell’incremento di truppe al quale
l’Italia ha deciso di contribuire, assieme ai nostri morti in divisa, che
gia’ in questi primi tre mesi sappiamo rispetto ai corrispondenti mesi del
2009, piu’ che raddoppiati, crescano in misura ancora maggiore i nostri
morti civili?
Se le statistiche sono allarmanti, ancora maggiore e’ l’allarme destato in
noi e nella opinione pubblica dai singoli episodi, che i media continuano a
trasmetterci in modo implacabile. Sono appunto di questi giorni le
immagini
di morti innocenti che ci hanno raggiunto dall’Afghanistan. E di questi
giorni sono anche le denunce di comportamenti delle forze militari
internazionali finalizzati ad occultarli.
Se non bastassero i numeri e le immagini basterebbe comunque l’allarme che
viene dagli stessi comandi militari. Penso alle parole inequivoche del
generale McCrystal che guida la missione alla quale prendiamo parte.
“Voglio che sia chiaro alle nostre forze che noi siamo qui per proteggere
gli Afghani, e uccidere inavvertitamente o ferire civili mina la loro
fiducia nella nostra missione.” Parole chiarissime, ribadite ancora una
volta dalla recente Conferenza di Londra dove come ha ricordato nello
scorso marzo il Ministro Frattini parlando a Roma ad una delegazione di
giornalisti Afghani. (Media Forum Italia-Afghanistan dello scorso 17 marzo
a Roma).
Parole chiarissime volta a volta ribadite di fronte alle denunce che nella
legislatura precedente io stesso, nell’esercizio della responsabilita’ di
governo, ho rivolto in Afghanistan ai responsabili militari, e in Italia e
in Europa al Segretario generale della Nato.
E tuttavia parole che non hanno trovato purtroppo riscontro nei fatti, e
ci
lasciano quindi preoccupati per il prossimo futuro.
E’ sullo sfondo di questo allarme che noi abbiamo sentito il dovere di
segnalare al governo la denuncia pubblica che costituisce il riferimento
immediato di questa interpellanza.
Nella serata del 28 febbraio 2010, nella trasmissione “Che Tempo che fa”
su Rai 3, Gino Strada, leader di Emergency, organizzazione umanitaria
impegnata notoriamente da tempo in Afghanistan nel campo sanitario,
intervistato dal conduttore Fabio Fazio ha sostenuto che nei giorni
precedenti nell’area da lui definita come “il cuore della zona dei
bombardamenti” le forze dell’Isaf andavano conducendo una operazione che
vedeva tra le prime vittime ancora una volta la popolazione civile.
In questo contesto che, come abbiamo visto non possiamo definire nuovo,
Strada ha tuttavia denunciato un comportamento che non puo’ non apparire
gravissimo. Non solo infatti i combattimenti avrebbero, come in passato,
coinvolto i civili, ma sarebbe stato impedito ai feriti di raggiundere gli
ospedali attraverso il blocco di “macchine e ambulanze” dedicate al loro
trasporto, e la mancata considerazione delle proposte di apertura “di un
corridoio umanitario per l’evacuazione dei feriti.”
Stigmatizzando inoltre la intenzionale determinazione di questo
impedimento, che Strada attribuisce alla convinzione dei comandi militari
che “i feriti non debbano essere curati”, lo stesso ha denunciato il
comportamento delle forze Isaf come “un crimine di guerra contrario a
tutte
le convenzioni che andrebbe portato alla corte penale internazionale”.
Come si vede una denuncia gravissima.
Questa denuncia e’ stata ascoltata da quattro milioni e mezzo di
spettatori, e amplificata dalla forza che viene a chiunque si proponga
come
un testimone diretto dei fatti che denuncia, e a maggior ragione dalla
autorevolezza di una persona come Gino Strada.
Anche se non sempre e’ possibile condividere le parole e il suo pensiero,
e’ impossibile non nutrire ed esprimere ammirare e gratitudine per Gino
Strada, per la azione delle sue mani e i sentimenti che le ispirano. Anche
noi lo ammiriamo.
Se anche la stima per Gino Strada fosse minore della nostra e le sue
parole
non fossero state ascoltate da milioni di cittadini, resta, per chi come
noi le ha sentite la necessita’ di confrontarsi con esse.
Sincera e’ infatti l’ammirazione per chi cura le ferite, e profonda la
convinzione che importante e’ curarle ma piu’ importante evitare che esse
si producano e si riproducano a causa della assenza di uno stabile quadro
di sicurezza. Come si puo’ ascoltare percio’ in silenzio accusare la
coalizione e quindi anche a noi come parte di essa, non solo di aggravare
le ferite ma di impedire addirittura di curarle?
Non possiamo far finta di niente.
Cosi’ come condividiamo nelle sedi internazionali competenti la
riflessione
sui fini, tempi e mezzi della missione dobbiamo sentire il dovere di
seguire e verificare puntualmente lo sviluppo degli avvenimenti.
Questo anche al fine di verificare l’efficacia della modifica di strategia
avviata recentemente in Afghanistan sotto il nuovo comando del generale
McCrystal messa per la prima volta alla prova sotto gli occhi del mondo
nella operazione in corso nella area di Helmand .
Per questo abbiamo chiesto conto al Governo nella persona del Ministro
della Difesa dei fatti all’origine della denuncia di Strada, quali
eventuali iniziative abbia gia’ preso e intenda prendere nelle sedi
competenti per segnalare l’allarme presente nella nostra opinione pubblica
al riguardo, e quali per assicurare le condizioni perche’ questi fatti
abbiano finalmente termine.
Lo chiediamo cosi’ come, anzi proprio perche’ abbiamo chiesto, in questa e
nella precedente legislatura, e ci apprestiamo a richiedere ai nostri
concittadini di continuare a sostenere la missione in Afghanistan.
Lo chiediamo perche’ come dice il Generale Mc Crystal il mondo in nostri
concittadini e gli afghani ci guardano e ci chiedono non solo se vinciamo
ma come vinciamo.