Si definisce opposizione nell’opposizione, Arturo Parisi. Da tempo lamenta una gestione del partito e una strategia politica che non funzionano e inascoltato chiede una riflessione profonda come premessa al rilancio. Pare di capire, però, che non sarà accontentato se non dopo le elezioni europee.
Il Pd ha perso la bussola e va alla deriva?
«Che abbia perso la bussola lo diciamo da più di un anno. Sul fatto che vada alla deriva è un esito cui non riusciamo ad arrenderci, non possiamo arrenderci. Tuttavia, ogni giorno viene ripetuto da una voce diversa. L’ultimo di turno è stato D’Alema alla festa di Firenze».
L’ex ministro degli Esteri ha lamentato una guida del partito troppo debole, citando come conferma le vicende della Sardegna. Lei che ne pensa?
«Anche in questo caso, scontiamo le domande non poste, e quindi le risposte non date, in occasione del varo del partito. L’anno scorso sostenemmo che il dibattito delle primarie dovesse vertere sulla domanda “quale partito?”. A Roma come in Sardegna l’attenzione e da noi lo scontro si è concentrato su chi dovesse guidarlo».
Quanto a riflessione, ce ne stata poca anche sulle cause della sconfitta alle politiche.
«Per poter approfondire la sconfitta, il primo passo è riconoscerla. Nessuno cerca spiegazioni per fatti di cui contesta l’esistenza. La realtà è che tutto il gruppo dirigente si è baloccato è baloccato troppo a lungo sulla possibilità di definire il risultato di aprile una vittoria inadeguata piuttosto che una evidente sconfitta. Addirittura “tragica”, come, e ancora lo cito, ho sentito martedì da D’Alema. Purtroppo troppo tardi. Se la dimensione tragica l’avessimo riconosciuta subito, non saremmo oggi in quella situazione che lei definisce alla deriva».
Gruppo dirigente e strategie politiche da rivedere?
«Dobbiamo semplicemente recuperare il filo interrotto. Il che non significa ripetere il passato ma collocare il presente e il futuro dentro la nostra storia. Invece, il Pd nasce, per rivendicazione di Veltroni, in contrapposizione al quindicennio aperto dal cambiamento della forma della nostra democrazia: da una che si accontentava di rappresentare a una che affida direttamente agli elettori la scelta del governo. Tutto d’un tratto siamo scesi in campo con la parola d’ordine della discontinuità con quindici anni da dimenticare. L’esatto opposto della linea di quello che Veltroni chiamava “il principale esponente dello schieramento a noi avverso” che, viceversa, ha dimostrato di riuscire a tenere un filo e, in nome della continuità, ha costruito la sua vittoria».
Rutelli ha liquidato l’Ulivo definendolo un caravanserraglio ma l’attuale solitudine del Pd non è proprio splendida. Si ripone il problema delle alleanze.
«Innanzitutto bisogna decidere se CONTINUARE A riconoscerci in quella democrazia bipolare, maggioritaria, dell’alternanza, governante che scegliemmo di fondare quindici anni fa. Oppure tornare a una democrazia della rappresentanza fondata sul proporzionale che affidava al parlamento il compito di fare e disfare continuamente il governo in corrispondenza con le esigenze e le opportunità del momento. Chi ritiene che il cambiamento, con la conseguente migliore governabilità, debba essere difeso con le unghie e con i denti ha il compito di costruire il polo di centro sinistra esattamente come Berlusconi ha costruito quello di centrodestra, portando a sintesi il bisogno di unità attorno a un programma. Senza esclusioni se non di chi decide di autoescludersi. Infine, la novità: solo su un progetto giustificato dal futuro noi possiamo chiedere alle singole parti di gestire insieme le memorie dei diversi passati»
Un giudizio su questi primi mesi di Berlusconi a Palazzo Chigi e il raffronto con Prodi: chi ne esce meglio?
«I governi si valutano alla distanza. Certamente, se dovessimo stare ai risultati comunicati, Nell’immediato l’attuale Governo può apparire più brillante. Ma dobbiamo dare tempo al tempo visto che quasi tutte le iniziative di questi primi mesi sono annunci e non ancora fatti».
Si fa politica anche dall’opposizione: quella del Pd non le pare un po’ silente se non dormiente?
«È quel che si dice ma non vorrei essere ingiusto oltre il limite con quelli che sono i leader dell’opposizione rispetto ai quali io sono all’opposizione. Ovviamente, mi riferisco a Veltroni. Il problema è un altro. Se in un sistema bipolare, una forza trasmette l’idea di non rappresentare un’alternativa nel presente e, per alcuni versi, neppure nel futuro, qualsiasi cosa dica può essere apprezzata per la sua qualità retorica , nel suo valore letterario ma non come posizione politica. Uno può parlare quanto vuole ma le sue parole sono equivalenti al silenzio».