(Testo integrale dell’intervento alla Direzione del Pd del 23 settembre 2010)
Cari amici,
non credo sia difficile
trovarci d’accordo sui termini che meglio definiscono la situazione che
ci circonda: disgregazione e confusione. A livello del mondo, del Paese,
del sistema politico, e, fatemelo dire con un po’ di ironia, perfino
nel nostro Partito.
Nel calore dei giorni scorsi a
proposito del documento formulato da Veltroni e dai 75 ho letto che per
un momento la polemica si e’ concentrata sul fatto che in qualche
versione dello stesso il Partito fosse definito “senza bussola”. Da cio’
la decisione di rimuovere dal testo la proposizione incriminata.
Ebbene, visto che e’ rimasta senza padre, consentitemi di
adottare questa formula “trovatella”. Non ho infatti difficolta’ a dire
che il nostro problema non e’ la mancanza di timonieri. Di timonieri il
Pd ne ha molti e di qualita’. Non e’ solo comprensibile propaganda dire
con Rosy Bindi che noi abbiamo il migliore personale politico del Paese.
Il nostro problema non sono ne’ Veltroni, ne’ Franceschini, ne’ Bersani
e neppure D’Alema. Di ognuno si puo’ dire tutto ma non che non sono dei
timonieri di qualita’.
Il problema e’ che in questa
disgregazione e in questa confusione quella di cui il partito non
dispone e’ appunto una bussola.
Fatemi essere
schematico. I modelli politologici non possono che dirci poco, e sempre
in modo caricaturale. Essi sono sempre delle semplificazioni costruite
su poche variabili e spesso su una sola. La realta’ e’ sempre piu’
complessa, e complicate sono le risposte che diamo ad essa. Come quando
ci si mette in viaggio, molte sono le cose che posso decidere di un
viaggio. Con chi, su quali mezzi, con quali tempi. Ma uno prevale sugli
altri: la direzione. Non basta dire, l’importante e’ viaggiare e
arrivare, cosi’ come in politica diciamo l’importante e’ combattere e
vincere. Bisogna dire innanzitutto verso dove. Ecco perche’ e’
importante la bussola: a nord, o a sud?
Ebbene quello
che noi non abbiamo ancora veramente deciso e’ verso quale tipo di
democrazia indirizzarci, e quale democrazia serva al Paese.
Torno appunto ai modelli politologici.
Una democrazia
competitiva, o una consociativa?
E’ questa la scelta
che non abbiamo fatto ne’ a proposito della democrazia del Paese e
neppure a quella interna al Partito che e’ alla prima intimamente
connessa.
Da questa scelta deriva anche la
interpretazione del concetto di unita’, la chiave con la quale, per
quello che ho intravisto, mi sembra ci apprestiamo ad uscire anche da
questa riunione.
Il valore e la tensione verso
l’unita’ e’ presente in tutti e due i modelli ma non nello stesso modo.
Se in tutti e due l’unita’ e’, come non puo’ non essere, il fine, non in
tutti e due i modelli, quello competitivo e quello consociativo, e’
anche un mezzo.
Se fosse per le parole, la scelta
dovrebbe essere alle nostre spalle.
Noi siamo infatti
per una democrazia competivita, e, di seguito, per il bipolarismo, il
maggioritario, le primarie, l’elezione diretta del segretario, e a chi
piu’ ne ha piu’ ne metta.
Ma noi sappiamo che cosi’
non e’.
In questi anni ci siamo dedicati alle conte,
ci siamo contati molte volte, abbiamo contato un numero sempre maggiore
di persone, abbiamo elaborato tecniche raffinate di conta.
Quello che non sappiamo e’ che cosa abbiamo contato.
Da qui deriva a mio parere la nostra difficolta’. Da cio’ la mia
ossessiva ripetizione: dite pure con chi state, ma prima ancora che cosa
volete.
E’ per questo motivo che dissento da quanti,
anche carissimi e autorevolissimi amici, denunciano il dibattito che si
e’ aperto come una malattia, e si confessano “desolati” per un confronto
che appare una lite.
Per questo motivo ho salutato
come un contributo prezioso il documento importante proposto da quel
gruppo dirigenti vicini alla segreteria che son stati chiamati “giovani
turchi”, prima presentato e poi abbandonato nei giorni scorsi. Per
questo motivo ho espresso prima il mio auspicio che, nel “caminetto
riservato” che si e’ svolto la scorsa settimana, i dirigenti del partito
si parlassero con chiarezza. E poi ho espresso il mio sconcerto per
l’apparente unanimismo col quale, voi che siete i dirigenti di questo
partito, avevate dato ad intendere di esserne ancora una volta usciti.
