2 Luglio 2013
IL PD E IL CASO CABRAS: SILENZIO “OLIGARCHICO” Giovanni Maria Bellu, Sardiniapost.it
Professor Parisi, aveva salutato i lettori di Sardinia Post lo scorso 9 marzo con un’intervista sul caso “Cabras – Fondazione”, chiamiamolo così, che titolammo: ‘Il Pd non può continuare a tacere sul Banco di Sardegna”. Che ne è stato del suo auspicio?
“E’ accaduto che per la prima volta si è aperto un dibattito pubblico su una vicenda che in passato sarebbe passata sotto silenzio. Diciamo meglio: sotto silenzio in pubblico, chiaccheratissima invece in privato. Per la prima volta c’è stato un dibattitto sulla rete, sui media sardi e nazionali, in incontri pubblici, e nello stesso consiglio regionale che ha costituito sul tema una apposita commissione speciale. Grazie a questo si è evitato che tutto si risolvesse e si limitasse alla questione delle persone nominate con l’inevitabile contorno di invidie, ripicche, ambizioni e vendette personali. Si è così riusciti a parlare una volta tanto anche del problema che stava sotto, cioè del rapporto tra Fondazioni e Banche sul quale l’attenzione era stata richiamata da tempo da parte di economisti di indiscussa autorevolezza. E qualche cosa è stata detta perfino sulla importanza che ha in sè il rispetto delle regole che ci si è dati a proposito della compatibilità tra cariche di diverso tipo, anche quando le compatibilità e il conflitto di interesse non riguarda Silvio Berlusconi. Chi doveva sapere, ora sa. Deciderà poi ognuno quali conseguenze trarne.”
Guido Melis ha fatto notare tuttavia con rammarico che nessuna delle persone chiamate in causa ha risposto, ha spiegato, ha sentito la necessità di spiegarsi. Tutto è andato avanti nel silenzio. E a quanto pare l’11 luglio Cabras diventerà il presidente della Fondazione. Ma questa del tacere, del non rispondere, secondo lei è una tecnica o è una semplice manifestazione di scarso rispetto verso i cittadini?
“Guido Melis ha perfettamente ragione a rammaricarsi. Ma, purtroppo non ci si può sorprendere. Il silenzio che lui denuncia più che una tecnica di comportamento è un metodo politico, un metodo che è allo stesso tempo figlio di un assetto e di una concezione della politica. Questo assetto e questa concezione si chiama oligarchia, l’idea che la cosa pubblica debba e possa essere guidata da un patto nascosto tra pochi addetti ai lavori, e non invece dai cittadini (o, almeno, da un numero significativo di essi) in modo trasparente sulla base di un confronto e da una competizione tra soluzioni alternative. In questo tipo di politica, il governo oligarchico, la divisione non è tra vinti e vincitori, ma tra chi sta dentro e chi sta fuori dal cerchio del comando.”
Cosa fanno gli uni e gli altri?
“Chi sta dentro ha perciò come unico obiettivo quello di non farsi mai fare fuori. E l’impegno di tutti, e soprattutto di chi è alla guida di quelli al potere, è quello di trovare un posto per ognuno. Naturalmente il posto migliore per sè, uno meno buono per gli altri, ma un posto per tutti. Per tutti, cio è a dire, per tutti i membri della oligarchia. Senza alcuna attenzione nè a chi è tagliato fuori, nè al fatto che i cittadini avrebbero magari interesse a vedere nei singoli posti persone competenti scelte per la vicinanza ai propri ideali e ai propri interessi. E’ a causa del dominio oligarchico che la politica si è ridotta a quell’infinito teatrino fatto di accordi e bisticci sugli organigrammi, cioè a dire tu vai là, lui viene qua, al quale assistiamo ogni giorno sui media. E’ a causa della necessità di difendere gli equilibri della oligarchia che è necessario trovare sempre nuovi posti dove collocare i membri volta a volta scontenti. Ecco una delle cause principali di quella occupazione della società da parte dei partiti che trenta anni fa Berlinguer denunciò nel suo discorso sulla questione morale. La necessità indefinita dei pochi di allargarsi per risolvere i propri problemi e soddisfare le proprie necessità senza preoccuparsi nè delle necessità nè dei problemi di tutti.”
La mancata elezioni di Prodi. Anche di questo ormai quasi non si parla più. Eppure i 101 che lo stesso Bersani definì ‘traditori’ sono tutti là e nessuno è venuto allo scoperto. Ma può reggere un partito dove nel gruppo parlamentare c’è un traditore ogni quattro membri?
“E infatti non regge. Anche questo deriva dall’assetto oligarchico interno del Partito democratico, che vanta giustamente di non essere come altri un partito monarchico, ma dimentica che non basta non essere monarchico, cioè comandato da una sola persona, per essere democratico. Anche in questo caso più che nel mancato rispetto delle decisioni, la causa deve essere cercata nel modo in cui le decisioni vengono prese.”
Come vengono prese?
