Il caso Mineo, con l’autosospensione di 14 senatori del Pd, ha scoperchiato di nuovo il vaso di Pandora tra le fila dei Dem. Nemmeno il consenso ottenuto alle ultime Europee ha spento i malumori di parte del partito nei confronti del decisionismo e del personalismo di Matteo Renzi. Sulla questione abbiamo chiesto il parere ad Arturo Parisi, ministro della Difesa durante il secondo Governo Prodi e candidato alla Segreteria del Pd dopo le dimissioni di Walter Weltroni nel 2009.
Parisi come vede questa nuova divisione nel Pd?
“Prima o poi doveva succedere. Con un partito e un corpo parlamentare figli di epoche molto diverse e per di più su un tema di questo rilievo potremmo dire semmai che il dissenso è relativamente contenuto.”
Chi ha ragione secondo lei?
“In discussione non sono certo le opinioni. Chi ha una idea diversa, prima che il diritto ha il dovere di rappresentarla e difenderla. Anche se non condivido la posizione dei dissenzienti, di tutto mi posso lamentare all’infuori che della libertà del confronto. Il nostro più grave difetto è l’unanimismo e il conformismo, non certo il pluralismo. Ma non credo che chi siede in commissione per il Pd abbia alternativa a sostenere e difendere la posizione del Pd.”
Perché?
“Perchè non è in commissione a titolo individuale come accadrà in Aula quando alla fine sarà chiamato a votare, ma perchè designato dal Partito per rappresentare al suo interno la sua posizione ufficiale. Senza dimenticare poi che dallo stesso Partito è stato nominato in Parlamento. E aggiunto: purtroppo. Ecco il limite di ogni legge elettorale che preveda la nomina dei parlamentari da parte dei partiti. Compreso l’Italicum.”
C’è un concreto rischio scissione secondo lei?
“Non credo. Anche se è un episodio destinato a lasciare traccia.”
C’è qualcosa che Renzi ha sbagliato?
“Non credo che nessuno gli possa rimproverare di non aver chiesto e consentito un confronto. E, meno che mai, che alla fine abbia chiesto e ottenuto negli organi ufficiali una decisione formale di sostegno alla sua linea. Purtroppo ha dimenticato che in un partito e in una stagione abituata da troppo tempo a voti bulgari anche lo spessore dei consensi più vasti è sottile come una lastra di ghiaccio. Anche se non mi sembra questo il caso all’improvviso si possono aprire voragini che è bene mettere nel conto. Anche all’interno del partito forse è più prudente accontentarsì di un sì, ma farlo ripetere più di una volta.”
Lei cosa farebbe avendo un consenso popolare così ampio e una parte del partito che aspetta un suo passo falso?
“Non penso che Renzi abbia alternativa ad andare avanti. Ne risentirebbe il progetto, e la sua stessa credibilità. Questo non è tuttavia incompatibile con un supplemento di confronto. Spero che la prossima assemblea nazionale ne offra l’occasione.”
Ieri il governo è stato battuto sulla responsabilità dei giudici. La maggioranza si è mostrata nuovamente debole e ci sono stati diversi falchi tiratori del Pd. Crede che al Premier convenga andare al voto a questo punto per avere una maggioranza più coesa?
“Siamo alle solite. Ancora una volta si dimostra che un partito che è abituato alla unanimità nei voti palesi riesce a dividersi solo nei voti segreti. Certo che se poi si continua a leggere di partito dilaniato, dilacerato, spaccato appena qualche decisione viene presa col 70%, ogni posizione di minoranza è sempre a rischio di criminalizzazione.”