Per questo motivo ho espresso apprezzamento per il documento
di Veltroni. Non certo per il modo e il quando, ma certo per il se. Per
il fatto di aver riproposto pubblicamente le sue convinzioni, le stesse
che Franceschini aveva cercato di rappresentare nella conta che abbiamo
chiamato congresso.
Per questo motivo ritengo che
l’unico vero rammarico e’ che il confronto sia, anzi, stia iniziando con
tanto ritardo. Non c’era bisogno di aspettare tre anni per iniziarlo.
Dico inziarlo, perche’ e’ evidente che i problemi posti da
tutti e due i documenti sono troppo complessi perche’ esso possa essere
concluso quando invece e’ appena iniziato.
Il mondo
non ci aspetta. E’ vero. Ma non possiamo uccidere in fasce un bambino
appena nato.
Apriamo percio’ un confronto e celebriamo
finalmente quel congresso che non abbiamo mai aperto, concludendolo con
scelte prese in modo nitido cioe’ abbandonando quell’unanimismo
impotente che e’ appunto la causa prima delle nostre difficolta’.
Facciamo finalmente delle scelte nelle quali sia possibile
distinguerci senza dividerci, che lascino definitivamente alle nostre
spalle l’idea che nel partito esista una norma e una eccezione, che
esista il partito e il correntone.
Il confronto non
puo’ essere una conta. Discutere di politica mescola e sta mescolando,
per la prima volta non piu’ i cattolici e i laici, margherita e ds,
democristiani e comunisti.
Non interrompiamo il
processo quando e’ appena inziato.
Mentre discutiamo
sull’orizzonte lontano non possiamo tuttavia dimenticare quello
presente. Come spiegare altrimenti ai cittadini che qua si parla di
loro, e non della punta delle nostre scarpe come ha detto Bersani.
Questi problemi si chiamano ora crisi del berlusconismo.
E’ di questo che si legge sui giornali da mesi. E’ su questo che nella
prossima settimana dobbiamo dare una risposta.
E’
troppo dire che su questo prima che attori siamo sembrati spettatori?
Gente che attende che la crisi trovi una sua soluzione, in attesa che ci
facciano sapere?
E’ per questo motivo che pensando ad
oggi avevo avanzato pubblicamente
la proposta che il partito uscisse da questa situazione prendendo una
iniziativa forte in parlamento.
Mi riferisco alla idea di
presentare una mozione che chieda il voto di sfiducia al governo.
Si era detto: mi sembra una cosa discutibile, una cosa cioe’
della quale si possa e si debba discutere.
L’ha detto
Veltroni con simpatia. L’ha detto Bersani con scetticismo. Ma l’ha
detto.
L’altro ieri Franceschini ci ha invece fatto
sapere che e’ stato tutto deciso. Il partito presentera’ una mozione di
sfiducia contro Berlusconi ministro ad interim. Quanto a Berlusconi
Presidente ci pensa Berlusconi. Lo ha gia’ annunciato,mi ha detto. Non
mi sembra, dico io. Proprio oggi ho sentito La
Russa dire: un voto ci sara’. Decideranno come. Per consentire al
centrodestra e alla maggioranza di rinnovare almeno a livello di
facciata la propria unita’.
Quale unita’? La rissa
della quale leggiamo oggi sui giornali?
Perche’ non ci ripassiamo questi ultimi 55 giorni dal punto
di vista del cittadino comune?
Rileggiamo insieme i
giornali.
Due mesi di intimidazioni e lusinghe, faide e
ricatti; due mesi di fango, due mesi nei quali ai cittadini e’ stato
trasmesso il messaggio che ognuno di noi ha il suo prezzo, ognuno di
noi. Quelli che chiedono cosa mi dai se mi sposto di schieramento, di
partito, o di componente, quelli che chiedono cosa mi dai se resto nello
stesso schieramento, nel stesso partito o nella stessa corrente nella
quale gia’ sono. Quelli che pensano a un posto di governo, di
sottogoverno o, piu’ semplicemente, all’inserimento del suo nome negli
elenchi dei nominati in parlamento.