“Adottate in privato dal gruppo dirigente e sottratte ad un dibattito pubblico, una volta portate in assemblea le scelte del patto di sindacato che guida il partito non possono che essere applaudite o confermate con maggioranze bulgare. Ma applaudite quando il voto è palese. Impallinate nell’urna quando il voto è segreto. E’ quello che è successo per il voto sul Quirinale. Per Marini esattamente come per Prodi. La differenza è che contro l’accordo su Marini stretto con Berlusconi a casa Letta non è stato difficile parlare in pubblico oltre a votare in segreto. Parlare in pubblico contro la candidatura di Prodi era invece più difficile. Si è perciò preferito subire in pubblico l’applauso corale, e votare contro in segreto.”
Come sa nelle elezioni regionali non è previsto il ballottaggio. Michela Murgia ha appena annunciato la sua quasi certa candidatura. Che prefigura la nascita di un polo ambientalista e sovranista che potrebbe raccoglie parecchi consensi a sinistra. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che alle Politiche in Sardegna ha superato tutti, anche le intere coalizioni. Poi il centrosinistra. Insomma, c’è la seria possibilità che forze politiche diverse tra loro, che però rappresentano istanze di cambiamento, si annullino a vicenda e, chissà, vinca il centrodestra col 30 per cento dei voti. Che riflessione le suggerisce questo quadro?
“Che quando le risposte tardano, le domande finiscono inevitabilmente per moltiplicarsi. Col risultato che la protesta prevale ogni giorno di più sulla proposta, e la proposta radicale generale che rinvia al futuro, su quella razionale circoscritta che affronta il presente. La prova più sicura del fallimento della classe politica tradizionale, quella appunto dalla quale si attendevano e si attendono le risposte. Che preferisce gareggiare nelle parole con le posizioni estremiste, e nelle parole concentrarsi ed esaurirsi nelle contese interne logorandosi appunto in quel negoziato inifinito sulle proprie convenienze che chiamano politca. Sempre più impegnati a contendersi l’un l’altro la propria percentuale della torta dimenticano che nel frattempo la torta si va riducendo per loro e per tutti. Guardi alle assemblee di partito.”
Il tema è quello delle primarie per il governatore: il regolamento, i candidati…
“Intendo dire che son già passati quattro mesi da quello tsunami che ha fatto del M5S il simbolo più votato in Sardegna, e ancora non si vede uno straccio di analisi, uno straccio di mea culpa che dia conto dell’accaduto. Era passato peraltro solo qualche mese e già i dirigenti avevano chiuso l’argomento senza averlo neppure aperto, con l’argomento che il lutto non può durare più di tanto. Capisco che vestirsi di nero dopo la prima sconfitta per il resto della vita non è più di moda, ma da qui a vestirsi a festa e discutere di nuove nozze dopo poche settimane dal lutto è decisamente troppo. Me lo faccia ripetere. E’ decisamente troppo. Visto che la metafora del lutto mi è stata suggerita dal altri, forse sarebbe proprio il caso che gli sconfitti almeno in politica tornassero a vestirsi di nero. Di sicuro le assemblee sarebbero meno allegre, ma il colore degli abiti ci farebbe più seri e direbbe da solo più di mille parole.”
Cosa dovrebbe fare il centrosinistra? Ritiene che sia possibile percorrere la strada della ricerca di una candidatura unitaria di quanti vogliono il cambiamento?
“Ho paura che a questo punto sia troppo tardi. Ormai il conto alla rovescia è già iniziato. Anche se, a poco più di sei mesi dalla competizione elettorale, almeno nella coalizione costruita attorno al Pd siamo ancora impegnati a discutere del se e del come delle primarie e addirittura della stesse legge elettorale. E purtroppo su ognuno di questi punti, dal doppio turno alla scadenza delle candidature per le primarie, guidati solo e soltanto dalla domanda cosa ci guadagna lui e cosa ci perde lui, cosa e chi c’è dietro questa proposta e cosa e chi dietro l’altra. Quando il nuovo sistema fondato sulla scelta diretta dei governi si sarà stabilizzato, e le elezioni primarie saranno come quelle finali accettate e regolate stabilmente è inevitabile che il campo di tutti quelli che puntano al cambiamento del governo esistente saranno chiamati a unirsi per cercare assieme una alternativa vincente. E la cercheranno assieme guidati dalla regola che esclude solo chi si esclude e include tutti e solo quelli che si rimettono alla decisione che assieme prenderanno gli elettori che si riconoscono nello stesso campo. Ma quel tempo è ancora lontano.”
Di chi è la responsabilità?
“In questi anni siamo stati tutti fermi, troppo fermi. Una parte impegnata ad affermare sugli altri la propria egemonia a partire da quantità sempre più prive di qualità, e altri legati ad una stagione nella quale si preferiva mettere avanti la rappresentanza delle proprie idee dimenticando che è il governo del presente che decide il futuro, e che in democrazia il governo del presente va deciso con la democrazia. Salvo miracoli, a questo punto sarà compito, il primo compito, del candidato che il centrosinistra designerà nelle primarie aprire quel confronto che finora è mancato. Un compito che dentro le primarie dovrà essere cercato come un mandato da chiedere agli elettori. Anche a questo servono le primarie. A incanalare e mettere a frutto il tempo che le separano dalle elezioni secondarie.”