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4 Gennaio 2010

Il potere logora chi non sa spiegare cosa ne farà

Autore: Arturo Parisi
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Finita
con l’Ulivo l’idea della faticosa costruzione delle stabili coalizioni
di progetto, dopo un anno passato a ripetere con Veltroni
prima-il-programma-prima-il-programma sembra che il mio partito abbia
intonato la marcia quel-che-conta-sono-le-alleanze, un altro modo per
dire che quel che conta e’ vincere.

In una intervista pubblicata
da questo giornale pochi giorni fa questo rovesciamento di posizioni e’
stato contestato in modo forse troppo sintetico e tranchant. Ora che le
feste sono passate e mentre ci si appresta a scegliere su come
presentarci agli elettori nelle prossime elezioni regionali, sento
percio’  la necessita’ di tornare almeno su un passaggio che ritengo in
questi giorni cruciale. Mi riferisco alla denuncia della montante
pretesa della totale autonomia della politica cioè della affermazione
di un potere fine a se stesso, alla ricerca della vittoria a tutti i
costi. Ora, sara’ pure vero che in politica la conquista del potere e’
una precondizione indispensabile. Senza un progetto chiaro e
appassionante, si finisce tuttavia per tornare esattamente alla casella
dalla quale pensavamo di esserci allontanati, quando Andreotti ci
spiegava che “il potere logora chi non ce l’ha” dimenticando che logora
invece ancora di più chi non riesce a spiegare che cosa ne farà.

E’
questo che il Pd non riesce ancora a comunicare: il progetto nuovo di
un partito nuovo capace di rispondere alla profonda crisi del Paese. Un
progetto che riconosca che la crisi attuale e’ certo nel suo esito
economica, ma, nel mondo e nel nostro Paese, è soprattutto una crisi
politica, una crisi delle regole legali e e delle regole morali, la
crisi della nostra capacita’ di governare le contraddizioni che la
ricchezza e la avidità  hanno prodotto.

Di questo vorrei
parlare con gli amici pugliesi invece che di primarie e di alleati.
Come dimenticare infatti che e’ dalla Puglia che sono venuti all’Italia
nell’anno sciagurato che si e’ chiuso i segnali piu’ allarmanti della
nostra crisi: dalle malversazioni nella sanita’, ai conflitti di
interesse tra politica e imprenditoria, senza parlare degli squallidi
scambi tra beni pubblici e prestazioni private che hanno visto
coinvolti esponenti politici locali e nazionali, in Puglia e a Roma. E’
la Puglia che in quest’anno ha fatto da sfondo alla accusa che, destra
o sinistra sono in fondo uguali, e ha alimentato la tentazione di fare
del federalismo fiscale uno strumento non per risolvere ma per chiudere
la questione meridionale, chiuderla e gettare poi la chiave.

Questo
per limitarci alla Puglia. Perchè se lo sguardo si volge altrove, lo
spettacolo non e’ certo migliore. Penso solo come ultimo esempio al
cosiddetto esperimento di un nuovo equilibrio in Sicilia totalmente
indifferente al principio che solo il voto dei cittadini può varare o
rovesciare il governo di tutti.

E’ di questo che mi piacerebbe
leggere o dibattere: di come una alleanza con un partito invece che con
un altro possa rispondere alla crisi profonda crisi che attraversa il
Paese. Non di come sommare i voti, costi quel che costi, perchè tanto
quello che conta e’ vincere. Non di come mandare a casa Berlusconi
visto che gli alleati con i quali dovremmo allearci con questo solo
obiettivo, con quello stesso Berlusconi sono da noi stessi incoraggiati
a continuare ad allearsi ora qua ora la’, e quindi domani di nuovo in
tutto il Paese. Discutere di quale direzione scegliere, non di come
scegliere chi deve guidarci delegando a lui la scelta della direzione.

E
invece siamo ancora a dividerci su cose che dopo vent’anni dovrebbero
essere da tempo alle nostre spalle: a dividerci sulle primarie mentre
ribadiamo che esse sono comunque iscritte nientidimeno che nel nostro
Dna, a dividerci sulla necessita’ di reintrodurre una legge
proporzionale mentre proclamiano di essere comunque per una legge che
metta la scelta dei governi nelle mani dei cittadini.

E’ questa
la linea che ci manca. Non ci mancano le proposte per affrontare
singolarmente i problemi economici del Paese che Bersani va illustrando
con efficacia in abbondanza. Quella che ci manca e’ una linea politica
che batta la resa morale, una linea di riscatto che affronti alla
radice perche’ riconosce la radice politica della crisi del Paese, una
linea di lunga durata che chiede progetti e soggetti di lunga durata,
non alleanze occasionali e variabili scelte solo per vincere. E non
perchè una proposta manchi, ma perchè la proposta, quella che viene
avanzata da dirigenti autorevolissimi come D’Alema a nome del partito,
non e’ quella per la quale il partito e’ nato, ne’ una sulla quale il
partito abbia avuto la possibilità  di decidere con una forza adeguare
a ridefinire il profilo iniziale del Pd “restituendo” come dice D’Alema
al Pd il profilo che avevano i partiti prima del Pd, prima dell’Ulivo e
prima del maggioritario, per consentire finalmente ai partiti, cioè ai
capipartito, di governare il Paese.

E’ su questa proposta che il
Pd deve ancora decidere, decidere se affidarsi a una politica
orgogliosa della sua autonomia professionale che chiede alla società 
delega adesione e appartenenza di parte, o promuovere una politica che
si faccia strumento per raccogliere dalla società  idee passioni e
partecipazione da trasformare in progetto per tutti.

Arturo Parisi
Il Fatto Quotidiano