Secondo lei, professor Parisi, è giusto strappare all’oblio la terribile vicenda dei soldati giustiziati nel ’15-’18?“L’unica cosa che non ci è consentita è dimenticare. Ricordare è l’unico mezzo del quale disponiamo per ricercare e riscattare quelli che la memoria ufficiale ha depositato nella parte sbagliata.”
E cosa si può fare?
(“Innanzitutto ricostruire i fatti. Andare oltre l’apparenza dei comportamenti, alla ricerca dei valori e dei sentimenti che la brutalità e gli spasmi della guerra non consentì di conoscere e perciò di riconoscere. )
Mi guarderei tuttavia da assoluzioni sommarie che seguissero oggi le condanne sommarie di ieri. Aggiungeremmo ingiustizia a ingiustizia. Ingiustizia verso chi allora ubbidì immaginando di riconoscere negli ordini che lo spingevano verso il sacrificio la voce della Patria, ma ancor di più ingiustizia verso chi vittima innocente della giustizia sommaria si trovasse ora nella assoluzione confuso ancora una volta con i colpevoli.
Il nostro dovere è restituire l’onore a chi quell’onore è stato sottratto. (Solo se, chiamandoli per nome, si ha il coraggio di guardare in faccia alla sofferenza individuale di questi morti “infami”, fino a riaprire al limite veri e propri processi, possiamo fare della rivisitazione del loro dolore una occasione di crescita e un insegnamento per il futuro.
A cento anni da quei fatti credo che sarebbe doveroso prima ancora che possibile ritornare su episodi che in passato non fummo capaci di riconsiderare affidando nel caso questo compito ad una commissione fatta di magistrati militari soprattutto per quegli episodi che le condizioni del momento non consentirono di giudicare con le garanzie necessarie. Sì la celebrazione del Centenario è una occasione irripetibile che non possiamo sprecare.
E allora, altro che frettolose aggiunte dei loro nomi sulle lapidi dei caduti come si è pensato in Francia. Solo un riconoscimento all’altezza del torto che è stato loro inflitto potrebbe riconciliarci con la loro memoria.)””Altrimenti è meglio limitarsi alla indagine storica, alle ricostruzioni collettive, per aprire un varco alla pietà e al dubbio piuttosto che ricercare nuove certezze che rovescino il segno del giudizio di allora con una frettolosità e una superficialità ora ingiustificate. “”(E già questo sarebbe un obiettivo importante. Se è vero infatti che la comparazione con altri Paesi alimenta interrogativi sulle cause della maggiore ricorrenza in Italia delle esecuzioni sommarie e degli episodi che furono alla loro origine, considerata la novità e precarietà della nostra storia nazionale, potremmo porci anche la domanda: come mai così pochi?”
“È pensando a questo che credo debba essere facilitata al massimo l’indagine storica. Non c’è modo migliore per capire l’ubbidenza e il rispetto delle norme che guardare alla disubbidienza e alla devianza. Se è vero che dentro la sofferenza di quella che Benedetto XV definì una inutile strage crebbe col nome di Patria il sentimento di solidarietà più esteso e intenso della quale la nostra memoria nazionale ancora oggi dispone, è guardando a chi ad esso allora si negò, o fu ingiustamente accusato di essersi negato, che riusciamo a interrogarci sulle radici e il futuro di questo sentimento.)”
(*) Dell’intervista qua riprodotta nell’articolo di Giovanni Grasso è stata riportata solo una parte. Nella versione pubblicata sul giornale non appaiono infatti i brani qui indicati tra parentesi.