Il
ministro della Difesa non perde occasione per esprimere acidissime critiche al
dialogo che si sta faticosamente intessendo
per una riforma elettorale votata dal Parlamento. Sostiene che i referendari
rappresentano i cittadini, mentre i partiti cercano solo di avere le mani
libere, per poi farne un cattivo uso, che solo il referendum garantisce il
bipolarismo, che tutti gli altri vogliono “ritornare indietro”.
Probabilmente la testardaggine di Arturo Parisi tradizionalmente
attribuita ai sardi, nasce da una convinzione politologica, legittima e
discutibile, ma è difficile pensare che gli sfugga l’effetto
che i suoi continui attacchi a Walter Veltroni possono avere sulle relazioni
politiche, soprattutto all’interno
della maggioranza che regge il suo amico Romano Prodi. Nel merito, il
meccanismo referendario, se impone le alleanze prima del voto, non esclude
affatto che queste replichino le ammucchiate disomogenee che caratterizzano
l’unione di oggi. Il fatto che questa ammucchiata debba avvenire concentrando
tutti in un solo listone, invece che in una coalizione di liste, toglie agli
elettori anche il diritto di scegliere all’interno delle coalizioni. Parisi può
pensare che partiti “virtuosi” eviteranno di ripetere la strada che porta
all’ingovernabilità, ma allora dovrebbe incoraggiare la vocazione
“maggioritaria” proclamata dai due principali leader italiani, rendendo anche
più credibile la sua propaganda referendaria. Anche perché senza l’accordo
parlamentare l’unica strada per rinviare
il referendum, inviso alla forze minori dell’Unione, è
lo scioglimento delle Camere.