Tutto questo si e’
svolto sui giornali, nelle piazze, nei bar. Ma non e’ stato portato
nelle istituzioni. Nessuno ha sentito la responsabilita’ di dire,
ripetilo in Parlamento, cosi’ come si dice ripetilo avanti al giudice. E
cosi’ e’ cresciuto il caos nel Pase, e, a causa del silenzio del
Parlamento, il fossato tra le istituzioni e i cittadini si e’
ulteriormente allargato e, di pari passo, lo spazio dell’astensionismo e
dell’estremismo.
E poi diciamo centralita’ del
Parlamento! Dimenticando che prima di rivendicare la sua centralita’ e
preminenza sul governo, il Parlamento deve dimostrare la sua centralita’
nella societa’.
E’ giunto il momento che alle parole
seguano i fatti. Chiediamo a Fini di ripetere con noi in Parlamento le
dure parole che ha detto a Mirabello contro Berlusconi facendo seguire
alle sue parole nitidi atti conseguenti.
E’ giunto il
momento di chiedere ai parlamentari, a tutti, di rispondere
pubblicamente alle domande che decideranno della sopravvivenza del
governo Berlusconi, non con un generico voto politico che muove dalle
domande formulate e magari concordate con Berlusconi, ma dalle domande
formulate da noi.
C’e’ chi dice che cosi’ li
compattiamo. Come se, in un sistema bipolare, la debolezza e le
divisioni dell’avversario si traducessero nella nostra forza e nella
nostra compattezza e non viceversa nell’esatto opposto. Come se,
difronte ad un’area di maggioranza che somma in se’ le parole del
governo e quelle dell’opposizione, non fossimo spinti inevitabilmente a
dividerci tra noi, e con i nostri alleati.
C’e’ chi
dice, lasciamoli dividere ancora di piu’, come se la divisione attuale
potesse crescere ancora di piu’ con vantaggio per il Paese, e come se la
divisione preludesse al passaggio nel nostro campo e non invece alla
crescita del potenziale centrista. E anche su questo torna la questione
della bussola. E’ infatti evidente che la crescita del centro e’ tra noi
valutata diversamente tra quelli che vogliono andare verso il Nord
della democrazia competitiva e quelli verso il Sud della democrazia
consociativa.
C’e’ chi dice che tanto perderemo. Ed
altri che la verita’ e’ che abbiamo paura di vincere, perche’ vincendo
potremmo precipitare nelle elezioni, delle quali abbiamo paura. Noi
sappiamo infatti che l’ipotesi del governo di transizione, che oggi e’ stata riproposta come una
cosa che e’ stata decisa definitivamente assieme, e’ priva della meta
che dichiara e impervia e contradditoria nella strada per arrivarci.
Mi e’ stato detto. Evitiamo gesti roboanti. Quello che conta
e’ far cadere Berlusconi. E’ per questo che presentiamo la sfiducia
contro lui come Ministro ad interim. Spero proprio che si riesca a
raccontarlo e, soprattutto, a produrre l’effetto perseguito. Non vorrei
che qualcuno ci chiedesse conto del gesto mancato. E qualcuno dicesse:
solo il Pd aveva i numeri per presentare la mozione di sfiducia. E non
lo ha fatto.
C’e’ chi dice che tanto perderemo.
Abbiamo vinto per caso qualche volta nelle 36 volte che il governo ha
messo la fiducia? E tuttavia ogni volta ognuno ha risposto all’appello
dicendo personalmene il suo No, cosi’ come gli altri il loro Si, pur
sapendo che avremmo perso. Abbiamo perso perche’ abbiamo perso le
elezioni e perderemo fino a quando una componente della maggioranza non
decidera’ di dire pubblicamente alla sua gente che la fiducia in
Berlusconi e’ finita. E’ quello che appunto ha detto a Mirabello Fini
ripetendo le piu’ dure delle nostre parole.
Ebbene e’
giunto il momento di misurare lo spessore di queste parole, di misurarle
pubblicamente avanti agli italiani, di misurare se dietro le stesse
parole ci sta lo stesso significato che anche noi ad esse diamo. A
chiedere di misurare la sfiducia questa volta dobbiamo essere noi:
misurare quanta fiducia ha la maggioranza nel governo Berlusconi, a
misurare quanta fiducia puo’ avere il Paese in questa maggioranza.
Vogliamo che il Paese vada avanti a furia di voti come quello
segreto di ieri su Cosentino?
Se lo puo’ permettere?
Ce lo possiamo permettere?
Glielo possiamo permettere?
Arturo Parisi